Wikillit, cipcip, internet e dell'avere parere su ogni cosa
Re: Wikillit, cipcip, internet e dell'avere parere su ogni cosa
"Nonciclopedia riapre i battenti
Cari lettori,
Ringraziandovi per il caloroso sostegno, vogliamo innanzitutto chiarire che ci dissociamo dalla violenza con cui il web ha reagito alla nostra decisione di oscurare il sito. Il nostro intento non è mai stato quello di incitare l'utenza contro Vasco, quanto quello di informarla dei fatti avvenuti.
Ci scusiamo se i contenuti della pagina di Vasco Rossi siano sembrati diffamatori, ma non c'è mai stata l'intenzione di offendere il cantante. Aggiungiamo che non abbiamo responsabilità su alcuni stralci della pagina di Vasco Rossi che circolano in rete (e che sono stati diffusi da alcuni TG) poiché non corretti, in quanto non sono mai stati presenti sul nostro sito.
Da entrambe le parti c'è una volontà di garantire umorismo di qualità, pertanto non escludiamo la possibilità futura che un giorno su Nonciclopedia tornerà ad esistere un articolo su Vasco Rossi che faccia ridere tutti quanti.
Tania Sachs, la portavoce ufficiale del rocker, ha assicurato che ritirerà la querela contro Nonciclopedia."
http://nonciclopedia.wikia.com/wiki/Pagina_principale
Cari lettori,
Ringraziandovi per il caloroso sostegno, vogliamo innanzitutto chiarire che ci dissociamo dalla violenza con cui il web ha reagito alla nostra decisione di oscurare il sito. Il nostro intento non è mai stato quello di incitare l'utenza contro Vasco, quanto quello di informarla dei fatti avvenuti.
Ci scusiamo se i contenuti della pagina di Vasco Rossi siano sembrati diffamatori, ma non c'è mai stata l'intenzione di offendere il cantante. Aggiungiamo che non abbiamo responsabilità su alcuni stralci della pagina di Vasco Rossi che circolano in rete (e che sono stati diffusi da alcuni TG) poiché non corretti, in quanto non sono mai stati presenti sul nostro sito.
Da entrambe le parti c'è una volontà di garantire umorismo di qualità, pertanto non escludiamo la possibilità futura che un giorno su Nonciclopedia tornerà ad esistere un articolo su Vasco Rossi che faccia ridere tutti quanti.
Tania Sachs, la portavoce ufficiale del rocker, ha assicurato che ritirerà la querela contro Nonciclopedia."
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Re: Wikillit, cipcip, internet e dell'avere parere su ogni cosa
Nonciclopedia si scusa, Vasco Rossi ritira la querela. Tanto rumore per nulla....
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Re: Wikillit, cipcip, internet e dell'avere parere su ogni cosa
pubblicitàWoodruff ha scritto:Nonciclopedia si scusa, Vasco Rossi ritira la querela. Tanto rumore per nulla....
- babaoriley
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Re: Wikillit, cipcip, internet e dell'avere parere su ogni cosa
Woodruff ha scritto:Nonciclopedia si scusa, Vasco Rossi ritira la querela. Tanto rumore per nulla....
babaoriley80 ha scritto:tanta tanta aria fritta
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Re: Wikillit, cipcip, internet e dell'avere parere su ogni cosa
"... ma, andando più veloce della luce, Pindaro ha superato i suoi stessi fari"
Re: Wikillit, cipcip, internet e dell'avere parere su ogni cosa
Da entrambe le parti c'è una volontà di garantire umorismo. Oddio, una delle due lo fa involontariamente.
luca1977 ha scritto:Io stimo una crescita del debito causa superbonus dello 0,002 percento
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Re: Wikillit, cipcip, internet e dell'avere parere su ogni cosa
mi hai beccato! questa e' satira. Mi ero accorto che avevano detto piu' o meno la stessa cosa e cosi'...balbysauro ha scritto:Woodruff ha scritto: La satira : spesso e' vero e proprio odio che, mascherato da satira, puo' riversarsi senza limiti sulla vittima di turnoalessandro ha scritto: "Gasparri" ... il quale diceva "questa non e' satira ma informazione, la satira deve fare ridere non informare, se non fa ridere e attacca e' vero e proprio odio che, mascherato da satira, puo' riversarsi senza limiti sulla vittima di turno"
dai che piano piano...
ora mi aspetto che la prima volta che Gasparri parla (parla?) in tv inizi dicendo "premetto che sono di sinistra"
detto questo la satira deve almeno tentare di far ridere questo si.
per dire, i pezzi di Gramellini ceh faceva a che tempo che fa, a volt estrappavano la risata, a volte la commozione, informavano e svelavano collegamenti. era comunque un genere di satira.
la satira e' quando prendi ingiro uno piu' potente di te, la parodia quando prendi in giro uno piu' intelligente di te, l'avanspettacolo quando fai le due cose assieme con i pantaloni abbassati
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Re: Wikillit, cipcip, internet e dell'avere parere su ogni cosa
la satira è anche informazione..
Re: Wikillit, cipcip, internet e dell'avere parere su ogni cosa
Ah, ecco perche' ti piace prendermi in giro! Ti riferisci alla potenza sessuale, vero?alessandro ha scritto:balbysauro ha scritto:Woodruff ha scritto: La satira : spesso e' vero e proprio odio che, mascherato da satira, puo' riversarsi senza limiti sulla vittima di turnoalessandro ha scritto: "Gasparri" ... il quale diceva "questa non e' satira ma informazione, la satira deve fare ridere non informare, se non fa ridere e attacca e' vero e proprio odio che, mascherato da satira, puo' riversarsi senza limiti sulla vittima di turno"
dai che piano piano...
ora mi aspetto che la prima volta che Gasparri parla (parla?) in tv inizi dicendo "premetto che sono di sinistra"
mi hai beccato! questa e' satira. Mi ero accorto che avevano detto piu' o meno la stessa cosa e cosi'...
la satira e' quando prendi ingiro uno piu' potente di te
Ultima modifica di Woodruff il mer ott 05, 2011 11:41 am, modificato 1 volta in totale.
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Re: Wikillit, cipcip, internet e dell'avere parere su ogni cosa
vudruf, per carità.
Gios ha scritto: Fate del bene al mondo, ragazzi, non andate dietro le cazzate: comprate bei libri.
