Allora è vero, io mi fido di Ornellapaoolino ha scritto:Vedi, la presenza dell' (inutile) direttore d'orchestra serve proprio a farci abituare all'idea che uno comandi e gli altri eseguino (Muti).loveboat ha scritto:Poi è anche palese che l'1% domina e dirige tutto, mentre tutti gli altri vengono comandati a bacchetta
In Memoria
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Re: In Memoria
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Re: In Memoria
Si in effetti come c'è un minimo di storia dell'arte un'oretta di musica anche alle superiori non farebbe male, togliendo qualche ora inutile.chiaky ha scritto:maxredo ha scritto:Anche io condividevo la curiosità/domanda di Balby e il pensiero di Alessandro...ma forse sarebbe il caso di spostare la discussione altrove.
Ho sempre pensato, nella mia ignoranza musicale, che il direttore con quelle bacchette da ristorante cinese facesse solo una cosa simbolica/inutile
Credo lo pensino in molti.
Credimi, detto senza nessuna acidità o snobberia, ma penso che davvero ci sia un problema di scarsa conoscenza musicale nel paese che la musica l'ha inventata, oggi.
E' curioso che in Italia, come invece avviene in molti posti all'estero, ai bambini non venga insegnata la musica e la sua storia.
Poi, chiaramente, questo comporta una impossibilità di riconosce l'oro dalla cacca.... e non parlo necessariamente di musica classica, ma di qualunque musica, dato che qualunque musica ha i suoi picchi di qualità e viceversa la sua immondizia musicale.
Ed è un peccato, perchè anche la musica è cultura.
Io so a malapena dire le note in fila, dopo le medie (suonare il flauto era un'angoscia) mai più studiato nulla!
Re: In Memoria
ThePiper ha scritto:Io feci suonare la colonna sonora dell'ultimo treno della notte. La mia ex futura sposa capì che ero un maniaco e mi mollò sull'altare .
Una di ste sere me lo sparo.
tennisfan82 ha scritto:Per il calcio tutto è consentito.
Villo ha scritto:Questo sport dà una chance a tutti.
Horst Tappert ha scritto:Il mio personaggio piace perché rappresenta l'ordine.
chiaky ha scritto:Sempre meglio il tuo pene su onlyfans che la faccia di Speranza in televisione.
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Re: In Memoria
ThePiper ha scritto:Io feci suonare la colonna sonora dell'ultimo treno della notte. La mia ex futura sposa capì che ero un maniaco e mi mollò sull'altare .Paolo79 ha scritto:pure io ho fatto suonare "c'era una volta il west" quando mi sono sposato , pensavo di essere l'unico
il prete quando ha letto la scaletta all'inizio ha fatto una faccia un strana, poi deve aver realizzato cos'era e ha accennato un mini consenso
Morricone era un "orgoglio italiano" , non so quanti altri possano definirsi tali
Io, quando in vacanza percorrevo la litoranea marchigiana, di default quella de La Belva Col Mitra (Umberto Smaila compositore d'antan)
F.F.
“Volevo cambiare il mondo. L'ho fatto. L'ho reso peggiore”. -Arthur FinkelsteinNevenez 2019 ha scritto: Se nel 2022 Nadal non è ancora sparito, spariremo noi.
Re: In Memoria
Ma toglimi una curiosità: in un pezzo di classica io vedo che, una volta partiti, tutti i musicisti guardano il loro spartito. Pertanto, il direttore d'orchestra a che ...zo serve ? Un bravo musicista (ribadisco: una volta partito il pezzo) dovrebbe sapere quando tocca a lui, cosa suonare, come, ecc. E' evidente che non ci capisco un accidente, però.....chiaky ha scritto:E invece, come dico i francesi, è "Le chef", infatti è lui che cucina il pezzo. Se non ci fosse, il pezzo sarebbe insipido e suonato a pappagallo (solfeggiato è il termine tecnico). E' lui che dà espressione e direzione a qualsiasi musica e che ha la responsabilità dello spettacolo.Nell'opera, poi, è fondamentale, perchè sennò sarebbe impossibile gestire 300 persone tra orchestra, coro e solisti e ognuno andrebbe per conto suo. In aggiunta, soprattutto quelli bravi, suggeriscono anche ai cantanti il modo giusto di cantare, i colori, i piani, i forti, le nuancees, l'espressione.Marco Rodella ha scritto:Ammetto la mia ignoranza ma anche per me (nella mia somma ignoranza, ripeto) il direttore d'orchestra non conta un tubo.chiaky ha scritto:
Credo lo pensino in molti.
Credimi, detto senza nessuna acidità o snobberia, ma penso che davvero ci sia un problema di scarsa conoscenza musicale nel paese che la musica l'ha inventata, oggi.
E' curioso che in Italia, come invece avviene in molti posti all'estero, ai bambini non venga insegnata la musica e la sua storia.
Poi, chiaramente, questo comporta una impossibilità di riconosce l'oro dalla cacca.... e non parlo necessariamente di musica classica, ma di qualunque musica, dato che qualunque musica ha i suoi picchi di qualità e viceversa la sua immondizia musicale.
Ed è un peccato, perchè anche la musica è cultura.
Chiaro, se per direttore intendiamo quello che a Sanremo dirige la canzone del Festival, il Beppe Vessicchio della situazione per intenderci, è chiaro che non ha quasi importanza. Quella è davvero più una figura simbolica. Ma nella classica e ancor più nell'opera è il fulcro di tutto.
Porta l’amante a casa e trova la moglie a letto con due uomini. Tecnicamente è un full.
Re: In Memoria
Notevole. Mai visto neanche quello.Johnny Rex ha scritto:ThePiper ha scritto:Io feci suonare la colonna sonora dell'ultimo treno della notte. La mia ex futura sposa capì che ero un maniaco e mi mollò sull'altare .Paolo79 ha scritto:pure io ho fatto suonare "c'era una volta il west" quando mi sono sposato , pensavo di essere l'unico
il prete quando ha letto la scaletta all'inizio ha fatto una faccia un strana, poi deve aver realizzato cos'era e ha accennato un mini consenso
Morricone era un "orgoglio italiano" , non so quanti altri possano definirsi tali
Io, quando in vacanza percorrevo la litoranea marchigiana, di default quella de La Belva Col Mitra (Umberto Smaila compositore d'antan)
F.F.
Consiglio questa. Ammaliante.
tennisfan82 ha scritto:Per il calcio tutto è consentito.
Villo ha scritto:Questo sport dà una chance a tutti.
Horst Tappert ha scritto:Il mio personaggio piace perché rappresenta l'ordine.
chiaky ha scritto:Sempre meglio il tuo pene su onlyfans che la faccia di Speranza in televisione.
Re: In Memoria
E' li che sbagli! Non guardano lo spartito, o comunque lo guardano il meno possibile.Marco Rodella ha scritto:Ma toglimi una curiosità: in un pezzo di classica io vedo che, una volta partiti, tutti i musicisti guardano il loro spartito. Pertanto, il direttore d'orchestra a che ...zo serve ? Un bravo musicista (ribadisco: una volta partito il pezzo) dovrebbe sapere quando tocca a lui, cosa suonare, come, ecc. E' evidente che non ci capisco un accidente, però.....chiaky ha scritto:E invece, come dico i francesi, è "Le chef", infatti è lui che cucina il pezzo. Se non ci fosse, il pezzo sarebbe insipido e suonato a pappagallo (solfeggiato è il termine tecnico). E' lui che dà espressione e direzione a qualsiasi musica e che ha la responsabilità dello spettacolo.Nell'opera, poi, è fondamentale, perchè sennò sarebbe impossibile gestire 300 persone tra orchestra, coro e solisti e ognuno andrebbe per conto suo. In aggiunta, soprattutto quelli bravi, suggeriscono anche ai cantanti il modo giusto di cantare, i colori, i piani, i forti, le nuancees, l'espressione.Marco Rodella ha scritto:
Ammetto la mia ignoranza ma anche per me (nella mia somma ignoranza, ripeto) il direttore d'orchestra non conta un tubo.
Chiaro, se per direttore intendiamo quello che a Sanremo dirige la canzone del Festival, il Beppe Vessicchio della situazione per intenderci, è chiaro che non ha quasi importanza. Quella è davvero più una figura simbolica. Ma nella classica e ancor più nell'opera è il fulcro di tutto.
