Monheim ha scritto:In merito alla religione vorrei capire se magari qualcuno ha mai avvertito/avverte la mia stessa sensazione.
Premettendo che non escludo sia un limite mio (per carità), il punto è che quando conosco una persona che trovo gradevole, stimolante eccetera (insomma "che ci sta dentro" ma anche di più) e poi scopro che è credente, la medesima perde un po' (?) quasi come se mi dicesse che il testo di canzone che ritiene migliore nella storia è "Meno male che Silvio c'è".
Per fare un esempio concreto, su questi lidi, pur non conoscendolo personalmente, il religioso membro Gios l'ho spesso apprezzato e ritengo sia un valido essere umano eppure "what's wrong with you?" in quello specifico ambito?
Intendiamoci: non che il requisito indispensabile affinché io rispetti/stimi qualcuno sia l'essere almeno agnostici tuttavia mi chiedo cosa porti menti brillanti e istruite a "prestare attenzione" a ciò quantomeno in termini di confessioni religiose dogmatiche e più o meno restrittive nella vita di tutti i giorni.
Ognuno ha il suo vissuto e ci mancherebbe, ma...
NK7 ha scritto:Monheim ha scritto:Intendiamoci: non che il requisito indispensabile affinché io rispetti/stimi qualcuno sia l'essere almeno agnostici tuttavia mi chiedo cosa porti menti brillanti e istruite a "prestare attenzione" a ciò quantomeno in termini di confessioni religiose dogmatiche e più o meno restrittive nella vita di tutti i giorni.
La paura della morte, che poi è il motivo per cui si crede nel novantanove virgola novantanove % periodico dei casi. Nella vita di tutti i giorni poi pochi, credo, seguano precetti e comandamenti vari in modo più o meno rigoroso, almeno tra i cristiani. Ci si augura semplicemente che basti come lasciapassare per rivedere i propri cari nell'aldilà o una roba simile. Non lo ammetteranno mai ma è una forma di superstizione.
Per qualche motivo l'
homo religiosus segna il passaggio tra il fare la guerra tirandosi la merda e stinchi di bue, e la sensazione di posare il patriarca morto in battaglia sotto terra, raggomitolato nella terra palestinese col volto verso oriente (non meno, a pensarci, di quel primo latifondista sumero che de-limitò il proprio campo con un termine, cippo da cui nacque la geometria per misurare il campo e l'aritmetica per contare le derrate alimentari: la civiltà e l'identità di Eulero provengono, orrore degli orrori, da un capitalista di destra, che da piccolo avrà avuto un padre piuttosto apprensivo, credo. Che gioia e che orgoglio in quel sublime verso del Gilgamesh che racconta di
Uruk, estesa per tre miglia quadrate, senza contare le terre coltivate!)
Ovviamente nell'uomo dedito alla religione ci sono diverse sfumature. Tra la nonnina che aggiunge un fascio di legnetti al rogo di Jan Hus e Tommaso d'Aquino c'è una certa differenza (ma se ci pensiamo, meno che tra la colta ed elegante prospettiva platonica e un fedele di Orfeo), e quindi assottigliare il fenomeno religioso in un quadro economizzabile in poche righe, risulta difficile. Particolarmente se si inizia a credere che la vecchietta fosse
superstiziosa, e Tommaso
religioso.
Quello che si può dire, è che buona parte dell'umanità (forse sbagliando, chi lo sa) abbia ritenuto, e ritenga, non così stupido credere che un trascendente possa esserci: siano i sentieri cantati dagli aborigeni ("Ma io e te che ce dovemo dì, abboriggeno?") siano gli effimeri mandala buddhisti, sia la sanguigna fiducia nel Corpo di Cristo di Bernardino da Siena. Sul fatto che una maggioranza porti alla verità, come osservate spesso (e senza citare la poco elegante metafora delle mosche) mi pare corretto dubitare: ma è ragionevole immagino pure dubitare del contrario, ed insomma un dubbio metodico potrebbe essere una forma di uscirne. Se poi questa della religione sia una malattia dello spirito o, se si preferisce, una affezione della psiche, non lo saprei dire.
Su motivi che portarono o portano a questa malattia o affezione, fatico ad esprimermi, non essendo uno storico delle religioni o un antropologo, appunto. Mi viene che possano essere diverse: la testa lucida e severa di un sacerdote di Anubi; la ragazza che la sera va al rosario e vuoi starci vicino e ci vai anche te e una cosa tira l'altra; la curiosità per entrare nel club dell'upper class gnostica dei misteri eleusini; la lettura di una pagina di Sant'Agostino o Ermete il tre volte saggio; la flessuosa e atletica posa tra una
kora e una saltatrice in alto della Diamond League che è la Katie Ishtar ¥o-landi immortalata da Damien Hirst; la consuetudine tradizionale che i padri e i lari facevano così.
Non mi sentirei di escludere (perdonate) neppure che qualcuno possa essere incappato in una effettiva ierofania, per non dire, addirittura, una epifania, fino ad arrivare al vertice d'ogni cosa, una teofania. In quanto uomini di ragione sarebbe poco generoso escludere tesi poco percorribili, fosse Mosè col roveto, Maddalena col sepolcro vuoto o Paride/Alessandro cui tre dee sbattono le tette in faccia (e perché non Faust, che evocò la sua ierofania duale?): l'agnizione è in fondo l'espediente letterario ultimo del Deus Absconditus.
Che la morte e la riflessione sulla morte siano una componente essenziale, mi sembra evidente (come ci insegna il pietoso sepolcro del patriarca tumulato citato sopra), che sia fatto per
timore della morte lo pensavano gli antropologi dell'Ottocento che, affascinati dalla locomotiva, immaginavano gli uomini primitivi o di recente civiltà terrorizzati dal futuro e angosciati dalla precarietà della vita. Sembra che oggi gli antropologi la vedano un po' diversamente, e pare che fondare la religione sull'essere dei cagasotto, se Dio vuole, pare tesi un poco superata.
Tuttavia, ecco, non saprei dire, e mi sembrerebbe ingeneroso esprimermi sugli altri. Posso esprimermi personalmente, ed in maniera molto banale, secondo la mia attitudine. I Vangeli sono gli unici testi che io abbia mai letto che sembrano conoscermi meglio di me stesso. Dicono cose di me che io non so. Ogni volta che confronto il Vangelo e me, devo ammettere (spesso a malincuore) che il Vangelo ha ragione, ed io ho torto. Sento che il Vangelo completa ogni mio desiderio, e anzi soddisfa anche desideri che non sapevo di avere (e che non saprò di avere). Non è la tiepida consolazione di avere ragione: è il terremoto di scoprire qualcosa di nascosto, la
perla nel campo.
Questa è la prima base (quella razionale, diciamo) della mia religiosità: la seconda è un atto di fiducia, che non può essere spiegato e che comprendo bene che per l'uomo, e per l'uomo contemporaneo, sia
stoltezza degli uomini: ovvero credere che il carpentiere galileo è quel qualcosa di sfuggente, immanente e semanticamente impreciso che è Dio. Questo, ovviamente, credo non si possa giustificare, ma solo sperare attraverso una intuizione.
Capisco perfettamente la si possa ritenere una stupidaggine, e non ho armi (ma nemmeno il desiderio di impugnarle) per controbattere.