La Stampa, 7/6/1978
Udine: terroristi uccidono maresciallo delle carceri DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE UDINE — Un altro mortale attacco terroristico, dopo giornate di calma apparente. Stavolta il centro dell'assalto è Udine, a diciannove giorni dalle elezioni regionali per il Friuli-Venezia Giulia. E' stato ucciso a colpi di pistola il comandante delle guardie del carcere udinese, maresciallo capo Antonio Santoro: cinquantaduenne, originario di Avigliano (Potenza), era sposato e padre di tre ragazzi tra i dieci e i vent'anni. E' spirato mentre lo stavano trasportando all'ospedale. Un groviglio di messaggi, lanciati all'ufficio di Mestre dell'agenzia Ansa e a due sedi de «Il Gazzettino», innesca un conflitto anche nella rivendicazione del delitto: da una parte i «proletari armati per il comunismo» si assumono la paternità dell'assassinio, dall'altra le Brigate rosse insistono per annoverare questo tragico agguato fra le loro azioni. Antonio Santoro era rientrato in servizio l'altro ieri, dopo una licenza di convalescenza: aveva avuto uno scontro piuttosto violento con un detenuto, ne era uscito con una frattura a un dito. Ieri mattina, poco prima delle otto, la breve furiosa sparatoria che lo ha falciato. E' avvenuto in un paio dì minuti, a un centinaio di metri dal carcere di via Spalato. Una prigione nella quale, negli ultimi tempi, sono andate accumulandosi inquietudini. Nell'estate del 1972 il maresciallo Santoro fu coinvolto in una vicenda giudiziaria alquanto clamorosa: venne denunciato in pretura, insieme con otto guardie carcerarie, con l'accusa di abuso di potere. Furono tutti assolti con formula piena. La tempesta che s'era abbattuta sul carcere udinese lasciò comunque uno strascico di polemiche, di dispute accese. Tra l'altro, il principale accusatore era stato un vicebrigadiere, il quale aveva sostenuto d'aver visto qualche riga di sangue in qualcuna delle celle. Poi, un'altra burrasca scosse la prigione di Udine: quattro guardie arrestate, altre sedici denunciate nel quadro di un'inchiesta che raccoglieva una serie di sospetti: forse un traffico di droga e di alcolici, e anche denaro falso. Questa istruttoria è ancora in corso. Intanto, secondo i piani di ristrutturazione, quello udinese dovrebbe diventare un carcere speciale, per «superdetenuti». E qui ha già compiuto una visita il generale Carlo Alberto Della Chiesa. Adesso, nel reclusorio ci sono circa duecento detenuti. Vi sono stati rinchiusi per un certo periodo anche due presunti brigatisti sospettati d'aver fatto parte della banda «22 ottobre». Ieri mattina, puntualissimo, il maresciallo Antonio Il maresciallo Santoro Santoro esce di casa per andare a riprendere il filo del comando di questa prigione difficile. La distanza fra la sua abitazione e il carcere è brevissima, ad una ventina di metri, all'angolo della strada, ci sono un uomo e una donna, stretti l'uno all'altra come se fossero intenti a qualche effusione: lei è esile, sui ventanni, alta circa un metro e sessanta, capelli rossicci corti; lui piuttosto prestante, bruno, barba folta. Antonio Santoro non fa che pochi passi.
L'uomo che stava all'angolo si muove svelto, affianca il maresciallo, cava di tasca una pistola «Glisenti» calibro 10,5, un'arma famosa che era in dotazione ai carabinieri prima della seconda guerra mondiale. E spara rabbioso: il primo colpo va a scalfire il cordone del marciapiede, il secondo coglie al capo Santoro, lo trapassa da una tempia all'altra, il terzo proiettile penetra nel torace. Mentre il maresciallo s'accascia, un'auto sbuca stridendo in retromarcia dalla via laterale: vi balzano sopra lo sparatore e la ragazza, poi la vettura, pare una «Simca 1300», infila di scatto la strada opposta. Sono in quattro a bordo. Un capitano dell'esercito, che sopraggiunge in bicicletta, vede la macchina sfrecciare. E l'individuo che siede a fianco del conducente gli lancia un gesto dì sfida; alza la mano a pugno chiuso. Giuliano Marchesini (Continua a pagina 2 in ottava colonna)...