Noi guardiamo tutti il direttore(almeno con la coda dell'occhio). Pensa che abbiamo ai lati del palco, almeno due monitor dove si vede il direttore, perchè non dobbiamo perderlo di vista un istante.
Appena perdiamo il contatto con lui andiamo tutti a putt...ane.
Ma mica perchè non sappiamo suonare/cantare, ma perchè è così che succede, a chiunque.
Pensa che ieri sera, c'è stato un momento in cui stavamo per saltare per aria nonostante davanti avessimo il grande Zubin Mehta.
Mehta, che ha 84 anni e molte vicissitudini alle spalle, ha scelto un tempo (Paukenmesse di Haydn..un capolavoro straordinario) forse troppo lento e indugiante che già alle prove ci aveva messo un pò in difficoltà, e a un certo punto vuoi il tempo slentato e vuoi che qualcuno in coro e in orchestra aveva perso contatto, siamo stati a un millimetro dal finire tutti per aria. C'è stato uno scollamento in cui molti colleghi erano "avanti" di mezza battuta e sarebbe bastato un niente per fare un disastro. Per fortuna Zubin è stato bravo a riprendere tutto e nel giro di 5 secondi eravamo ancora tutti a piombo.
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Re: In Memoria
Erano i Concerti n. 1 e 2 di Bartok con la LSO diretta da Boulez che non usava le bacchette ed era anche compositore.chiaky ha scritto:Nella mia esperienza mi pare non mi sia mai accaduto....rob ha scritto:Ricordo un aneddoto di Maurizio Pollini che raccontò di un concerto per pianoforte e orchestra (credo Brahms) di cui non ricordo il nome del direttore, - ma su YouTube è rintracciabile il filmato - eseguito senza provare prima con l'Orchestra.
È una prassi forse non così insolita almeno per questo tipo di composizione strutturata per uno o più strumenti solisti e l'orchestra.
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Re: In Memoria
Tutto questo è una finestra su un mondo sconosciuto e tanto interessante!chiaky ha scritto:E' li che sbagli! Non guardano lo spartito, o comunque lo guardano il meno possibile.Marco Rodella ha scritto:Ma toglimi una curiosità: in un pezzo di classica io vedo che, una volta partiti, tutti i musicisti guardano il loro spartito. Pertanto, il direttore d'orchestra a che ...zo serve ? Un bravo musicista (ribadisco: una volta partito il pezzo) dovrebbe sapere quando tocca a lui, cosa suonare, come, ecc. E' evidente che non ci capisco un accidente, però.....chiaky ha scritto:
E invece, come dico i francesi, è "Le chef", infatti è lui che cucina il pezzo. Se non ci fosse, il pezzo sarebbe insipido e suonato a pappagallo (solfeggiato è il termine tecnico). E' lui che dà espressione e direzione a qualsiasi musica e che ha la responsabilità dello spettacolo.Nell'opera, poi, è fondamentale, perchè sennò sarebbe impossibile gestire 300 persone tra orchestra, coro e solisti e ognuno andrebbe per conto suo. In aggiunta, soprattutto quelli bravi, suggeriscono anche ai cantanti il modo giusto di cantare, i colori, i piani, i forti, le nuancees, l'espressione.
Chiaro, se per direttore intendiamo quello che a Sanremo dirige la canzone del Festival, il Beppe Vessicchio della situazione per intenderci, è chiaro che non ha quasi importanza. Quella è davvero più una figura simbolica. Ma nella classica e ancor più nell'opera è il fulcro di tutto.
Noi guardiamo tutti il direttore(almeno con la coda dell'occhio). Pensa che abbiamo ai lati del palco, almeno due monitor dove si vede il direttore, perchè non dobbiamo perderlo di vista un istante.
Appena perdiamo il contatto con lui andiamo tutti a putt...ane.
Ma mica perchè non sappiamo suonare/cantare, ma perchè è così che succede, a chiunque.
Pensa che ieri sera, c'è stato un momento in cui stavamo per saltare per aria nonostante davanti avessimo il grande Zubin Mehta.
Mehta, che ha 84 anni e molte vicissitudini alle spalle, ha scelto un tempo (Paukenmesse di Haydn..un capolavoro straordinario) forse troppo lento e indugiante che già alle prove ci aveva messo un pò in difficoltà, e a un certo punto vuoi il tempo slentato e vuoi che qualcuno in coro e in orchestra aveva perso contatto, siamo stati a un millimetro dal finire tutti per aria. C'è stato uno scollamento in cui molti colleghi erano "avanti" di mezza battuta e sarebbe bastato un niente per fare un disastro. Per fortuna Zubin è stato bravo a riprendere tutto e nel giro di 5 secondi eravamo ancora tutti a piombo.
Qualche domanda da totale neofita:
-Se gli orchestrali non guardano quasi mai lo spartito è perché lo sanno già a memoria, quindi è solo per riferimento in caso si dimenticassero? A quel punto come fanno a capire a che battuta sono, se guardano sempre il direttore? E mi sono sempre chiesto come facciano a cambiare pagina allo spartito continuando a suonare.
- È meglio avere un’orchestra con un direttore bravissimo e orchestrali medi o mediocri, oppure un’orchestra con musicisti straordinari e un direttore mediocre? Se un direttore mediocre dirige i Wiener Philharmoniker, questi suonano male?
- Come mai è così difficile restare “a tempo” per musicisti così preparati? E non potrebbero avere tutti un auricolare che da’ loro il tempo, come credo facciano oggi molti musicisti “pop” quando suonano dal vivo?
- Ci sono esempi di grandi orchestre che sono “saltate per aria” come dici tu in un concerto importante? E poi cosa succede? Si fermano e ricominciano?
“LA VITA È COSÌ: VIENI, FAI FAI E POI TE NE VAI” S.B.
Re: In Memoria
1) No, vabbè, ho esagerato nel dire che non guardano lo spartito. Lo guardano sempre, in realtà, però guardano anche sempre il Direttore. Il Direttore e lo spartito contemporaneamente.uglygeek ha scritto:Tutto questo è una finestra su un mondo sconosciuto e tanto interessante!chiaky ha scritto:E' li che sbagli! Non guardano lo spartito, o comunque lo guardano il meno possibile.Marco Rodella ha scritto:
Ma toglimi una curiosità: in un pezzo di classica io vedo che, una volta partiti, tutti i musicisti guardano il loro spartito. Pertanto, il direttore d'orchestra a che ...zo serve ? Un bravo musicista (ribadisco: una volta partito il pezzo) dovrebbe sapere quando tocca a lui, cosa suonare, come, ecc. E' evidente che non ci capisco un accidente, però.....
Noi guardiamo tutti il direttore(almeno con la coda dell'occhio). Pensa che abbiamo ai lati del palco, almeno due monitor dove si vede il direttore, perchè non dobbiamo perderlo di vista un istante.
Appena perdiamo il contatto con lui andiamo tutti a putt...ane.
Ma mica perchè non sappiamo suonare/cantare, ma perchè è così che succede, a chiunque.
Pensa che ieri sera, c'è stato un momento in cui stavamo per saltare per aria nonostante davanti avessimo il grande Zubin Mehta.
Mehta, che ha 84 anni e molte vicissitudini alle spalle, ha scelto un tempo (Paukenmesse di Haydn..un capolavoro straordinario) forse troppo lento e indugiante che già alle prove ci aveva messo un pò in difficoltà, e a un certo punto vuoi il tempo slentato e vuoi che qualcuno in coro e in orchestra aveva perso contatto, siamo stati a un millimetro dal finire tutti per aria. C'è stato uno scollamento in cui molti colleghi erano "avanti" di mezza battuta e sarebbe bastato un niente per fare un disastro. Per fortuna Zubin è stato bravo a riprendere tutto e nel giro di 5 secondi eravamo ancora tutti a piombo.
Qualche domanda da totale neofita:
-Se gli orchestrali non guardano quasi mai lo spartito è perché lo sanno già a memoria, quindi è solo per riferimento in caso si dimenticassero? A quel punto come fanno a capire a che battuta sono, se guardano sempre il direttore? E mi sono sempre chiesto come facciano a cambiare pagina allo spartito continuando a suonare.