Nickognito ha scritto: Anche perché molte persone vivono una esistenza non grigia, vedono tanti bei posti e tramonti e non sono tutti pessimisti come su mymag
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Re: Wikillit, cipcip, internet e dell'avere parere su ogni cosa
C'erano una volta i blogger in Messico
Lo "strimpellatore" è il quarto ucciso dai narcos negli ultimi tre mesi. Dietro la guerra della droga c'è quella dell'informazione
Un trentacinquenne conosciuto in rete con il nome di Rascatripas, lo "strimpellatore", è stato trovato senza testa e con le mani legate alla periferia di Nuevo Laredo, città messicana al confine con il Texas. Sul suo corpo un messaggio: "Ciao, sono Rascatripas e questo mi è successo perché non ho capito che non avrei dovuto postare cose sui social network".
Lo strimpellatore moderava le discussioni su un sito web che denuncia i cartelli della droga, specialmente Los Zetas, e raccoglie segnalazioni anonime sui poliziotti corrotti del confine. Evidentemente l'anonimato della faccenda non è abbastanza sicuro se a Nuevo Laredo sono morti quattro blogger negli ultimi tre mesi. L'ultima, María Elizabeth Macías detta "La nena de Laredo" era stata trovata il 25 settembre. Anche lei era decapitata: è la sanguinosa firma lasciata dai narcos per far capire a giornalisti e blogger come girano le cose.
In Messico è in corso da anni una faida contro i giornalisti che raccontano la guerra del narcotraffico e giornali come El Diario di Ciudad Juarez sono stati costretti a smettere di occuparsi della vicenda. Così ha iniziato a farlo il mondo anonimo e sommerso dei blogger sui narcos, genere reso famoso dal Blog del Narco, sito di un sedicente studente che pubblica video di esecuzioni, minacce, indizi e numeri del narcotraffico. Il fatto che però quel blogger sia ancora vivo ha fatto nascere in molti il sospetto che il portale sia uno strumento di intimidazione gestito dai cartelli.
http://www.ilfoglio.it/soloqui/11124
Notizia interessante e al tempo stesso inquietante
Lo "strimpellatore" è il quarto ucciso dai narcos negli ultimi tre mesi. Dietro la guerra della droga c'è quella dell'informazione
Un trentacinquenne conosciuto in rete con il nome di Rascatripas, lo "strimpellatore", è stato trovato senza testa e con le mani legate alla periferia di Nuevo Laredo, città messicana al confine con il Texas. Sul suo corpo un messaggio: "Ciao, sono Rascatripas e questo mi è successo perché non ho capito che non avrei dovuto postare cose sui social network".
Lo strimpellatore moderava le discussioni su un sito web che denuncia i cartelli della droga, specialmente Los Zetas, e raccoglie segnalazioni anonime sui poliziotti corrotti del confine. Evidentemente l'anonimato della faccenda non è abbastanza sicuro se a Nuevo Laredo sono morti quattro blogger negli ultimi tre mesi. L'ultima, María Elizabeth Macías detta "La nena de Laredo" era stata trovata il 25 settembre. Anche lei era decapitata: è la sanguinosa firma lasciata dai narcos per far capire a giornalisti e blogger come girano le cose.
In Messico è in corso da anni una faida contro i giornalisti che raccontano la guerra del narcotraffico e giornali come El Diario di Ciudad Juarez sono stati costretti a smettere di occuparsi della vicenda. Così ha iniziato a farlo il mondo anonimo e sommerso dei blogger sui narcos, genere reso famoso dal Blog del Narco, sito di un sedicente studente che pubblica video di esecuzioni, minacce, indizi e numeri del narcotraffico. Il fatto che però quel blogger sia ancora vivo ha fatto nascere in molti il sospetto che il portale sia uno strumento di intimidazione gestito dai cartelli.
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Notizia interessante e al tempo stesso inquietante
"C’è gente che magari sa scrivere, scrive e pubblica sui forum quello che scrive, ma non sa assolutamente leggere..."
(paoolino parafrasando Sciascia)
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Re: Wikillit, cipcip, internet e dell'avere parere su ogni cosa
più che inquietante... e un invito indiretto a moderare i termini, di qua, quando si parla di censura, bavaglio, fascismo, omicidio alla libera espressione e si utilizzano espressioni del genere. pur essendo, nel più dei casi, dalla parte della ragione dal punto di vista "fattuale".
"You can walk away from someone who doesn't love you. And you can walk away from someone you don't love. But when the love is mutual," Roy said. "The hardest thing is to walk away."
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Re: Wikillit, cipcip, internet e dell'avere parere su ogni cosa
e fra l'altro gli va anche tutto bene, a 'sti bastardi.
Francisco Blake, 45 anni, era uno dei cardini della lotta contro i narcos
Messico: cade elicottero, muoiono il ministro dell'Interno e altre 7 persone
Il velivolo è precipitato nei pressi di Cuernavaca: la prima ipotesi è quella dell'incidente
WASHINGTON (USA) - Il ministro dell’Interno messicano, Francisco Blake, è deceduto insieme ad altre 7 persone in un incidente aereo. L’elicottero sul quale viaggiava è precipitato vicino alla città di Cuernavaca, 90 chilometri a sud della capitale. Un portavoce ha precisato che il velivolo non si trovava sulla rotta prevista e che nella zona c’era una fitta nebbia. Forse il pilota ha tentato un atterraggio di emergenza. E lo stesso presidente Felipe Calderon, dopo aver presieduto una riunione del Consiglio di sicurezza, non ha escluso che siano state le avverse condizioni meteo a causare l’incidente, anche se gli investigatori sono ancora al lavoro.
CHI ERA - Blake, 45 anni, insieme al ministro della Difesa, coordinava la difficile strategia contro i cartelli della droga che insanguinano il Messico. Un conflitto che ha provocato 45 mila vittime (o forse molte di più) e che sembra inarrestabile. Le gang dimostrano ogni giorno la loro potenza così come metodi feroci che tante volte abbiano raccontato su Corriere.it. Per molti osservatori la morte di Blake è un duro colpo per l’amministrazione Calderon in quanto cade in un momento critico. La lotta tra i boss ha contagiato nuove regioni. E la mattanza si è estesa allo stato di Taumalipas, a Veracruz, Jalisco e alla capitale economica del paese, Monterrey. In queste ore tutti hanno subito pensato ad un precedente drammatico. Nel novembre del 2008 l’allora responsabile dell’Interno, Juan Camilo Mourino, è morto in un altro disastro aereo. Il suo Gulfstream si è schiantato in una strada affollata di Città del Messico. La versione ufficiale ha sempre sostenuto che il jet sarebbe precipitato a causa di una inattesa turbolenza provocata da un aereo passeggeri che lo precedeva. Una spiegazione che tuttavia ha incontrato molto scetticismo. Non sono pochi coloro che ancora oggi sospettano si sia trattato di un sabotaggio. Lo stesso scenario potrebbe ripetersi con l’incidente di Blake. La fine tragica di un ministro non solo crea sgomento ma provoca illazioni. Le bande criminali hanno dimostrato di non fermarsi davanti a nulla e sono purtroppo note le collusioni con apparati dello stato o la politica. E’ inevitabile che qualcuno possa pensare ad un attentato. Per questo è importante che le autorità accertino quello è accaduto e lo comunichino con chiarezza al paese.
