il foglio ha scritto:
Sarà anche merito del nostro amico e collaboratore Luigi Amicone, ma questa intervista di Monti è da dieci e lode. Dare i voti a un professore che da qualche mese si occupa direttamente di politica è divertente e un po’ ribaldo. Ma ci sta. Non perché Monti dica la verità senza dissimulazioni. Sarebbe strano, innaturale. Sono convinto che la risposta sulla auspicata capacità dei partiti di esprimere una soluzione ben congegnata al 2013, con una leadership in grado di fare il necessario, abbia qualcosa a che fare con le frequentazioni scolastiche gesuitiche del giovane Monti. Il quale, alla sua età, ha sicuramente per la testa il legittimo progetto di tornare a governare, se possibile e opportuno, oppure di succedere a Napolitano, come garante di uno stile nazionale intelligente e rigoroso, e anche ironico salva qualche perdonabile vanità, ma soprattuto come garante di uno sforzo di lunga lena, negli anni, al quale dovremo avere la forza di accudire come paese di bellurie e di evasioni di ogni tipo. Di questo sforzo fa parte una copertura tecnico-politica capace di rassicurare il concerto politico europeo di cui facciamo parte, ma senza cedimenti sulla faglia egemonica germanica (è quello che con qualche inevitabile timidezza Monti fino ad ora si è adoperato a realizzare).
Alla destra populista, che ha diritto di dire la sua nelle varie forme e linguaggi che sceglie, questo stile non piace. E molti italiani di gran classe sono genuinamente scettici sul disegno nato con il governo Monti-Napolitano. Ma non indicano alternative serie, i loro giudizi servono a stimolare il non conformismo, ma non a difenderci dai lupi (e i lupi sono fuori di noi ma anche in noi). Dissimulazioni a parte, il Monti di Amicone parla in modo sensato e serio delle tasse e dell’evasione, delle carceri e della giustizia e delle intercettazioni, dell’Europa oggi lontana degli Eurobond e della necessaria mutualizzazione, a certe condizioni, delle conseguenze speculative e di mercato provocate dal debito pubblico di caratura nazionale espresso in euro, cioè in moneta sovranazionale. Non affetta orgoglio, non si monumentalizza, non chiama consenso facile, e anche per questo rischia di ottenerlo nonostante gli strangugli che provoca la sua strategia di riforme strutturali e di tenuta in pugno del bilancio pubblico. Non è un moralista, non vuole trascinarci alla battaglia, non esprime una visione facile delle cose e non si libera dai condizionamenti con un decisionismo da avanspettacolo. Fa quel che deve date le circostanze, e quel che può. Cioè molto.
il foglio ha scritto:Infatti siamo non già stupiti, ma letteralmente basiti, nel constatare che tutti, dico tutti gli italiani che si lasciano interpellare e hanno voce in capitolo elettorale e civile, dall’accademico liberale all’opinionista di establishment, dal gommista al commerciante, dalla utente di un bus al giovanotto proletario alla ragazzetta, fino alla farmacista e alla partita Iva e all’imprenditore e ad altre figure sociali di massa, tutti, dico e ripeto tutti, sembrano detestare Monti e sembrano pronti a garantirgli il più cordiale, vasto e travolgente insuccesso elettorale. L’intesa universale a dannarlo comprende, salvo rare eccezioni, tutti i settori che contano dell’establishment, e le poche aperture di un Montezemolo o di un Riccardi o del Vaticano stesso sono poi contraddette da clamorose ritirate personali, da scommesse dall’esterno, da interpretazioni al ribasso, da corse verso il vincitore Bersani cosiddetto e verso la rimonta berlusconiana, leggendaria in ogni senso, con puntate e ammiccamenti sul tour di Grillo e l’attivismo giudiziario-politico di un’estrema sinistra da ubriachi. Monti però no.