- È meglio avere un’orchestra con un direttore bravissimo e orchestrali medi o mediocri, oppure un’orchestra con musicisti straordinari e un direttore mediocre? Se un direttore mediocre dirige i Wiener Philharmoniker, questi suonano male?
- Come mai è così difficile restare “a tempo” per musicisti così preparati? E non potrebbero avere tutti un auricolare che da’ loro il tempo, come credo facciano oggi molti musicisti “pop” quando suonano dal vivo?
- Ci sono esempi di grandi orchestre che sono “saltate per aria” come dici tu in un concerto importante? E poi cosa succede? Si fermano e ricominciano?
2)Domanda a cui è impossibile rispondere. Se un Direttore mediocre dirige i Wiener, i Wiener suonano bene tecnicamente, come sanno, ma il pezzo non ha una sua anima, non ha un suo perchè, non ha espressività, e sarà probabilmente meramente solfeggiato e non interpretato. Routine, in poche parole. Considera anche che le grandi orchestre, quando arriva un mediocre, allora si che non lo guardano e fanno routine a volte anche quasi volontariamente, per dare un messaggio alla Direzione "questo non è alla ns altezza, non chiamatelo più".
Un Direttore bravissimo con un'orchestra mediocre può migliorarne molto la prestazione, soprattutto può dar loro modo di dare un senso compiuto a ciò che suonano. Chiaramente oltre certi risultati non si può andare. Se però, l'orchestra mediocre, lavora a lungo col Grande Direttore, può raggiungere risultati buoni e migliorare molto anche tecnicamente.
3) Ti sfugge che il pop è una musica eminentemente ritmica. E spesso un brano pop inizia con un ritmo e continua e finisce con lo stesso (pezzi come Bohemian Rhapsody dove cambia il ritmo venti volte nei 6 minuti della canzone sono delle eccezioni) ed ha una struttura sostanzialmente semplice, sicchè basta battere il tempo all'inizio, si attacca e si continua sostanzialmente con un ritmo invariato.
Una sinfonia (non parliamo di un'opera che dura anche 3 ore) cambia tempo decine se non centinaia di volte. Spesso una figurazione (poniamo un quattro quarti) dura due pagine, dopodichè tutto cambia totalmente.
Il pop non è la classica.
4) Mah...succede di rado. Di solito le grandi orchestre sanno riprendersi al momento giusto e spesso sono dirette da dei grandi Direttori, quindi è molto difficile. Certo, piccoli scollamenti possono capitare. Ricordo una volta a Bologna, in un pezzo contemporaneo difficilissimo (davvero ai limiti dell'ineseguibile, con tempi assurdi, che cambiavano continuamente e una scrittura musicale al limite dell'immaginabile) che orchestra e coro, a un certo punto, erano su due pagine diverse. Tipo l'orchestra era avanti di 10 battute e il coro indietro di 10. Ma il pezzo era talmente complesso che nessuno se ne accorse, credo nemmeno il compositore stesso, che era in sala.
Fermarsi e ricominciare è vietatissimo. Se ci si sbaglia si va avanti. Gli errori più grandi accadono nell'Opera, che è davvero un miscuglio di professionalità grandissimo, e quindi basta poco per rischiare di saltare per aria. Il tenore che non si ricorda le parole, il soprano che non attacca, il suggeritore che può sbagliare, il Direttore che si dimentica di dare l'attacco al coro..può accadere di tutto. Se salta un attacco amen, si va avanti. Non deve succedere ma siamo umani.
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Re: In Memoria
Grazie! Sei gentilissimo a presentarci così bene il tuo mondo.
A proposito del concerto di Bologna, mi viene in mente il concerto di musica contemporanea de “Le vacanze intelligenti” con Sordi
Aho’, staranno a provà li strumenti...
A proposito del concerto di Bologna, mi viene in mente il concerto di musica contemporanea de “Le vacanze intelligenti” con Sordi
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Re: In Memoria
Ah guarda, su gran parte della musica contemporanea la penso come loro due....uglygeek ha scritto:Grazie! Sei gentilissimo a presentarci così bene il tuo mondo.
A proposito del concerto di Bologna, mi viene in mente il concerto di musica contemporanea de “Le vacanze intelligenti” con Sordi
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Re: In Memoria
Direi che il problema della mediocrità delle orchestre sinfoniche sostanzialmente non sussiste. Forse, sottolineo forse, la cosa può avere un senso per piccole realtà provinciali, tipo l'Orchestra Sinfonica di Savona che ha un'attività concertistica limitata e discograficamente ancor di più se non addirittura tendente allo zero, orchestra che non può certo permettersi direttori di grande valore...E lì sul direttore che emerge maggiormente il divario. Ma la sinfonica di Seattle o di Saarbrucken non ha musicisti mediocri senza nulla togliere al prestigio e al valore dei componenti delle orchestre di di Berlino, Vienna, New York, San Pietroburgo, Chicago, Parigi, Londra ecc... considerate di assoluta eccellenza.
Eccellenza da una parte non significa mediocrità dall'altra... ma semmai graduazione di eccellenza.
Del resto, molto banalmente, basta digitare Seattle Symphony e vengono fuori programmi di sala e incisioni che sono nel repertorio dei Berliner ecc...
Eccellenza da una parte non significa mediocrità dall'altra... ma semmai graduazione di eccellenza.
Del resto, molto banalmente, basta digitare Seattle Symphony e vengono fuori programmi di sala e incisioni che sono nel repertorio dei Berliner ecc...
Re: In Memoria
Peter Green (1946 - 2020).
John Mayall's Bluesbreakers, Fleetwood Mac, Peter Green solo, Splinter Group ecc...
Carriera discontinua tra alti e bassi, periodi di ritiro dalle scene, ma indubbiamente musicista personale e raramente banale.
John Mayall's Bluesbreakers, Fleetwood Mac, Peter Green solo, Splinter Group ecc...
Carriera discontinua tra alti e bassi, periodi di ritiro dalle scene, ma indubbiamente musicista personale e raramente banale.
Re: In Memoria
Rip
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Re: In Memoria
https://www.indiscreto.info/2020/07/mel ... sella.html
Melania Hamilton o Rossella O’Hara? In sintesi: Melania o Rossella? Olivia de Havilland è da poco morta, a 104 anni: era l’ultima protagonista vivente di Via col vento, nel ruolo celeberrimo di Melania, ma soprattutto è stata una donna che ha cercato di diventare padrona della sua vita e che nel corso della sua lunghissima carriera non ha esitato a lottare contro certe logiche di Hollywood, con il codice Hays che quasi rivaluta il ridicolo politicamente corretto di oggi.
Si può quindi dire che la remissiva, buona e buonista Melania Hamilton di Via col vento, film del 1939, le assomigliasse molto poco. Ma certo è che come Melania, in contrapposizione a Rossella-Vivien Leigh, sarà ricordata per l’eternità. A meno che Black Lives Matter mandi casa per casa a sequestrare i dvd di un film che rivediamo quasi ogni anno, pur conoscendolo a memoria, insieme a quelli di Hazzard.
Melania o Rossella, quindi? Nemmeno prendiamo in considerazione la incomprensibile materia del contendere, lo stupido ed indeciso Ashley Wilkes (attore Leslie Howard), e andiamo diretti sui caratteri delle due protagoniste. Come uomini, o se foste uomini (non dimentichiamo che lo 0,001% dell’audience di Indiscreto è femminile, mentre il 78% è composto da maschi juventini del genere #finoallafine ), preferireste una donna come Melania o come Rossella? Melania o Rossella?
F.F.
Melania Hamilton o Rossella O’Hara? In sintesi: Melania o Rossella? Olivia de Havilland è da poco morta, a 104 anni: era l’ultima protagonista vivente di Via col vento, nel ruolo celeberrimo di Melania, ma soprattutto è stata una donna che ha cercato di diventare padrona della sua vita e che nel corso della sua lunghissima carriera non ha esitato a lottare contro certe logiche di Hollywood, con il codice Hays che quasi rivaluta il ridicolo politicamente corretto di oggi.