Guido Olimpio
11 novembre 2011 23:00
(corriere.it)
Francisco Blake, 45 anni, era uno dei cardini della lotta contro i narcos
Messico: cade elicottero, muoiono il ministro dell'Interno e altre 7 persone
Il velivolo è precipitato nei pressi di Cuernavaca: la prima ipotesi è quella dell'incidente
WASHINGTON (USA) - Il ministro dell’Interno messicano, Francisco Blake, è deceduto insieme ad altre 7 persone in un incidente aereo. L’elicottero sul quale viaggiava è precipitato vicino alla città di Cuernavaca, 90 chilometri a sud della capitale. Un portavoce ha precisato che il velivolo non si trovava sulla rotta prevista e che nella zona c’era una fitta nebbia. Forse il pilota ha tentato un atterraggio di emergenza. E lo stesso presidente Felipe Calderon, dopo aver presieduto una riunione del Consiglio di sicurezza, non ha escluso che siano state le avverse condizioni meteo a causare l’incidente, anche se gli investigatori sono ancora al lavoro.
CHI ERA - Blake, 45 anni, insieme al ministro della Difesa, coordinava la difficile strategia contro i cartelli della droga che insanguinano il Messico. Un conflitto che ha provocato 45 mila vittime (o forse molte di più) e che sembra inarrestabile. Le gang dimostrano ogni giorno la loro potenza così come metodi feroci che tante volte abbiano raccontato su Corriere.it. Per molti osservatori la morte di Blake è un duro colpo per l’amministrazione Calderon in quanto cade in un momento critico. La lotta tra i boss ha contagiato nuove regioni. E la mattanza si è estesa allo stato di Taumalipas, a Veracruz, Jalisco e alla capitale economica del paese, Monterrey. In queste ore tutti hanno subito pensato ad un precedente drammatico. Nel novembre del 2008 l’allora responsabile dell’Interno, Juan Camilo Mourino, è morto in un altro disastro aereo. Il suo Gulfstream si è schiantato in una strada affollata di Città del Messico. La versione ufficiale ha sempre sostenuto che il jet sarebbe precipitato a causa di una inattesa turbolenza provocata da un aereo passeggeri che lo precedeva. Una spiegazione che tuttavia ha incontrato molto scetticismo. Non sono pochi coloro che ancora oggi sospettano si sia trattato di un sabotaggio. Lo stesso scenario potrebbe ripetersi con l’incidente di Blake. La fine tragica di un ministro non solo crea sgomento ma provoca illazioni. Le bande criminali hanno dimostrato di non fermarsi davanti a nulla e sono purtroppo note le collusioni con apparati dello stato o la politica. E’ inevitabile che qualcuno possa pensare ad un attentato. Per questo è importante che le autorità accertino quello è accaduto e lo comunichino con chiarezza al paese.
Guido Olimpio
11 novembre 2011 23:00
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Re: Wikillit, cipcip, internet e dell'avere parere su ogni cosa
Intervista a Umberto Eco
Hell yes!Faccio un esempio: l'altro giorno stavo correggendo un saggio su Croce. Croce, basandosi sulla sua autorevolezza, ha per 50 anni diffuso in Italia delle idee false, e tutti in Italia le han prese per buone, senza calcolare che lui non capiva niente di arte. È stato il maestro di estetica di due, tre generazioni senza aver mai capito niente di arte. E quindi vedi che, l'autorevolezza, certe volte... sarebbe stato molto più utile la risposta di artisti, ragazzi, studenti. Questo controllo da parte della massa può, come diceva Peirce, in the long run, produrre uno sviluppo.
“True terror is to wake up one morning and discover that your high school class is running the country.” (K. Vonnegut)
Re: Wikillit, cipcip, internet e dell'avere parere su ogni cosa
Eco muoia: così sapremo se verrà ricordato come Croce.
« Ci vorrebbe un lavoro a parte per star dietro a tutte le balle che si scrivono »
(Albornoz)
el saòn no’l sa gnente, l’inteligente el sa poco, l’ignorante el sa tanto, el mona el sa tuto!
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Re: Wikillit, cipcip, internet e dell'avere parere su ogni cosa
Dell'idiozia al tempo di internet
(su Barnard mantenevo ancora, pur a fatica, il beneficio del dubbio, caro Taylor. Ora non più, questo è abbastanza)
(su Barnard mantenevo ancora, pur a fatica, il beneficio del dubbio, caro Taylor. Ora non più, questo è abbastanza)
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Re: Wikillit, cipcip, internet e dell'avere parere su ogni cosa
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Re: Wikillit, cipcip, internet e dell'avere parere su ogni cosa
Ieri stavo giusto pensando a quando studiavo latino. Il Tantucci, le versioni, quelle cose lì: presumo oggi sia tutto in rete, facilitando il compito dei ggiovani. Anche le ricerchine, quando ti davano qualcosa da fare, credo siano diventate più semplici, soprattutto con insegnanti di una certa età.
Mi chiedo se siano cambiati i metodi di giudizio, se gli insegnanti cioè abbiano fatto gli anticorpi (non tanto per i compiti in classe, e le interrogazioni, quanto nel far fare qualche sforzo ai ragazzi).
Mi chiedo se siano cambiati i metodi di giudizio, se gli insegnanti cioè abbiano fatto gli anticorpi (non tanto per i compiti in classe, e le interrogazioni, quanto nel far fare qualche sforzo ai ragazzi).