http://www.memoria.san.beniculturali.it ... ode=normal
Antonio Santoro, maresciallo comandante degli agenti di custodia del carcere di Udine, viene ucciso nel capoluogo friulano da militanti del gruppo Proletari armati per il comunismo (Pac) verso le sette del mattino del 6 giugno 1978. Il sottufficiale viene aggredito – appena uscito di casa per andare al lavoro – da un giovane che lo sta aspettando fingendo effusioni amorose con una ragazza. Il giovane lo raggiunge e lo colpisce alle spalle con tre colpi di revolver Glisenti 10.20.
Nel volantino di rivendicazione, intitolato Contro i lager di Stato, si afferma che l'istituzione carceraria va distrutta perché «ha una funzione di annientamento del proletariato prigioniero».
Gli autori materiali dell'omicidio Santoro, condannati con sentenza passata in giudicato, sono Cesare Battisti, che ha personalmente sparato i tre colpi di revolver, la sua finta fidanzata Enrica Migliorati, nonché Claudio Lavazza e Pietro Mutti (quest'ultimo reo confesso) che sono rimasti in attesa sull'auto della fuga, parcheggiata a breve distanza.
Come concorrenti nell'omicidio Santoro sono stati condannati, con sentenza passata in giudicato, anche Arrigo Cavallina, Sebastiano Masala e Luigi Bergamin (i primi due rei confessi), in quanto organizzatori del delitto e gestori della fase della rivendicazione e della stampa e diffusione dei relativi volantini.
https://www.cinquantamila.it/storyTelle ... 0001401773
Giacomo Amadori, Panorama 13/1/2011 (uscita 7/1), 13 gennaio 2011
«COSI’ UCCIDEVAMO CON BATTISTI». PARLA PIETRO MUTTI
Se il caso di Cesare Battisti è diventato un’affaire internazionale la colpa è anche sua, che esattamente trent’anni fa ha guidato il commando che ha fatto evadere il terrorista oggi conteso tra Italia e Brasile dal carcere di Frosinone, dove era rinchiuso con una condanna a 12 anni per banda armata, favorendo la sua latitanza. Il «colpevole» è Pietro Mutti, classe 1954, ex compagno di scorribante di Battisti nei Pac, i Proletari armati per il comunismo. Nel 1981 Mutti era passato da poco in Prima linea, viveva in un covo di Roma a pochi passi da San Giovanni. La grande fuga iniziò in una domenica di ottobre e insieme con Battisti, ventisettenne originario di Sermoneta (Latina), scappò anche un giovane camorrista. «Non ci stupimmo, Cesare era stato ed era rimasto un piccolo malavitoso più che un estremista politico». Il gruppo attraversò a piedi le montagne e poi, in treno, raggiunse la Capitale. Da qui Battisti si diresse a Bologna, dove si rifugiò a casa della sua compagna, un’impiegata che era stata legata sentimentalmente a uno dei fondatori dei Pac. La donna condivideva l’appartamento con un’altra giovane. I loro nomi non sono mai emersi in nessun processo. E anche Mutti preferisce non farli. Da Bologna Battisti passò in Francia, poi in Messico, quindi di nuovo in Francia e, infine, nel 2004 in Brasile, grazie, si dice, ai servizi segreti francesi. «Sono sicuro che, se anche il Brasile lo avesse estradato in Italia, prima del rimpatrio sarebbe riuscito a sfuggire di nuovo e a trasferirsi altrove» dice Mutti. E aggiunge: «In Italia comunque non tornerà mai. Bisogna mettersi il cuore in pace». Ma chi c’è dietro all’impunità di Battisti? «Credo la Francia e alcuni suoi intellettuali, forse Carla Bruni, la moglie di Nikolas Sarkozy» continua l’ex terrorista «però io non mi occupo di politica internazionale». Oggi Mutti vive a Milano, la città dove è nato e cresciuto. Negli anni Settanta ha partecipato alla lotta armata, [...]