Si può quindi dire che la remissiva, buona e buonista Melania Hamilton di Via col vento, film del 1939, le assomigliasse molto poco. Ma certo è che come Melania, in contrapposizione a Rossella-Vivien Leigh, sarà ricordata per l’eternità. A meno che Black Lives Matter mandi casa per casa a sequestrare i dvd di un film che rivediamo quasi ogni anno, pur conoscendolo a memoria, insieme a quelli di Hazzard.
Melania o Rossella, quindi? Nemmeno prendiamo in considerazione la incomprensibile materia del contendere, lo stupido ed indeciso Ashley Wilkes (attore Leslie Howard), e andiamo diretti sui caratteri delle due protagoniste. Come uomini, o se foste uomini (non dimentichiamo che lo 0,001% dell’audience di Indiscreto è femminile, mentre il 78% è composto da maschi juventini del genere #finoallafine ), preferireste una donna come Melania o come Rossella? Melania o Rossella?
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“Volevo cambiare il mondo. L'ho fatto. L'ho reso peggiore”. -Arthur FinkelsteinNevenez 2019 ha scritto: Se nel 2022 Nadal non è ancora sparito, spariremo noi.
Re: In Memoria
Indiscreto: tu chiamale se vuoi ossessioni.Johnny Rex ha scritto: mentre il 78% è composto da maschi juventini del genere #finoallafine )
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Re: In Memoria
L'Orrico di gran lunga più famoso al mondo, altro che AntonioThePiper ha scritto:
Rip
Indimenticabile ne I Tre dell ' Operazione Drago
e, ovviamente, in Tenebre di Argento ,nei panni dell'ambiguo agente letterario di Tony Franciosa
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Re: In Memoria
visto da bambino (ma mia mamma non mi controllava mai? )tennisfan82 ha scritto:Alan Parker
bello e molto tosto come film.
anche piccoli gangster visto da bambino e mi e' piaciuto molto, lo ricordo ancora.
poi altri capolavori, riusciva a comunicare il caldo umuido in tanti film...
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Re: In Memoria
Florindo Baggio padre del meno bravo dei due Roberto.
tennisfan82 ha scritto:Per il calcio tutto è consentito.
Villo ha scritto:Questo sport dà una chance a tutti.
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Re: In Memoria
Consiglio di rivedere la sua “La notte della repubblica”, le puntate si trovano su YouTube.tennisfan82 ha scritto:Sergio Zavoli
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Re: In Memoria
Lo vidi in diretta da adolescente (credo inizio anni 90') ,Interessante a tratti ma Troppo ,Troppo Lungo, e spesso palloso.uglygeek ha scritto:Consiglio di rivedere la sua “La notte della repubblica”, le puntate si trovano su YouTube.tennisfan82 ha scritto:Sergio Zavoli
Quelle opere troppo grandi,come quelle di De Felice sul fascismo ,che alla fine si perdono nella loro stessa magniloquenza
Al solito abbastanza d'accordo con indiscreto
https://www.indiscreto.info/2020/08/buo ... avoli.html
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Re: In Memoria
Io mi rivedo tutte le puntate ogni tre o quattro anni. Un documentario ben fatto,mnemmeno troppo lungo, saranno 8 o 10 ore in tutto, che fa capire molto bene l’Italia degli anni ‘70. Semmai è fin troppo riassunto.
Tutt’altro che noioso, con le interviste ai protagonisti e documenti audio/video originali. Ci sono puntate che fanno venire la pelle d’oca, come quella su Peci.
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Re: In Memoria
Le avevo riviste da poco. Ben fatte, con classe, ma un po'troppo compassato come stile, preferisco guardarmi un Lucarelli. Poi son sempre tutti maschi, sembra mymag
Non la considero una battaglia: se mi mettessi a fare una battaglia, ne uscirei distrutto (G.V.)
Re: In Memoria
E bianchi. Ed eterosessuali. Tutti maschi bianchi etero. Che schifo.Nickognito ha scritto:Le avevo riviste da poco. Ben fatte, con classe, ma un po'troppo compassato come stile, preferisco guardarmi un Lucarelli. Poi son sempre tutti maschi, sembra mymag
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Re: In Memoria
Può essere che fossi diverso io all'epoca.uglygeek ha scritto:Io mi rivedo tutte le puntate ogni tre o quattro anni. Un documentario ben fatto,mnemmeno troppo lungo, saranno 8 o 10 ore in tutto, che fa capire molto bene l’Italia degli anni ‘70. Semmai è fin troppo riassunto.
Tutt’altro che noioso, con le interviste ai protagonisti e documenti audio/video originali. Ci sono puntate che fanno venire la pelle d’oca, come quella su Peci.
Stragi di stato comunque furono .
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“Volevo cambiare il mondo. L'ho fatto. L'ho reso peggiore”. -Arthur FinkelsteinNevenez 2019 ha scritto: Se nel 2022 Nadal non è ancora sparito, spariremo noi.
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Re: In Memoria
Franca Valeri
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Re: In Memoria
Ha fatto appena in tempo a compiere 100 annibalbysauro ha scritto:Franca Valeri
Ti piace il doppio? Preferisco il threesome
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Re: In Memoria
Giustamente celebrata e ricordata ,dal mio punto di vista uno dei simboli, per tanti motivi, del 900' Italico
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“Volevo cambiare il mondo. L'ho fatto. L'ho reso peggiore”. -Arthur FinkelsteinNevenez 2019 ha scritto: Se nel 2022 Nadal non è ancora sparito, spariremo noi.
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Re: In Memoria
Martin Birch. Si era di fatto ritirato trent'anni fa perché il digitale gli andava stretto... Soprannominato The Headmaster, storico produttore di Maiden, Black Sabbath, Deep Purple. I suoi dischi tirano giù i muri ancora oggi. Un pezzo di storia che se ne va.
Lo voglio rivedere, Fabio
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Re: In Memoria
Più Grande produttore della storia dell' Hard'n Heavy .Burano ha scritto:Martin Birch. Si era di fatto ritirato trent'anni fa perché il digitale gli andava stretto... Soprannominato The Headmaster, storico produttore di Maiden, Black Sabbath, Deep Purple. I suoi dischi tirano giù i muri ancora oggi. Un pezzo di storia che se ne va.
Onore .
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“Volevo cambiare il mondo. L'ho fatto. L'ho reso peggiore”. -Arthur FinkelsteinNevenez 2019 ha scritto: Se nel 2022 Nadal non è ancora sparito, spariremo noi.
Re: In Memoria
Stesso giorno, morti Bauli e Pernigotti.
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Re: In Memoria
Scrivo solo ora perché non mi andava di farlo a "caldo" unendomi alla solita retorica post mortem, a pochi giorni dalla morte di una gran Donna come Franca Valeri posto qui un video ed una riflessione: ho avuto il privilegio una decina di anni fa di poterla vedere dal vivo a teatro dove era ancora più magnetica rispetto al cinema ed alla tv,giocoforza lo schermo impedisce quel rapporto diretto tra spettatore ed artista. E la Valeri era una artista a 360 gradi...non solo la migliore attrice comica che l'Italia abbia mai avuto: era più femminista lei di tante femministe di oggi senza esagerazioni proto misandriche ma con leggerezza ed ironia su uomini e donne. Senza retorica non penso avremo più una Donna prima che un' Artista come leitennisfan82 ha scritto:Ha fatto appena in tempo a compiere 100 annibalbysauro ha scritto:Franca Valeri
Mi muovo come una farfalla, ma pungo come un'ape
"A fine anno non tiro somme, la matematica non è mai stata il mio forte. Spero di essere rimasto nel cuore di qualcuno, o contrariamente nel cestino della carta di qualcun altro."
"A fine anno non tiro somme, la matematica non è mai stata il mio forte. Spero di essere rimasto nel cuore di qualcuno, o contrariamente nel cestino della carta di qualcun altro."
Re: In Memoria
È morto Cesare Romiti. Ma a leggere la stampa oggi, non lo ricorda nessuno con favore.
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Re: In Memoria
E A Ragione.uglygeek ha scritto:È morto Cesare Romiti. Ma a leggere la stampa oggi, non lo ricorda nessuno con favore.
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“Volevo cambiare il mondo. L'ho fatto. L'ho reso peggiore”. -Arthur FinkelsteinNevenez 2019 ha scritto: Se nel 2022 Nadal non è ancora sparito, spariremo noi.