Re: Wikillit, cipcip, internet e dell'avere parere su ogni cosa
riflessione interessante... servirebbe però qualcuno che abbia esperienze dirette della scuola attualeGios ha scritto:Ieri stavo giusto pensando a quando studiavo latino. Il Tantucci, le versioni, quelle cose lì: presumo oggi sia tutto in rete, facilitando il compito dei ggiovani. Anche le ricerchine, quando ti davano qualcosa da fare, credo siano diventate più semplici, soprattutto con insegnanti di una certa età.
Mi chiedo se siano cambiati i metodi di giudizio, se gli insegnanti cioè abbiano fatto gli anticorpi (non tanto per i compiti in classe, e le interrogazioni, quanto nel far fare qualche sforzo ai ragazzi).
- balbysauro
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Re: Wikillit, cipcip, internet e dell'avere parere su ogni cosa
balbysauro ha scritto:Mr. Roth, ci dispiace, lei non è una fonte credibile per quanto riguarda "Macchia umana"
Che idioti.
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Re: Wikillit, cipcip, internet e dell'avere parere su ogni cosa
Riporto articolo di Piperno su Rushdie che al momento non ho tempo di leggere: qui.
Non è poi così strano che Salman Rushdie abbia scritto il suo fluviale bellissimo memoir in terza persona. Un modo come un altro per dare conto della dissociazione cui fu costretto, quando, appena quarantenne, avvenimenti a dir poco grotteschi tramutarono il sedentario autore di una manciata di romanzi straordinariamente elitari in un apostata fuggiasco. A quel punto, almeno agli occhi di Rushdie, Rushdie smise di essere Rushdie, diventando qualcun altro: «Il divario tra il “Salman” privato, l’individuo che credeva di essere, e il “Rushdie” pubblico, in cui si riconosceva a stento, si allargava ogni giorno di più».
Quindi la terza persona singolare non è che un atto di onestà stilistica.
Da fan di Rushdie della prima ora, ho avuto modo, negli anni, di rammaricarmi per l’influenza nefasta esercitata dalla fatwa sulla sua vita artistica. I figli della mezzanotte, il suo secondo libro, era indiscutibilmente un capolavoro. E, anche se un po’ più discutibilmente, lo erano La vergogna e I versi satanici.
Ma poi?
Intimidisci uno scrittore di talento, minaccialo, braccalo, ricoprilo di ingiurie e contumelie, misconosci il suo diritto a vivere, fa di lui la vedette del gossip globale, raccontalo come un impostore, come un egocentrico dissoluto, privalo del focolare domestico, del diritto di replica, del relativo anonimato concesso alla maggior parte degli artisti (persino i più celebri), sradicalo dalla sua truce materia originaria, aggravalo di cautele civili e pubbliche responsabilità, costringilo a reticenti abiure, e metterai a repentaglio la sua peculiarità più preziosa.
La fatwa entra nella narrativa rushdiana dalla porta di servizio, in qualche modo sabotandola dall’interno. Vina Apsara, la protagonista di La terra sotto i miei piedi (1999), muore il giorno di San Valentino del 1989, ovvero lo stesso della fatwa. Shalimar il clown, protagonista dell’omonimo romanzo (2006), per poco non sgozza uno scrittore sotto scorta incontrato per caso in un parcheggio. Ma a parte tali piccole allusioni scaramantiche la narrativa dopo- fatwa di Rushdie appare singolarmente sterilizzata: i romanzi di un uomo comprensibilmente impaurito che non sa da che parte guardare.
Joseph Anton, il ponderoso memoir appena uscito, è il suo miglior libro dai tempi dei Versi satanici. Il che non deve stupire: anche il libro migliore di Amos Oz è un memoir; e, a ben pensarci, anche i libri migliori di Martin Amis e di James Ellroy sono memoir. Bizzarrie della narrativa contemporanea! La peculiarità di Rushdie è che lui è il solo scrittore che avrebbe potuto intitolare la propria autobiografia con il nome di un altro. Joseph Anton è il nome che dovette prendere, su insistenza di Scotland Yard, quando il suo nome divenne sinonimo di «bomba ad orologeria». Volendo chiarire a se stesso che il suo dramma era anzitutto di natura artistica, Rushdie rubò i nomi di battesimo a Conrad e Checov. Da quel giorno fu Joseph Anton: «Un uomo senza eserciti costretto a combattere continuamente su più fronti: il fronte privato della sua vita segreta, fatta di appostamenti, nascondigli, paura degli idraulici e degli operai, affannose ricerche di case e rifugi, orribili parrucche; e il fronte editoriale, dove, nonostante tutto il suo lavoro, non poteva dare nulla per scontato, nemmeno la stessa pubblicazione».
Non c’è un solo momento, in questo libro, in cui il riflesso della vita vera non si riverberi su quella artistica, e viceversa. In certi momenti pare quasi che il dolore più profondo di Rushdie non sia stato quello di dover rinunciare a un’esistenza normale, ma di vedere il suo libro più difficile (un investimento colossale) trasformato in un ripugnantemanufatto che non aveva più niente a che spartire con la letteratura. «Non ci volle molto perché il linguaggio della letteratura fosse sovrastato dalla cacofonia di altri discorsi, politici, religiosi, sociologici, postcoloniali. Le qualità intrinseche del libro, i suoi veri intenti artistici, erano scaduti al rango di inconsistenti frivolezze». Fu così che il «romanzo reale» si trasformò in una specie di «romanzo immaginario» di cui tutti parlavano, ma che nessuno aveva un serio interesse a leggere.
Il sesto potere
Solo qualche settimana fa Martin Amis sfogava la sua rabbia per la valanga di insensate elucubrazioni con cui i tabloid inglesi avevano cercato di spiegare il suo cambio di domicilio: da Londra a New York. Più o meno negli stessi giorni si consumava il duello tra Philip Roth e Wikipedia: per via delle resistenze di quest’ultima ad accogliere le rettifiche inviate da Roth a proposito di marchiani errori contenuti nel suo profilo. E, a proposito di Wikipedia, ricordo una spassosa «Bustina di Minerva» in cui Umberto Eco rivelava di aver dovuto correggere, di suo pugno e a più riprese, una bizzarra inesattezza biografica: no, lui non era sposato a Ginevra Bompiani. Jonathan Franzen, invece, se l’è presa con Twitter: «L’anno scorso ho impiegato otto settimane per chiudere l’account di un impostore che si spacciava per me. È stato un incubo e ho dovuto inviare la mia foto e la copia del passaporto».