Ma che cosa ci ha fatto Mario Monti? Sono d’accordo con Gardels. Niente di male e parecchio di buono. Ci ha posto di fronte a problemi nati dal caos e dal disordine finanziario nei conti pubblici che abbiamo scrupolosamente creato noi, come sistema e circuito politico e sindacale e mediatico e giudiziario, nei decenni, a partire dalla Prima Repubblica e dalla sua crisi e lungo tutto l’arco della Seconda Repubblica. In quei decenni il prof. predicava dal Corriere le cose che si sanno: rigore, riforme, equità intergenerazionale per la crescita dell’economia e del lavoro, taglio delle ali e fine di un bipolarismo imbizzarrito. A un certo punto il Cav. lo scelse per Bruxelles, dove si fece onore e lo confermò D’Alema premier. Poi Napolitano lo scelse per la nota bisogna col consenso di Cav. e Pd. Si fece di nuovo onore. Mediò con successo il nostro rapporto con l’Europa. Tenne a bada la maggioranza paradossale. Non insultò Berlusconi, che mal lo ricambia ora, anzi lo beatificò come un venerabile predecessore. Non fu stampella della sinistra né delle banche né di Confindustria né del gruppo Espresso, anzi, colpì vasti interessi e consolidati e sempre difesi dalla concertazione per riformare definitivamente le pensioni (attesa: mezzo secolo), per attuare il pareggio di bilancio con un inasprimento fiscale dovuto alla radicalità della crisi finanziaria, checché ne dica il keynesiano Wolfgang Münchau sul Financial Times. Certo non è un leader nel senso che si è imposto da vent’anni, non promuove referendum personali, non agita un fascino che non ha, fa morire di noia chi vuole dalla politica il teatro e l’avanspettacolo (noi siamo stati così e in parte lo siamo ancora). Ma non è quel Dracula insopportabile che la coca light culture vuole spacciare a ogni angolo di strada. L’Italia è così fatta: uno lo smuovono, gli dicono fa’ questo per noi, lui lo fa e bene, all’inizio tutti lo applaudono, e chissenefrega della democrazia, poi quando quello fa sul serio, scatta immediata la rivolta del benpensantismo farlocco, e lo dannano. La famosa situazione grave, ma non seria.
il foglio ha scritto:Quel ministro, quella donna, ha per me qualcosa di prodigioso. Esprime energia, bellezza e una infinita e seria buona coscienza nella fissità del corpo e nella voce, quando legge in Senato il suo perentorio, esatto, minuzioso, visionario discorso sui lavoratori messi in ballo dalla riforma. E’ alle prese con il cretino confindustriale, e con il suo miserabile particularismo subguicciardiniano. E’ molestata dall’ossessa della Cgil e da spregevoli demagoghi di altra denominazione sindacale. Tutta gente che sta sulla scia della fatale parola d’ordine “Fornero al cimitero”, un’adunata di bugiardi per gola che difendono non già gli interessi effettivi, né dei giovani né dei vecchi lavoratori messi in discussione da una crisi da modernizzazione e da severità sociale mancata, ma un legame presuntivo d’apparato con i fondamentali ideologici del potere di concertazione. Cioè del principale responsabile dei bassi salari italiani, della larga inoccupazione produttiva, della paralisi normativa che ha ingessato nel tempo il mercato del lavoro, che ha spinto gli imprenditori a diventare supereroi delle vacanze di lusso e del disinvestimento e del consumo pazzo (avete mai visto lo yacht billionario di un tedesco ancorato a Porto Cervo? sono tutti a Rimini o se la godono in montagna, e per lo più lavorano).
La borghese di sinistra, per di più torinese che mi piace immaginare della razza di Gozzano, una malinconica non mai turbata dalla retorica dei gobettiani, si scontra con le trappole, sanguina ma non le evita, e rende conto del lavoro che fa con equilibrio adamantino. Hanno tentato di tutto contro di lei, come contro Ichino e molti altri: campagne personali, inviti a tacere, insulti alla sua buona fede e alla sua intelligenza, minacce di vario ordine e grado, insolenze alla famiglia, isolamento politico. Tuonano in comizio, le belve da Colosseo che guidano la rivolta e non sanno dove andare se non a difendere l’esclusività della casa propria, e mobilitano la stupidità umana di massa impartendo parole d’ordine che dovrebbero far rizzare i capelli in testa agli italiani che sanno, e che per lo più sono paurosi e latitano quando dovrebbero difenderla con accanimento. Le persone che amo la amano, infallibilmente, con la sola eccezione dei miei anch’essi amati amici cinici, inorgogliti sempre dalla storica subalternità, dal pressappochismo e dalla minorità delle nostre classi dirigenti. Nella sua bocca divina una giungla di cifre, di verità difficili, contro il Grande Fratello degli esodati, puttanata plateale costruita per distruggere l’unica vera riforma degli ultimi cinquant’anni.