Re: In Memoria
Ci volevano due coglioni così per guidare la FIAT negli anni 70, però.Johnny Rex ha scritto:E A Ragione.uglygeek ha scritto:È morto Cesare Romiti. Ma a leggere la stampa oggi, non lo ricorda nessuno con favore.
F.F.
“LA VITA È COSÌ: VIENI, FAI FAI E POI TE NE VAI” S.B.
Re: In Memoria
un ritratto non lusinghiero:
L'amministratore delegato del declino italiano
Cesare Romiti, morto oggi a 97 anni, ha spinto la Fiat ad allontanarsi dall'auto e ha cercato, senza successo, di farsi imprenditore in proprio al centro del capitalismo di relazione.
Dei morti si deve parlare solo bene, ma non sappiamo come si sarebbe regolato Chilone di Sparta, che fissò la regola 2500 anni fa, nel caso di Cesare Romiti la cui influenza sui destini nazionali si è dispiegata nel secolo scorso, essendo nato a Roma il 24 giugno 1923. E sarebbe ingiusto salutare un uomo di 97 anni con ipocrite parole di circostanza, senza un giudizio. E' stato un protagonista di prima grandezza, tra i maggiori colpevoli, con i suoi danti causa Gianni Agnelli e Enrico Cuccia, dell'irreversibile declino dell'industria italiana.
Due sono le responsabilità rilevanti di cui dovrà occuparsi il tribunale della Storia.
1) Ha distolto la Fiat dall'auto, che aveva fatto grande l'azienda torinese, per trasformarla in una caotica conglomerata presente in un solo Paese ma in tutti i settori (dall'editoria alle assicurazioni, dalla chimica ai treni, dalle telecomunicazioni al turismo e soprattutto alle costruzioni), con l'idea che nel mondo postindustriale i profitti non li facevi producendo le auto migliori ma con il potere e con la capacità di aspirare fiumi di denaro dalle casse dello Stato ricattando la politica.
La diversificazione - indicata da un esercito di economisti a gettone come la strada obbligata per il benessere - ha distrutto la Fiat, che 30 anni fa ha smesso di investire sull'auto dopo aver pesantemente contribuito a scassare i bilanci pubblici, a partire dagli anni '70, con massicci ricorsi alla cassa integrazione, la richiesta di finanziamenti a fondo perduto per miliardi di euro (lo stabilimento di Melfi è stato interamente pagato dallo Stato), la vendita allo Stato di aziende decotte come la siderurgica Teksid.
2) La cosiddetta "marcia dei 40 mila" ottobre 1980, un corteo di quadri Fiat contro i sindacati che da 35 giorni, con il sostegno del leader comunista Enrico Berlinguer, bloccavano la fabbrica per protestare contro l'annunciato licenziamento di 14 mila lavoratori), è considerata il suo più grande successo personale e dai più un passo avanti decisivo nella modernizzazione del Paese. Ma in quel momento Romiti ha ha irreversibilmente indebolito i sindacati e imposto anche a quasi tutta la sinistra un modello culturale: solo imprenditori e manager, in quanto creatori di posti di lavoro per i quali il popolo deve gratitudine, sanno perseguire l'interesse generale.
Da allora qualsiasi critica all'azienda ha perso legittimità, per non parlare del conflitto. Imprenditori e manager sono stati autorizzati a sbagliare (spesso con il dolo, per arricchirsi a spese dell'azienda) senza doversi giustificare. Trent'anni dopo gli operai Fiat di Pomigliano d'Arco e Mirafiori, chiamati a un referendum su un accordo sindacale con nuove e peggiori condizioni di lavoro imposte dall'amministratore delegato Sergio Marchionne e avversate dal capo della Fiom-Cgil Maurizio Landini, hanno preferito a larga maggioranza il manager, sicuri che conoscesse la strada meglio del sindacalista.
Del dogma secondo cui il datore di lavoro ha sempre ragione Romiti è stato il primo profeta nella tragedia sociale del 1980, che oggi i suoi tristi epigoni riescono solo a replicare come farsa: i lavoratori non si fidano più dei sindacati ma nemmeno di padroni cleptomani, e nessuno sa come uscire da un cancro dei rapporti sociali che sta uccidendo l'industria.
Rito romano. Il suo più fulminante ritratto lo dipinse in privato un manager Fiat appena uscito dal carcere dopo l'inchiesta Mani Pulite: "I suoi occhi brillano davvero di eccitazione solo se si parla di appalti pubblici. Se non capite questo non capite niente di Romiti".
Romano di nascita, figlio di un impiegato delle Poste che muore quando il ragazzo ha 17 anni, cresce in mezzo agli stenti ("Eppure mi ricordo felice. Sì, sono stati gli anni più felici della mia vita. Per andare a scuola mi facevo cinque chilometri a piedi, ridendo e giocando, senza prendere il tram perché costava. Si camminava e basta. In allegria. Si camminava e si pedalava. L’anno prima di morire papà, una mattina, mi fece trovare una bicicletta in regalo. Nera. Non ricordo di aver più avuto un momento di felicità intenso come quello").
Laurea in Economia e commercio e primo impiego alla Bombrini Parodi Delfino, la fabbrica di esplosivi di Colleferro (50 chilometri da Roma). Ne curerà la fusione con la Snia Viscosa. In quella operazione viene adocchiato da Enrico Cuccia, fondatore e capo di Mediobanca, l'uomo che per tutta la seconda metà del '900 è stato il grande regista del capitalismo italiano e il mentore, finanziatore e consigliere principe dell'avvocato Agnelli.
Romiti arriva alla Fiat a 50 anni suonati. Prima c'è la fase costitutiva della sua personalità che ne fa un manager di rito romano al cento per cento, con la nomina ad amministratore delegato dell'Alitalia - compagnia di bandiera dell'industria di Stato come la Fiat lo era di quella privata - e poi all'Italstat, società dell'Iri (Istituto per la ricostruzione industriale, la grande holding dell'industria pubblica), destinata a diventare, sotto la guida di Ettore Bernabei, lo Stato parallelo degli appalti.
Cuccia lo manda alla Fiat come direttore finanziario nel 1974, nel 1976 diventa amministratore delegato insieme a Umberto Agnelli e Carlo De Benedetti, ma il primo (spinto dalla disistima di Cuccia) diventa senatore per la Dc e il secondo se ne va dopo i famosi e tempestosi cento giorni: entrato al vertice Fiat anche come azionista (con il 5 per cento), l'attuale azionista di questo giornale si dimette (facendosi liquidare il suo pacchetto di azioni) sostenendo di aver trovato troppe resistenze al rinnovamento manageriale e alla riduzione del personale, mosse a suo giudizio indifferibili. Romiti resta padrone del campo.
"Non che prima di Romiti non ci fossero dei manager in Italia, ma si può dire che prima di Romiti in Italia non c'era il management, inteso come un vero e proprio gruppo sociale, dotato di caratteristiche proprie e di un certo grado di autonomia dalla proprietà". Questa interessante notazione è l'unico giudizio positivo nel severo libro di Marco Borsa e Luca De Biase Capitani di sventura (1993), la cui curiosa vicenda illumina un elemento chiave della cultura industriale di Romiti. Non c'è mercato che tenga, non c'è competizione, non ci sono i primati tecnologici o commerciali: tutto passa per l'esercizio del potere.
Non apprezzando il contenuto del volume, Romiti sguinzaglia una flotta di furgoni per tutta Italia con l'ordine di entrare in ogni libreria e acquistare tutte le copie di Capitani di sventura. Un'operazione che ha reso quel libro straordinario, il più grande successo commerciale rimasto inedito nella storia dell'editoria, una rarità bibliografica, anche perché nessun editore, da 27 anni, ha il coraggio di riproporne la stampa. Ma soprattutto dimostra l'attenzione parossistica di Romiti all'immagine, con cui ha battuto ogni record il 25 gennaio 2003 al funerale di Gianni Agnelli, quando si conquistò il ruolo del vero protagonista rimanendo in piedi, da solo, per tutta la cerimonia religiosa.