Qualcuno a questo punto potrebbe obbiettare: ma insomma cosa diavolo succede a questi scrittori? Perché sono tutti così esasperati e suscettibili? Perché non si godono quello che hanno e non si disinteressano di tutto quello che viene detto e scritto su di loro? In fondo poteva andare peggio. Avrebbero potuto patire il silenzio del più inglorioso anonimato. Dopotutto, suscitare tanta curiosità ossessiva è un privilegio: il prezzo della celebrità che, peraltro, in altri ambiti (cinema, musica, politica), è decisamente più salato.
L’obiezione tiene solo in parte. In fondo la celebrità non è l’ultimo orizzonte esistenziale (soprattutto per chi l’ha raggiunta). Il disagio di scrittori così diversi, accomunati solo dalla fortuna dei loro libri e da un talento peculiare, la dice lunga sulla forza inquinante di quello che potremmo pomposamente definire il «Sesto Potere».
Cos’è il Sesto Potere?
Non quello nelle mani dei guru delle nuove tecnologie, come pensano alcuni sociologi.
Rubando una felice espressione a Rushdie potremmo dire che il Sesto Potere è «la cacofonia di altri discorsi». Esso prolifica nella zona franca in cui i «si dice» dei giornali si incontrano con i tam tam del web. Una palestra di mistificazioni incontrollate. Qualcosa di decisamente più potente e pericoloso del vento della calunnia deliberata. Un mood, per così dire, che sbaraglia tutto e tutti. Il Sesto Potere è un mostro pieno di teste. Ne tagli una, ne sbucano altre cinque. Qualora un giorno, sulla ribalta della storia, dovesse affacciarsi una nuova forma di totalitarismo sono certo si avvarrebbe spregiudicatamente del Sesto Potere.
Non sorprende allora che siano proprio gli scrittori a mostrarsi insofferenti nei confronti della violenza del Sesto Potere. Essi intuiscono che il Sesto Potere è il più fervido nemico del loro lavoro. Per quanto un libro di un narratore serio possa essere scadente e malriuscito, esso è sempre il risultato di un grande sforzo di precisione. Ecco perché Franzen non vuole che un tizio vada in giro a sparare sciocchezze in suo nome. O perché Amis ce l’ha con le capziose incursioni della stampa nella sua vita privata. Parliamo di individui per cui una virgolamessa al punto sbagliato, un’allitterazione sfuggita alla revisione delle ultime bozze, o, Dio non voglia, un refuso, possono essere motivo di angosce terribili. Come chiedere a persone così nevrotiche di sopportare la caterva di patacche messe in circolazione dal Sesto Potere? Arrivo a dire che, per fronteggiare questomostro della distorsione e dello stravolgimento, uno scrittore, che abbia a cuore il proprio lavoro, finisce con il preferire una stroncatura ben argomentata a qualsiasi generico sperticato elogio. Perché è tipico del Sesto Potere nutrirsi di idee generali e non tenere in gran conto il dettaglio specifico.
Che suono ha il Sesto Potere?
Quello del chiacchiericcio indistinto e anonimo, una selva di voci attorcigliate. Un rumore asettico e terrorizzante di stoviglie, il ticchettio della tastiera di un laptop in uno Starbucks affollato. Forse non a caso mi viene in mente il magnifico incipit di Massa e potere di Elias Canetti: «Nulla l’uomo teme di più che essere toccato dall’ignoto».
Una via di fuga?
Ecco, non c’è niente di più ignoto del Sesto Potere. Come scoprì Rushdie quando il suo ambiziosissimo libro smise di essere un libro e diventò un oggetto imbarazzante che gli editori di tutto il mondo si erano pentiti di aver pubblicato: «Passare cinque anni della propria vita a lavorare alacremente a un progetto grande e complesso, cercare di venirne a capo, di tenerlo sotto controllo, di conferirgli tutta l’armonica bellezza di cui si è capaci, e poi, una volta ultimato, vederlo accolto in maniera così negativa e distorta, ecco, tutto ciò gli faceva davvero pensare che forse il gioco non valeva la candela». Rushdie rende perfettamente lo sdoppiamento cui il Sesto Potere costringe lo scrittore. Un’esperienza dostoevskijana tra le più estreme. Da un lato ci sei tu che te ne stai a casa, assediato dalle tue mille fragilità e dai grattacapi della vita quotidiana, dall’altro c’è un avatar impazzito, che se ne va in giro per il mondo, ospite nelle mille dimore messe a disposizione dal Sesto Potere. Si tratta di un avatar antipatico, spocchioso, che dice cose stravaganti, che fa discorsi apodittici, che esprime idee su qualsiasi cosa, un incrocio tra un bastardo e un pallone gonfiato. Faresti di tutto per azzittirlo, per renderlo innocuo e inoffensivo. Ma non hai alcun potere su di lui. Anzi, è lui a tenerti in pugno. Si diverte a fare un cattivo uso delle tue parole. Non chiede di meglio che sputtanarti pubblicamente. «La maggior parte di ciò che conta nella nostra vita si svolge in nostra assenza» scriveva Rushdie tanti anni fa ne I figli della mezzanotte. Una frase davvero profetica considerando in cosa si sarebbe trasformata un giorno la sua vita.
Eppure in questo memoir fantastico, che designa un vero e proprio itinerario di caduta e di parziale riscatto, Rushdie suggerisce un modo per allontanare da sé gli allettamenti demoniaci che il Sesto Potere ti sventola sotto il naso. E il suo discorso è tanto più convincente perché in ballo non c’è la semplice reputazione di uno scrittore alle prese con il suo asfittico ambiente letterario, ma una questione di vita o dimorte. «Stava cominciando a imparare la lezione che lo avrebbe reso libero: essere prigionieri del bisogno di essere amati significa chiudersi in una cella di interminabile tormento, da cui non c’è possibilità di fuga. Doveva capire, una volta per tutte, che c’era gente che non lo avrebbe mai amato, indipendentemente dalla cura profusa nello spiegare la sua opera e le sue intenzioni (…). Fintanto che avesse scritto e parlato chiaramente, con opere e prese di posizione pubbliche che non cozzavano con la sua coscienza, allora avrebbe anche potuto sopportare di non piacere».