http://www.vuotoaperdere.org/Articolo_L ... ?ArtID=118
Il complice di Battisti: ''Intellettuale? Era un delinquente comune''
'Nel 1981 fece scappare con sé dal carcere di Frosinone un giovane camorrista''
''Io e lui protagonisti di tutte le malefatte dei Pac''. Lo rivela Pietro Mutti, fondatore dei Proletari armati per il comunismo a 'Panorama'. Parla anche l'ex fidanzata: ''Nel dirmi l'effetto che gli faceva uccidere una persona'' si accusò dell'omicidio Santoro. Frattini: ''Mi auguro che Lula sconfessi la decisione del suo ministro della Giustizia''
''Devo essere sincero: gli unici che sono stati protagonisti di tutte le malefatte dei Proletari armati per il comunismo siamo io e Cesare Battisti, i due operativi''. Pietro Mutti, 54 anni, fondatore dei Pac (ha scontato otto anni di carcere), pentito e grande accusatore di Cesare Battisti, descrive cosi' nella sua prima intervista, pubblicata su Panorama in edicola da domani, il suo ex compagno di lotta armata.
''Non era un intellettuale -dice- ma un delinquente comune e cosi' si dava da fare per meritare di restare con noi, il gruppo fondatore dei Pac, che in cambio gli garantivamo vitto, alloggio e documenti falsi''. E aggiunge: ''Nel 1981 organizzai la fuga di Battisti dal carcere di Frosinone e lui, che del prigioniero politico aveva poco, fece scappare con se' un giovane camorrista''.
C'e' anche chi non crede a Mutti. ''Quell'uomo si e' salvato dall'ergastolo scaricando le responsabilita' su mio fratello'', dice a Panorama il fratello dell'ex terrorista. Il settimanale pubblica altre testimonianze di chi e' stato con Battisti nei Pac:
''Nella primavera del 1979 Battisti, nel dirmi l'effetto che faceva uccidere una persona (e ''in particolare vedere uscire il sangue da un uomo colpito'' si legge in una sentenza), fece riferimento all'omicidio Santoro, indicando se stesso come uno degli autori'', ha testimoniato per esempio la ex fidanzata e compagna di lotta di Battisti, Maria Cecilia B., oggi docente universitaria. E Massimo T., ex militante dei Pac, ora stimato professionista: ''Un giorno mi chiesero di guidare l'auto che doveva portare il gruppo a fare una gambizzazione (quella dell'agente di custodia Claudio Nigro, ndr). Con me c'erano Battisti e Mutti. Dopo l'azione io ero sconvolto, loro non mi sembrava. Il nostro piu' grande errore? Pensare di avere ragione: in quel momento avevamo gia' perso''.
Contro Battisti anche le dichiarazioni della famiglia Fatone: Sante, pentito, la sorella Anna e la nipote Rita. Quest'ultima definita dagli amici di Battisti ''ai limiti dell’imbecillità''. ''La stessa tecnica di sempre. Che conferma lo stile dell’uomo'' replicano a casa Fatone, dove le donne hanno paura. ''Quando Anna e sua figlia, allora minorenne, andarono in Francia a cercare Sante latitante, Cesare le minacciò di morte. Era il peggiore di tutti''.
Arrigo Cavallina, ideologo e tra i fondatori dei Pac, afferma al settimanale: ''Quando sento che Cesare fa la vittima dall’altra parte del mondo, mi viene da sorridere''.
Intanto il ministro degli Esteri Franco Frattini, che ieri aveva annunciato come la Farnesina stia valutando l'ipotesi di richiamare l'ambasciatore italiano a Brasilia, Michele Valensise, ha detto a Sky Tg24"Mi auguro che, esercitando il proprio potere, il presidente Lula sconfessi la decisione del suo ministro della Giustizia", che ha concesso lo status di rifugiato a Battisti.