La dinastia che non fu. A 75 anni (1998) Romiti lascia per sopraggiunti limiti di età la presidenza della Fiat. L'avvocato Agnelli, abusando dei suoi poteri di azionista di maggioranza, gli assegna una buonuscita di 101,5 milioni di euro, superiore alla somma di tutti gli emolumenti (noti) incassati da Romiti in 24 anni alla Fiat.
Soggiogato da uno dei miti preindustriali di cui è intrisa una classe dirigente che pure si crede moderna, Romiti decide non solo di diventare "padrone" ma addirittura di fondare sui figli Maurizio e Piergiorgio una dinastia che lo metta al pari degli Agnelli, dei De Benedetti, dei Benetton. Prima si prende il Corriere della Sera, poi poi Aeroporti di Roma, comprata senza soldi ma con i debiti poi scaricati sulla società. Un fallimento dietro l'altro.
L'esito più beffardo glielo riserva Impregilo, la maggior azienda di costruzioni italiana, la preda sognata da sempre. L'aveva costruita lui pensando per la Fiat alla diversificazione anziché alle auto: nel 1989 compra la numero uno di allora, la Cogefar, e la fonde con la Impresit, l'azienda del cemento di casa Agnelli. Chiedetevi perché negli stessi mesi Romiti caccia Vittorio Ghidella dalla Fiat Auto e compra la Cogefar. Fu proprio Romiti uno dei protagonisti (ma sempre dietro le quinte) della grande operazione Alta velocità ferroviaria, l'ultima grande spartizione della Prima repubblica, un terzo all'Iri, un terzo all'Eni, un terzo alla Fiat, secondo le costituzione materiale del regime andreottian-craxiano.
Quando la metastasi corruttiva - di cui Romiti era occulto e compiaciuto lord protettore, riportandone una condanna a 11 mesi poi revocata grazie alla depenalizzazione del falso in bilancio voluta da Silvio Berlusconi - portò in galera tutto lo stato maggiore del mattone, Romiti coordinò la fusione della sua azienda con Girola e Lodigiani (da cui Impre.Gi.Lo) per salvare il salvabile. L'edificio costruito pazientemente da Romiti manager sarà distrutto da Romiti padrone.
Del piccolo impero industriale di Romiti passano alla storia soprattutto stipendi e buonuscite accumulati dai figli mentre distruggevano aziende e posti di lavoro.
Una corte litigiosa. Una delle ragioni principali del collasso della Fiat è che, nel ventennio di Romiti, un'azienda fino ad allora all'avanguardia nel mondo per la ricerca e sviluppo è diventata un campo di battaglia per cortigiani. Luca Cordero di Montezemolo, capo delle relazioni esterne e uno dei più fidati collaboratori di Agnelli, nel 1982 viene misteriosamente trasferito alla controllata Cinzano International (a proposito di diversificazione...). Tre anni dopo Romiti svela il giallo: "Abbiamo pescato, in Fiat, un paio di persone che pretendevano danaro per presentare qualcuno all’Avvocato. Uno dei due l’abbiamo mandato in galera, l’altro alla Cinzano".
Nel 2004, dopo la morte di Gianni e Umberto, con la Fiat che sta morendo anch'essa per gli effetti della cura Romiti, la famiglia Agnelli affida l'azienda a Marchionne e proprio a Montezemolo la presidenza. Sarà poi Marchionne a far fuori di nuovo Montezemolo. Corsi e ricorsi di una corte litigiosa.
Ghidella, il peccato mortale. Vittorio Ghidella, vercellese, otto anni più giovane di Romiti, è stato dal 1979 al 1988 capo di Fiat Auto. Mentre Romiti fronteggiava con energia e coraggio il terrorismo e il conflitto sindacale, Ghidella progettava auto. La Uno (1983) fu un successo mondiale senza precedenti. Seguirono auto talmente belle che non sembravano prodotte a Torino: la Thema, per esempio, piaceva più di Mercedes e Bmw. E poi la Croma, la Lancia Delta, la Tipo, la Autobianchi Y10.
Romiti decise che Ghidella gli faceva ombra, perché era bravo e perché voleva investire sull'auto, anche a costo di cedere quote di sovranità alla Ford, con la quale era arrivato a un passo dalla grande alleanza che avrebbe anticipato di oltre vent'anni l'analoga operazione conclusa da Marchionne con la Chrysler nel 2009.
Ghidella fu fermato da Agnelli che preferì bloccare lo sviluppo del gruppo piuttosto che rischiare di perderne il controllo. Ma, a parte questo, per Romiti l'unico investimento sensato sull'auto era lavorarsi i politici perché non toccassero la legge che, in nome degli interessi nazionali, vietava (sì, vietava) l'importazione di auto giapponesi. La partita si chiude con un colpo sotto la cintura: Romiti accusa il capo di Fiat Auto di traffici poco puliti con la Roltra, un’azienda che forniva i sedili per la Croma, e ottiene la sua testa. Ghidella gli rifila una battuta delle sue ("Non ci si improvvisa ingegnere dell’auto a 60 anni") e se ne va.
Il caso Ghidella è la pietra angolare di un disastro. Fu lui a denunciare ai magistrati che la Fiat di Romiti (oltre a falsificare i bilanci per pagare meno tasse e portare in Svizzera i soldi che servivano a corrompere politici e giornalisti, forse anche sindacalisti) truffava lo Stato gonfiando spese e ore lavorate per la ricerca tecnologica che il governo pagava a pie' di lista. Per molti anni dunque, lo Stato ha finanziato una ricerca in campo automobilistico che non è mai stata fatta. La parabola dalla Uno alla Stilo (che sembrava progettata da un ubriaco) è figlia anche di quel sistema, negli anni in cui i “capitani di sventura" abbandonano l’industria e cercano i guadagni facili con la finanza e con le commesse pubbliche lubrificate da tangenti. Quello è stato l’inizio della fine.
Vizi privati, pubbliche virtù. Romiti resterà, affiancato ad Agnelli, il simbolo della cultura feudale che una classe dirigente ignorante e provinciale è riuscita a imporre all'Italia, impedendole di diventare migliore di lei. Lo si vede da un fatto: l'Italia non è certo l'unico Paese al mondo in cui denaro e potere conferiscano un implicito diritto alla predazione sessuale, ma è sicuramente l'unico tra i cosiddetti civili in cui il potente non solo ostenta pubblicamente esuberanza erotica e infedeltà coniugali, ma lo fa sulle colonne del Sole 24 Ore.
Ecco alcuni memorabili stralci dell'intervista a Paolo Madron sul Sole 24 Ore del 15 febbraio 2009 (prima che Veronica Lario desse pubblicamente del "malato" a suo marito Silvio Berlusconi):
Domanda: "Un giorno il procuratore Sandrelli di Torino disse di lei ammirato: 'L’ho interrogato per otto ore e non mi ha mai chiesto di andare a far pipi'. La bontà della sua prostata introduce un tema privato. Lei è sempre stato un uomo molto esuberante, che viveva le sue storie sentimentali non certo di nascosto". Risposta: "Ci crede se le dico che il più grande dolore della mia vita è stato quando ho perso mia moglie?". Replica il giornalista: "Ci credo. Ma uno potrebbe chiederle conto di questa sua doppia morale". Risposta: "Non era una doppia morale. Lei c’era, era un punto di riferimento fondamentale. Poi è vero, anche nei sentimenti uno dovrebbe essere coerente. Ma io sapevo che la mia casa era là, che sarei sempre tornato. Anche se mia moglie Gina ne ha sofferto molto". Domanda: "L’Avvocato che cosa diceva di questo suo attivismo sentimentale?". Risposta: "Lo divertiva".
Giorgio Meletti
Bibliografia essenziale su Cesare Romiti
Cesare Romiti, Questi anni alla Fiat, intervista di Giampaolo Pansa, Rizzoli, 1988
Marco Borsa con Luca De Biase, Capitani di sventura, Mondadori, 1993
Giuseppe Berta, La Fiat dopo la Fiat, Mondadori, 2006
Nunzia Penelope, Vecchi e potenti, Baldini Castoldi Dalai, 2007
Cesare Romiti con Paolo Madron, Storia segreta del capitalismo italiano, Longanesi, 2012
Giancarlo Galli, Gli Agnelli, Mondadori, 1997
Paolo Griseri, Massimo Novelli, Marco Travaglio, Il processo, Editori Riuniti, 1997
Pino Nicostri, Fiat – Fabbrica italiana automobili e tangenti, Kaos, 1997
Franco Bernabè, A conti fatti, Feltrinelli, 2019
L'amministratore delegato del declino italiano
Cesare Romiti, morto oggi a 97 anni, ha spinto la Fiat ad allontanarsi dall'auto e ha cercato, senza successo, di farsi imprenditore in proprio al centro del capitalismo di relazione.