Insomma vivere come se il Sesto Potere non esistesse. Attenersi ai dettami suggeriti dalla coscienza. Dopotutto il lavoro di uno scrittore non consiste nel provare a piacere agli altri, ma nell’assai più arduo tentativo di arrivare a non dispiacere troppo a se stesso. «Stava imparando» scrive ancora Rushdie fingendo di parlare di un altro «che, per vincere una battaglia simile, non bastava sapere contro cosa lottava. Quello era facile: non si poteva ammazzare qualcuno per le sue idee e nessuna religione aveva il diritto di imporre limiti al pensiero umano. Ma ora doveva aver chiaro a favore di cosa si stava battendo: la libertà di parola, la libertà dell’immaginazione, la libertà dalla paura, per quell’arte bella e antica che aveva il privilegio di praticare. Non solo: lottava anche per lo scetticismo, per l’irriverenza, per il dubbio, per la satira, per la commedia, e per le gioie profane».
Era un sacco di tempo che non leggevo (e non trascrivevo con gioia) parole così fresche e toccanti.
Non è poi così strano che Salman Rushdie abbia scritto il suo fluviale bellissimo memoir in terza persona. Un modo come un altro per dare conto della dissociazione cui fu costretto, quando, appena quarantenne, avvenimenti a dir poco grotteschi tramutarono il sedentario autore di una manciata di romanzi straordinariamente elitari in un apostata fuggiasco. A quel punto, almeno agli occhi di Rushdie, Rushdie smise di essere Rushdie, diventando qualcun altro: «Il divario tra il “Salman” privato, l’individuo che credeva di essere, e il “Rushdie” pubblico, in cui si riconosceva a stento, si allargava ogni giorno di più».
Quindi la terza persona singolare non è che un atto di onestà stilistica.
Da fan di Rushdie della prima ora, ho avuto modo, negli anni, di rammaricarmi per l’influenza nefasta esercitata dalla fatwa sulla sua vita artistica. I figli della mezzanotte, il suo secondo libro, era indiscutibilmente un capolavoro. E, anche se un po’ più discutibilmente, lo erano La vergogna e I versi satanici.
Ma poi?
Intimidisci uno scrittore di talento, minaccialo, braccalo, ricoprilo di ingiurie e contumelie, misconosci il suo diritto a vivere, fa di lui la vedette del gossip globale, raccontalo come un impostore, come un egocentrico dissoluto, privalo del focolare domestico, del diritto di replica, del relativo anonimato concesso alla maggior parte degli artisti (persino i più celebri), sradicalo dalla sua truce materia originaria, aggravalo di cautele civili e pubbliche responsabilità, costringilo a reticenti abiure, e metterai a repentaglio la sua peculiarità più preziosa.
La fatwa entra nella narrativa rushdiana dalla porta di servizio, in qualche modo sabotandola dall’interno. Vina Apsara, la protagonista di La terra sotto i miei piedi (1999), muore il giorno di San Valentino del 1989, ovvero lo stesso della fatwa. Shalimar il clown, protagonista dell’omonimo romanzo (2006), per poco non sgozza uno scrittore sotto scorta incontrato per caso in un parcheggio. Ma a parte tali piccole allusioni scaramantiche la narrativa dopo- fatwa di Rushdie appare singolarmente sterilizzata: i romanzi di un uomo comprensibilmente impaurito che non sa da che parte guardare.
Joseph Anton, il ponderoso memoir appena uscito, è il suo miglior libro dai tempi dei Versi satanici. Il che non deve stupire: anche il libro migliore di Amos Oz è un memoir; e, a ben pensarci, anche i libri migliori di Martin Amis e di James Ellroy sono memoir. Bizzarrie della narrativa contemporanea! La peculiarità di Rushdie è che lui è il solo scrittore che avrebbe potuto intitolare la propria autobiografia con il nome di un altro. Joseph Anton è il nome che dovette prendere, su insistenza di Scotland Yard, quando il suo nome divenne sinonimo di «bomba ad orologeria». Volendo chiarire a se stesso che il suo dramma era anzitutto di natura artistica, Rushdie rubò i nomi di battesimo a Conrad e Checov. Da quel giorno fu Joseph Anton: «Un uomo senza eserciti costretto a combattere continuamente su più fronti: il fronte privato della sua vita segreta, fatta di appostamenti, nascondigli, paura degli idraulici e degli operai, affannose ricerche di case e rifugi, orribili parrucche; e il fronte editoriale, dove, nonostante tutto il suo lavoro, non poteva dare nulla per scontato, nemmeno la stessa pubblicazione».
Non c’è un solo momento, in questo libro, in cui il riflesso della vita vera non si riverberi su quella artistica, e viceversa. In certi momenti pare quasi che il dolore più profondo di Rushdie non sia stato quello di dover rinunciare a un’esistenza normale, ma di vedere il suo libro più difficile (un investimento colossale) trasformato in un ripugnantemanufatto che non aveva più niente a che spartire con la letteratura. «Non ci volle molto perché il linguaggio della letteratura fosse sovrastato dalla cacofonia di altri discorsi, politici, religiosi, sociologici, postcoloniali. Le qualità intrinseche del libro, i suoi veri intenti artistici, erano scaduti al rango di inconsistenti frivolezze». Fu così che il «romanzo reale» si trasformò in una specie di «romanzo immaginario» di cui tutti parlavano, ma che nessuno aveva un serio interesse a leggere.
Il sesto potere
Solo qualche settimana fa Martin Amis sfogava la sua rabbia per la valanga di insensate elucubrazioni con cui i tabloid inglesi avevano cercato di spiegare il suo cambio di domicilio: da Londra a New York. Più o meno negli stessi giorni si consumava il duello tra Philip Roth e Wikipedia: per via delle resistenze di quest’ultima ad accogliere le rettifiche inviate da Roth a proposito di marchiani errori contenuti nel suo profilo. E, a proposito di Wikipedia, ricordo una spassosa «Bustina di Minerva» in cui Umberto Eco rivelava di aver dovuto correggere, di suo pugno e a più riprese, una bizzarra inesattezza biografica: no, lui non era sposato a Ginevra Bompiani. Jonathan Franzen, invece, se l’è presa con Twitter: «L’anno scorso ho impiegato otto settimane per chiudere l’account di un impostore che si spacciava per me. È stato un incubo e ho dovuto inviare la mia foto e la copia del passaporto».
Qualcuno a questo punto potrebbe obbiettare: ma insomma cosa diavolo succede a questi scrittori? Perché sono tutti così esasperati e suscettibili? Perché non si godono quello che hanno e non si disinteressano di tutto quello che viene detto e scritto su di loro? In fondo poteva andare peggio. Avrebbero potuto patire il silenzio del più inglorioso anonimato. Dopotutto, suscitare tanta curiosità ossessiva è un privilegio: il prezzo della celebrità che, peraltro, in altri ambiti (cinema, musica, politica), è decisamente più salato.
L’obiezione tiene solo in parte. In fondo la celebrità non è l’ultimo orizzonte esistenziale (soprattutto per chi l’ha raggiunta). Il disagio di scrittori così diversi, accomunati solo dalla fortuna dei loro libri e da un talento peculiare, la dice lunga sulla forza inquinante di quello che potremmo pomposamente definire il «Sesto Potere».
Cos’è il Sesto Potere?
Non quello nelle mani dei guru delle nuove tecnologie, come pensano alcuni sociologi.
Rubando una felice espressione a Rushdie potremmo dire che il Sesto Potere è «la cacofonia di altri discorsi». Esso prolifica nella zona franca in cui i «si dice» dei giornali si incontrano con i tam tam del web. Una palestra di mistificazioni incontrollate. Qualcosa di decisamente più potente e pericoloso del vento della calunnia deliberata. Un mood, per così dire, che sbaraglia tutto e tutti. Il Sesto Potere è un mostro pieno di teste. Ne tagli una, ne sbucano altre cinque. Qualora un giorno, sulla ribalta della storia, dovesse affacciarsi una nuova forma di totalitarismo sono certo si avvarrebbe spregiudicatamente del Sesto Potere.
Non sorprende allora che siano proprio gli scrittori a mostrarsi insofferenti nei confronti della violenza del Sesto Potere. Essi intuiscono che il Sesto Potere è il più fervido nemico del loro lavoro. Per quanto un libro di un narratore serio possa essere scadente e malriuscito, esso è sempre il risultato di un grande sforzo di precisione. Ecco perché Franzen non vuole che un tizio vada in giro a sparare sciocchezze in suo nome. O perché Amis ce l’ha con le capziose incursioni della stampa nella sua vita privata. Parliamo di individui per cui una virgolamessa al punto sbagliato, un’allitterazione sfuggita alla revisione delle ultime bozze, o, Dio non voglia, un refuso, possono essere motivo di angosce terribili. Come chiedere a persone così nevrotiche di sopportare la caterva di patacche messe in circolazione dal Sesto Potere? Arrivo a dire che, per fronteggiare questomostro della distorsione e dello stravolgimento, uno scrittore, che abbia a cuore il proprio lavoro, finisce con il preferire una stroncatura ben argomentata a qualsiasi generico sperticato elogio. Perché è tipico del Sesto Potere nutrirsi di idee generali e non tenere in gran conto il dettaglio specifico.
Che suono ha il Sesto Potere?
Quello del chiacchiericcio indistinto e anonimo, una selva di voci attorcigliate. Un rumore asettico e terrorizzante di stoviglie, il ticchettio della tastiera di un laptop in uno Starbucks affollato. Forse non a caso mi viene in mente il magnifico incipit di Massa e potere di Elias Canetti: «Nulla l’uomo teme di più che essere toccato dall’ignoto».
Una via di fuga?
Ecco, non c’è niente di più ignoto del Sesto Potere. Come scoprì Rushdie quando il suo ambiziosissimo libro smise di essere un libro e diventò un oggetto imbarazzante che gli editori di tutto il mondo si erano pentiti di aver pubblicato: «Passare cinque anni della propria vita a lavorare alacremente a un progetto grande e complesso, cercare di venirne a capo, di tenerlo sotto controllo, di conferirgli tutta l’armonica bellezza di cui si è capaci, e poi, una volta ultimato, vederlo accolto in maniera così negativa e distorta, ecco, tutto ciò gli faceva davvero pensare che forse il gioco non valeva la candela». Rushdie rende perfettamente lo sdoppiamento cui il Sesto Potere costringe lo scrittore. Un’esperienza dostoevskijana tra le più estreme. Da un lato ci sei tu che te ne stai a casa, assediato dalle tue mille fragilità e dai grattacapi della vita quotidiana, dall’altro c’è un avatar impazzito, che se ne va in giro per il mondo, ospite nelle mille dimore messe a disposizione dal Sesto Potere. Si tratta di un avatar antipatico, spocchioso, che dice cose stravaganti, che fa discorsi apodittici, che esprime idee su qualsiasi cosa, un incrocio tra un bastardo e un pallone gonfiato. Faresti di tutto per azzittirlo, per renderlo innocuo e inoffensivo. Ma non hai alcun potere su di lui. Anzi, è lui a tenerti in pugno. Si diverte a fare un cattivo uso delle tue parole. Non chiede di meglio che sputtanarti pubblicamente. «La maggior parte di ciò che conta nella nostra vita si svolge in nostra assenza» scriveva Rushdie tanti anni fa ne I figli della mezzanotte. Una frase davvero profetica considerando in cosa si sarebbe trasformata un giorno la sua vita.
Eppure in questo memoir fantastico, che designa un vero e proprio itinerario di caduta e di parziale riscatto, Rushdie suggerisce un modo per allontanare da sé gli allettamenti demoniaci che il Sesto Potere ti sventola sotto il naso. E il suo discorso è tanto più convincente perché in ballo non c’è la semplice reputazione di uno scrittore alle prese con il suo asfittico ambiente letterario, ma una questione di vita o dimorte. «Stava cominciando a imparare la lezione che lo avrebbe reso libero: essere prigionieri del bisogno di essere amati significa chiudersi in una cella di interminabile tormento, da cui non c’è possibilità di fuga. Doveva capire, una volta per tutte, che c’era gente che non lo avrebbe mai amato, indipendentemente dalla cura profusa nello spiegare la sua opera e le sue intenzioni (…). Fintanto che avesse scritto e parlato chiaramente, con opere e prese di posizione pubbliche che non cozzavano con la sua coscienza, allora avrebbe anche potuto sopportare di non piacere».
Insomma vivere come se il Sesto Potere non esistesse. Attenersi ai dettami suggeriti dalla coscienza. Dopotutto il lavoro di uno scrittore non consiste nel provare a piacere agli altri, ma nell’assai più arduo tentativo di arrivare a non dispiacere troppo a se stesso. «Stava imparando» scrive ancora Rushdie fingendo di parlare di un altro «che, per vincere una battaglia simile, non bastava sapere contro cosa lottava. Quello era facile: non si poteva ammazzare qualcuno per le sue idee e nessuna religione aveva il diritto di imporre limiti al pensiero umano. Ma ora doveva aver chiaro a favore di cosa si stava battendo: la libertà di parola, la libertà dell’immaginazione, la libertà dalla paura, per quell’arte bella e antica che aveva il privilegio di praticare. Non solo: lottava anche per lo scetticismo, per l’irriverenza, per il dubbio, per la satira, per la commedia, e per le gioie profane».