Dei morti si deve parlare solo bene, ma non sappiamo come si sarebbe regolato Chilone di Sparta, che fissò la regola 2500 anni fa, nel caso di Cesare Romiti la cui influenza sui destini nazionali si è dispiegata nel secolo scorso, essendo nato a Roma il 24 giugno 1923. E sarebbe ingiusto salutare un uomo di 97 anni con ipocrite parole di circostanza, senza un giudizio. E' stato un protagonista di prima grandezza, tra i maggiori colpevoli, con i suoi danti causa Gianni Agnelli e Enrico Cuccia, dell'irreversibile declino dell'industria italiana.
Due sono le responsabilità rilevanti di cui dovrà occuparsi il tribunale della Storia.
1) Ha distolto la Fiat dall'auto, che aveva fatto grande l'azienda torinese, per trasformarla in una caotica conglomerata presente in un solo Paese ma in tutti i settori (dall'editoria alle assicurazioni, dalla chimica ai treni, dalle telecomunicazioni al turismo e soprattutto alle costruzioni), con l'idea che nel mondo postindustriale i profitti non li facevi producendo le auto migliori ma con il potere e con la capacità di aspirare fiumi di denaro dalle casse dello Stato ricattando la politica.
La diversificazione - indicata da un esercito di economisti a gettone come la strada obbligata per il benessere - ha distrutto la Fiat, che 30 anni fa ha smesso di investire sull'auto dopo aver pesantemente contribuito a scassare i bilanci pubblici, a partire dagli anni '70, con massicci ricorsi alla cassa integrazione, la richiesta di finanziamenti a fondo perduto per miliardi di euro (lo stabilimento di Melfi è stato interamente pagato dallo Stato), la vendita allo Stato di aziende decotte come la siderurgica Teksid.
2) La cosiddetta "marcia dei 40 mila" ottobre 1980, un corteo di quadri Fiat contro i sindacati che da 35 giorni, con il sostegno del leader comunista Enrico Berlinguer, bloccavano la fabbrica per protestare contro l'annunciato licenziamento di 14 mila lavoratori), è considerata il suo più grande successo personale e dai più un passo avanti decisivo nella modernizzazione del Paese. Ma in quel momento Romiti ha ha irreversibilmente indebolito i sindacati e imposto anche a quasi tutta la sinistra un modello culturale: solo imprenditori e manager, in quanto creatori di posti di lavoro per i quali il popolo deve gratitudine, sanno perseguire l'interesse generale.
Da allora qualsiasi critica all'azienda ha perso legittimità, per non parlare del conflitto. Imprenditori e manager sono stati autorizzati a sbagliare (spesso con il dolo, per arricchirsi a spese dell'azienda) senza doversi giustificare. Trent'anni dopo gli operai Fiat di Pomigliano d'Arco e Mirafiori, chiamati a un referendum su un accordo sindacale con nuove e peggiori condizioni di lavoro imposte dall'amministratore delegato Sergio Marchionne e avversate dal capo della Fiom-Cgil Maurizio Landini, hanno preferito a larga maggioranza il manager, sicuri che conoscesse la strada meglio del sindacalista.
Del dogma secondo cui il datore di lavoro ha sempre ragione Romiti è stato il primo profeta nella tragedia sociale del 1980, che oggi i suoi tristi epigoni riescono solo a replicare come farsa: i lavoratori non si fidano più dei sindacati ma nemmeno di padroni cleptomani, e nessuno sa come uscire da un cancro dei rapporti sociali che sta uccidendo l'industria.
Rito romano. Il suo più fulminante ritratto lo dipinse in privato un manager Fiat appena uscito dal carcere dopo l'inchiesta Mani Pulite: "I suoi occhi brillano davvero di eccitazione solo se si parla di appalti pubblici. Se non capite questo non capite niente di Romiti".
Romano di nascita, figlio di un impiegato delle Poste che muore quando il ragazzo ha 17 anni, cresce in mezzo agli stenti ("Eppure mi ricordo felice. Sì, sono stati gli anni più felici della mia vita. Per andare a scuola mi facevo cinque chilometri a piedi, ridendo e giocando, senza prendere il tram perché costava. Si camminava e basta. In allegria. Si camminava e si pedalava. L’anno prima di morire papà, una mattina, mi fece trovare una bicicletta in regalo. Nera. Non ricordo di aver più avuto un momento di felicità intenso come quello").
Laurea in Economia e commercio e primo impiego alla Bombrini Parodi Delfino, la fabbrica di esplosivi di Colleferro (50 chilometri da Roma). Ne curerà la fusione con la Snia Viscosa. In quella operazione viene adocchiato da Enrico Cuccia, fondatore e capo di Mediobanca, l'uomo che per tutta la seconda metà del '900 è stato il grande regista del capitalismo italiano e il mentore, finanziatore e consigliere principe dell'avvocato Agnelli.
Romiti arriva alla Fiat a 50 anni suonati. Prima c'è la fase costitutiva della sua personalità che ne fa un manager di rito romano al cento per cento, con la nomina ad amministratore delegato dell'Alitalia - compagnia di bandiera dell'industria di Stato come la Fiat lo era di quella privata - e poi all'Italstat, società dell'Iri (Istituto per la ricostruzione industriale, la grande holding dell'industria pubblica), destinata a diventare, sotto la guida di Ettore Bernabei, lo Stato parallelo degli appalti.
Cuccia lo manda alla Fiat come direttore finanziario nel 1974, nel 1976 diventa amministratore delegato insieme a Umberto Agnelli e Carlo De Benedetti, ma il primo (spinto dalla disistima di Cuccia) diventa senatore per la Dc e il secondo se ne va dopo i famosi e tempestosi cento giorni: entrato al vertice Fiat anche come azionista (con il 5 per cento), l'attuale azionista di questo giornale si dimette (facendosi liquidare il suo pacchetto di azioni) sostenendo di aver trovato troppe resistenze al rinnovamento manageriale e alla riduzione del personale, mosse a suo giudizio indifferibili. Romiti resta padrone del campo.
"Non che prima di Romiti non ci fossero dei manager in Italia, ma si può dire che prima di Romiti in Italia non c'era il management, inteso come un vero e proprio gruppo sociale, dotato di caratteristiche proprie e di un certo grado di autonomia dalla proprietà". Questa interessante notazione è l'unico giudizio positivo nel severo libro di Marco Borsa e Luca De Biase Capitani di sventura (1993), la cui curiosa vicenda illumina un elemento chiave della cultura industriale di Romiti. Non c'è mercato che tenga, non c'è competizione, non ci sono i primati tecnologici o commerciali: tutto passa per l'esercizio del potere.
Non apprezzando il contenuto del volume, Romiti sguinzaglia una flotta di furgoni per tutta Italia con l'ordine di entrare in ogni libreria e acquistare tutte le copie di Capitani di sventura. Un'operazione che ha reso quel libro straordinario, il più grande successo commerciale rimasto inedito nella storia dell'editoria, una rarità bibliografica, anche perché nessun editore, da 27 anni, ha il coraggio di riproporne la stampa. Ma soprattutto dimostra l'attenzione parossistica di Romiti all'immagine, con cui ha battuto ogni record il 25 gennaio 2003 al funerale di Gianni Agnelli, quando si conquistò il ruolo del vero protagonista rimanendo in piedi, da solo, per tutta la cerimonia religiosa.
La dinastia che non fu. A 75 anni (1998) Romiti lascia per sopraggiunti limiti di età la presidenza della Fiat. L'avvocato Agnelli, abusando dei suoi poteri di azionista di maggioranza, gli assegna una buonuscita di 101,5 milioni di euro, superiore alla somma di tutti gli emolumenti (noti) incassati da Romiti in 24 anni alla Fiat.