Era un sacco di tempo che non leggevo (e non trascrivevo con gioia) parole così fresche e toccanti.
Re: Wikillit, cipcip, internet e dell'avere parere su ogni cosa
Fuor dei (penosi) problemi personali di Rushdie, trovo abbastanza puntuale la descrizione di questo (è il nome ad essere brutto, purtroppo) "Sesto Potere".
Re: Wikillit, cipcip, internet e dell'avere parere su ogni cosa
Ogni tanto capita di leggere i commenti ad articoli/post dei contenitori di notizie/blog, quando si viene rimbalzati tra un rimando e un altro. Sono una forma letteraria curiosa. Si possono riassumere delle regole.
1. Essere sagaci.
2. Essere sagaci più di quello che ha postato prima.
3. Sottolineare la superficialità dell'articolista.
4. Ovviamente essere più sagaci dell'articolista.
5. In poche righe (twitstyle) dimostrare brillantezza.
6. Conoscere bene bene ogni argomento. Padroneggiarlo.
Infine, fondamentale:
7. Qualsiasi sia l'argomento dell'articolo blog, piangere la situazione italiana (con una battuta dolceamara).
1. Essere sagaci.
2. Essere sagaci più di quello che ha postato prima.
3. Sottolineare la superficialità dell'articolista.
4. Ovviamente essere più sagaci dell'articolista.
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6. Conoscere bene bene ogni argomento. Padroneggiarlo.
Infine, fondamentale:
7. Qualsiasi sia l'argomento dell'articolo blog, piangere la situazione italiana (con una battuta dolceamara).
Re: Wikillit, cipcip, internet e dell'avere parere su ogni cosa
Ed anche lamentarsi e deridere i commenti, è naturalmente un luogo comuneGios ha scritto:Ogni tanto capita di leggere i commenti ad articoli/post dei contenitori di notizie/blog, quando si viene rimbalzati tra un rimando e un altro. Sono una forma letteraria curiosa. Si possono riassumere delle regole.
1. Essere sagaci.
2. Essere sagaci più di quello che ha postato prima.
3. Sottolineare la superficialità dell'articolista.
4. Ovviamente essere più sagaci dell'articolista.
5. In poche righe (twitstyle) dimostrare brillantezza.
6. Conoscere bene bene ogni argomento. Padroneggiarlo.
Infine, fondamentale:
7. Qualsiasi sia l'argomento dell'articolo blog, piangere la situazione italiana (con una battuta dolceamara).
Re: Wikillit, cipcip, internet e dell'avere parere su ogni cosa
Tempi duri per twitter, questi, quando ti stampano un unodue Mentana e Saviano.
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Re: Wikillit, cipcip, internet e dell'avere parere su ogni cosa
Te la canti e te la suoni , Gios.
Gios ha scritto: Fate del bene al mondo, ragazzi, non andate dietro le cazzate: comprate bei libri.
Nickognito ha scritto: Anche perché molte persone vivono una esistenza non grigia, vedono tanti bei posti e tramonti e non sono tutti pessimisti come su mymag
Re: Wikillit, cipcip, internet e dell'avere parere su ogni cosa
beh diciamo che il mondo è pieno di fessi bastardi, col web diventano più "accessibili"Gios ha scritto:Esseri umani in carne ed ossa.
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Re: Wikillit, cipcip, internet e dell'avere parere su ogni cosa
piu' che altro, pieno di fessi che mettono i cazzi loro in piazza sul web
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Re: Wikillit, cipcip, internet e dell'avere parere su ogni cosa
picard ha scritto:piu' che altro, pieno di fessi che mettono i *cavoli* loro in piazza sul web
appunto, se io vado per praga vestito da batman e senza mutande se la gente mi prende per il culo per strada mica posso accusare loro.
Non la considero una battaglia: se mi mettessi a fare una battaglia, ne uscirei distrutto (G.V.)
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Re: Wikillit, cipcip, internet e dell'avere parere su ogni cosa
per una volta, leggo e quoto
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Re: Wikillit, cipcip, internet e dell'avere parere su ogni cosa
cicciona e pure idiota
Non la considero una battaglia: se mi mettessi a fare una battaglia, ne uscirei distrutto (G.V.)
Re: Wikillit, cipcip, internet e dell'avere parere su ogni cosa
Mmmmmmmmmmmhhhhhh boh, non so, negli anni sto diventando molto indulgente verso le leggerezze, le stupidità, le cose goffe e malandate.
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Re: Wikillit, cipcip, internet e dell'avere parere su ogni cosa
certo, un idiota mica ha colpe, e nemmeno un malvagio, non esiste il libero arbitrio. Io sono indulgente anche verso la neve che si scioglie, ma non sto a dire 'che stronzo il sole, bastardo'. Ha messo le foto su facebook, si tenga le conseguenze. Cosi' va la vita.Gios ha scritto:Mmmmmmmmmmmhhhhhh boh, non so, negli anni sto diventando molto indulgente verso le leggerezze, le stupidità, le cose goffe e malandate.
Non la considero una battaglia: se mi mettessi a fare una battaglia, ne uscirei distrutto (G.V.)
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Re: Wikillit, cipcip, internet e dell'avere parere su ogni cosa
Appunto.Nickognito ha scritto: Ha messo le foto su facebook, si tenga le conseguenze. Cosi' va la vita.
Però adesso voglio la foto di te vestito da Batman senza mutande.
Gios ha scritto: Fate del bene al mondo, ragazzi, non andate dietro le cazzate: comprate bei libri.
Nickognito ha scritto: Anche perché molte persone vivono una esistenza non grigia, vedono tanti bei posti e tramonti e non sono tutti pessimisti come su mymag
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Re: Wikillit, cipcip, internet e dell'avere parere su ogni cosa
facebook censura queste foto con le stellinePINDARO ha scritto:Appunto.Nickognito ha scritto: Ha messo le foto su facebook, si tenga le conseguenze. Cosi' va la vita.
Però adesso voglio la foto di te vestito da Batman senza mutande.
Non la considero una battaglia: se mi mettessi a fare una battaglia, ne uscirei distrutto (G.V.)