Soggiogato da uno dei miti preindustriali di cui è intrisa una classe dirigente che pure si crede moderna, Romiti decide non solo di diventare "padrone" ma addirittura di fondare sui figli Maurizio e Piergiorgio una dinastia che lo metta al pari degli Agnelli, dei De Benedetti, dei Benetton. Prima si prende il Corriere della Sera, poi poi Aeroporti di Roma, comprata senza soldi ma con i debiti poi scaricati sulla società. Un fallimento dietro l'altro.
L'esito più beffardo glielo riserva Impregilo, la maggior azienda di costruzioni italiana, la preda sognata da sempre. L'aveva costruita lui pensando per la Fiat alla diversificazione anziché alle auto: nel 1989 compra la numero uno di allora, la Cogefar, e la fonde con la Impresit, l'azienda del cemento di casa Agnelli. Chiedetevi perché negli stessi mesi Romiti caccia Vittorio Ghidella dalla Fiat Auto e compra la Cogefar. Fu proprio Romiti uno dei protagonisti (ma sempre dietro le quinte) della grande operazione Alta velocità ferroviaria, l'ultima grande spartizione della Prima repubblica, un terzo all'Iri, un terzo all'Eni, un terzo alla Fiat, secondo le costituzione materiale del regime andreottian-craxiano.
Quando la metastasi corruttiva - di cui Romiti era occulto e compiaciuto lord protettore, riportandone una condanna a 11 mesi poi revocata grazie alla depenalizzazione del falso in bilancio voluta da Silvio Berlusconi - portò in galera tutto lo stato maggiore del mattone, Romiti coordinò la fusione della sua azienda con Girola e Lodigiani (da cui Impre.Gi.Lo) per salvare il salvabile. L'edificio costruito pazientemente da Romiti manager sarà distrutto da Romiti padrone.
Del piccolo impero industriale di Romiti passano alla storia soprattutto stipendi e buonuscite accumulati dai figli mentre distruggevano aziende e posti di lavoro.
Una corte litigiosa. Una delle ragioni principali del collasso della Fiat è che, nel ventennio di Romiti, un'azienda fino ad allora all'avanguardia nel mondo per la ricerca e sviluppo è diventata un campo di battaglia per cortigiani. Luca Cordero di Montezemolo, capo delle relazioni esterne e uno dei più fidati collaboratori di Agnelli, nel 1982 viene misteriosamente trasferito alla controllata Cinzano International (a proposito di diversificazione...). Tre anni dopo Romiti svela il giallo: "Abbiamo pescato, in Fiat, un paio di persone che pretendevano danaro per presentare qualcuno all’Avvocato. Uno dei due l’abbiamo mandato in galera, l’altro alla Cinzano".
Nel 2004, dopo la morte di Gianni e Umberto, con la Fiat che sta morendo anch'essa per gli effetti della cura Romiti, la famiglia Agnelli affida l'azienda a Marchionne e proprio a Montezemolo la presidenza. Sarà poi Marchionne a far fuori di nuovo Montezemolo. Corsi e ricorsi di una corte litigiosa.
Ghidella, il peccato mortale. Vittorio Ghidella, vercellese, otto anni più giovane di Romiti, è stato dal 1979 al 1988 capo di Fiat Auto. Mentre Romiti fronteggiava con energia e coraggio il terrorismo e il conflitto sindacale, Ghidella progettava auto. La Uno (1983) fu un successo mondiale senza precedenti. Seguirono auto talmente belle che non sembravano prodotte a Torino: la Thema, per esempio, piaceva più di Mercedes e Bmw. E poi la Croma, la Lancia Delta, la Tipo, la Autobianchi Y10.
Romiti decise che Ghidella gli faceva ombra, perché era bravo e perché voleva investire sull'auto, anche a costo di cedere quote di sovranità alla Ford, con la quale era arrivato a un passo dalla grande alleanza che avrebbe anticipato di oltre vent'anni l'analoga operazione conclusa da Marchionne con la Chrysler nel 2009.
Ghidella fu fermato da Agnelli che preferì bloccare lo sviluppo del gruppo piuttosto che rischiare di perderne il controllo. Ma, a parte questo, per Romiti l'unico investimento sensato sull'auto era lavorarsi i politici perché non toccassero la legge che, in nome degli interessi nazionali, vietava (sì, vietava) l'importazione di auto giapponesi. La partita si chiude con un colpo sotto la cintura: Romiti accusa il capo di Fiat Auto di traffici poco puliti con la Roltra, un’azienda che forniva i sedili per la Croma, e ottiene la sua testa. Ghidella gli rifila una battuta delle sue ("Non ci si improvvisa ingegnere dell’auto a 60 anni") e se ne va.
Il caso Ghidella è la pietra angolare di un disastro. Fu lui a denunciare ai magistrati che la Fiat di Romiti (oltre a falsificare i bilanci per pagare meno tasse e portare in Svizzera i soldi che servivano a corrompere politici e giornalisti, forse anche sindacalisti) truffava lo Stato gonfiando spese e ore lavorate per la ricerca tecnologica che il governo pagava a pie' di lista. Per molti anni dunque, lo Stato ha finanziato una ricerca in campo automobilistico che non è mai stata fatta. La parabola dalla Uno alla Stilo (che sembrava progettata da un ubriaco) è figlia anche di quel sistema, negli anni in cui i “capitani di sventura" abbandonano l’industria e cercano i guadagni facili con la finanza e con le commesse pubbliche lubrificate da tangenti. Quello è stato l’inizio della fine.
Vizi privati, pubbliche virtù. Romiti resterà, affiancato ad Agnelli, il simbolo della cultura feudale che una classe dirigente ignorante e provinciale è riuscita a imporre all'Italia, impedendole di diventare migliore di lei. Lo si vede da un fatto: l'Italia non è certo l'unico Paese al mondo in cui denaro e potere conferiscano un implicito diritto alla predazione sessuale, ma è sicuramente l'unico tra i cosiddetti civili in cui il potente non solo ostenta pubblicamente esuberanza erotica e infedeltà coniugali, ma lo fa sulle colonne del Sole 24 Ore.
Ecco alcuni memorabili stralci dell'intervista a Paolo Madron sul Sole 24 Ore del 15 febbraio 2009 (prima che Veronica Lario desse pubblicamente del "malato" a suo marito Silvio Berlusconi):
Domanda: "Un giorno il procuratore Sandrelli di Torino disse di lei ammirato: 'L’ho interrogato per otto ore e non mi ha mai chiesto di andare a far pipi'. La bontà della sua prostata introduce un tema privato. Lei è sempre stato un uomo molto esuberante, che viveva le sue storie sentimentali non certo di nascosto". Risposta: "Ci crede se le dico che il più grande dolore della mia vita è stato quando ho perso mia moglie?". Replica il giornalista: "Ci credo. Ma uno potrebbe chiederle conto di questa sua doppia morale". Risposta: "Non era una doppia morale. Lei c’era, era un punto di riferimento fondamentale. Poi è vero, anche nei sentimenti uno dovrebbe essere coerente. Ma io sapevo che la mia casa era là, che sarei sempre tornato. Anche se mia moglie Gina ne ha sofferto molto". Domanda: "L’Avvocato che cosa diceva di questo suo attivismo sentimentale?". Risposta: "Lo divertiva".
Giorgio Meletti
Bibliografia essenziale su Cesare Romiti
Cesare Romiti, Questi anni alla Fiat, intervista di Giampaolo Pansa, Rizzoli, 1988
Marco Borsa con Luca De Biase, Capitani di sventura, Mondadori, 1993
Giuseppe Berta, La Fiat dopo la Fiat, Mondadori, 2006
Nunzia Penelope, Vecchi e potenti, Baldini Castoldi Dalai, 2007
Cesare Romiti con Paolo Madron, Storia segreta del capitalismo italiano, Longanesi, 2012
Giancarlo Galli, Gli Agnelli, Mondadori, 1997
Paolo Griseri, Massimo Novelli, Marco Travaglio, Il processo, Editori Riuniti, 1997
Pino Nicostri, Fiat – Fabbrica italiana automobili e tangenti, Kaos, 1997
Franco Bernabè, A conti fatti, Feltrinelli, 2019
luca1977 ha scritto:Io stimo una crescita del debito causa superbonus dello 0,002 percento