Dimmi dell'India...(contiene breve racconto di viaggio)

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macman
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Dimmi dell'India...(contiene breve racconto di viaggio)

Messaggio da macman »

A parte quel famoso progetto di esportare la piadina romagnola, qualcuno ha info da darmi sull'India?
Ho appena prenotato un volo per quest'estate per Delhi: l'idea sarebbe quella di visitare Delhi, Agra con il Taj Mahal, il Rajastan e, se possibile, Varanasi.
Seguirà breve racconto di viaggio :wink:
Ultima modifica di macman il mar set 08, 2009 2:26 pm, modificato 1 volta in totale.
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balbysauro
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Re: Dimmi dell'India...

Messaggio da balbysauro »

macman ha scritto: breve


:roll:
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picard
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Ecco un paese in cui non andro' mai...
Mia sorella va periodicamente nel rajastan (questioni religiose), mi dice che li' e' un po' piu' pulito del resto. Le citta' le evita accuratamente perfino lei...
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Messaggio da Alga »

picard ha scritto:Ecco un paese in cui non andro' mai...
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doctorbones
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Re: Dimmi dell'India...

Messaggio da doctorbones »

macman ha scritto:Seguirà breve racconto di viaggio :wink:
Dimmi quando che prendo vacanza con largo anticipo per poter leggere... :D
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macman
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Messaggio da macman »

Dopo numerosi contatti con vari driver indiani, abbiamo optato per la scuderia di Karni Singh, semi famoso nel suo ambito.
Ho concordato con lui un itinerario ad hoc, che farò con un driver e con la sua lussuosa Ambassador (macchina indiana).
Faremo Delhi, Agra, il Rajastan e Varanasi (dove ci aveva individuato un hotel semilussuoso ma fuori città, mentre mia moglie ha insistito per avere una stanza al Gange View, appunto sul Gange, hotel una stella, mah...).
Non ci faremo ovviamente mancare un trasferimento in treno notturno...

Come mai Picard, se posso permettermi, tua sorella va in Rajastan "per motivi religiosi"?
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Messaggio da picard »

boh, va a meditare in qualche tempio o roba simile; per migliorare il suo karma e balle simili :D
hotl una stella in India??? Voi siete pazzi, sono sporchi i 5 stelle, figurarsi il resto. Dovrete lottare con i topi per il possesso del letto, immagino.

ah, la lussuosa auto...
http://en.wikipedia.org/wiki/Hindustan_Ambassador
:roll:
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Messaggio da macman »

picard ha scritto:
ah, la lussuosa auto...
http://en.wikipedia.org/wiki/Hindustan_Ambassador
:roll:
Sì, sì, la conoscevo la Ambassador! Meravigliosa! :D

Vi dirò come andrà la notte "Io, mia moglie e le pantegane"
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Re: Dimmi dell'India...

Messaggio da macman »

Mia moglie ha buttato giù un breve racconto di viaggio...che faccio, lo posto?
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Re: Dimmi dell'India...

Messaggio da fansfegatatodiseles »

Breve? :D

C'è bisogno di chiederlo? Posta, posta.... :wink:
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Re: Dimmi dell'India...

Messaggio da macman »

OK, vado.
Io ne ho letti solo dei pezzi perchè non ho avuto tempo...
E' stato fatto, al solito, per il sito turisti per caso, quindi con indicazioni di ristoranti, prezzi, ecc.
Se un giorno avrò tempo metterò anche alcune foto...


Passaggio in India ... del Nord

(Rajasthan, Agra, Khajuraho, Varanasi, Delhi)
di Angela e Manuel
31 luglio – 19 agosto 2009

Folgorati dall’idea di visitare l’India dopo una sera a teatro (grazie allo splendido adattamento di “Passaggio in India” di Forster della scrittrice indiana Santha Rama Rau) e definitivamente convinti dai racconti degli altri turisti per caso letti su questo sito, anche noi ci siamo decisi: l’estate del 2009 l’avremmo passata a scoprire i tesori, le meraviglie e le contraddizioni dell’India. La scelta dell’itinerario è caduta sulle regioni del Nord, a cominciare dal famosissimo Rajasthan, con l’aggiunta del Madhya Pradesh, Uttar Pradesh e puntata finale su Delhi. Così abbiamo deciso di sfidare la stagione dei monsoni, non potendo, per ragioni lavorative, organizzare un viaggio così lungo in altri periodi dell’anno ... ma si vede che la fortuna aiuta gli audaci: in tre settimane abbiamo trovato si e no un solo giorno di pioggia (peraltro torrenziale), che però fortunatamente non ci ha impedito di visitare i vari siti.
Per comodità di chi legge, il nostro racconto è diviso in due parti: la prima dedicata ai consigli pratici sull’organizzazione del viaggio, che potrà, speriamo, essere utile a chi sta progettando una vacanza come questa (senza bisogno di ‘spulciare’ fra le righe del nostro diario ...); la seconda parte è invece il vero e proprio resoconto delle nostre giornate in India.

Consigli di viaggio

Agenzia, driver e trasporti interni

Seguendo i consigli di molti utenti di questo forum, per l’organizzazione del viaggio abbiamo deciso di rivolgersi ad un’agenzia di viaggi indiana, che ha messo a nostra disposizione un autista praticamente per tutta la durata del viaggio, ci ha prenotato gli alberghi ed i trasferimenti interni (oltre a qualche escursione).
Credo che questo sia il modo ideale di visitare queste regioni. In primo luogo, sarete tutto sommato autonomi, potendo scegliere in libertà i posti che intendete vedere: il programma di viaggio, con le tappe principali viene infatti concordato fra voi e l’agenzia al momento della prenotazione; poi sarete voi ad indicare al driver i diversi siti, e il momento della giornata in cui volete visitarli. Si evita così di rimanere ‘intruppati’ come nei viaggi organizzati di gruppo. Scegliendo un’agenzia indiana, poi, si risparmia parecchio rispetto ad identiche proposte di tour operator italiani (noi per tre settimane abbiamo speso 900 euro a persona, per l’autista, gli hotel, i due trasporti interni in treno e alcune escursioni). Infine, muovendosi in macchina, anche tenendo conto della situazione più o meno disastrata in cui si trova la maggior parte delle strade indiane, è possibile spostarsi (al fresco dell’aria condizionata!) più velocemente rispetto ad autobus e treni, potendo così visitare molte città e villaggi in un numero di giorni relativamente ridotto.
Probabilmente i puristi del viaggio zaino in spalla storceranno il naso. Il fatto è che viaggiare in India muovendosi esclusivamente con i mezzi pubblici e trovando di volta in volta qualche guesthouse credo richieda moltissimo spirito di adattamento – non è certo come fare la stessa cosa in Messico o a Cuba –. Credo che ognuno dovrebbe valutare onestamente le proprie capacità: se siete abituati a viaggiare in completa libertà, magari da soli (come il ragazzo di Madrid che abbiamo incontrato sul treno per Varanasi), questo tipo di organizzazione di viaggio non fa per voi; ma se volete evitare di ritornare così stanchi e stressati da avere bisogno di un’altra vacanza vi troverete bene.
Noi ci siamo affidati all’agenzia di Karni Singh, o Popular India Vacation (http://www.viaggioindia.ithttp://www.indiakarni.it) di Jaipur, e devo dire che siamo rimasti complessivamente soddisfatti: Karni ha prenotato per noi hotel che, in quasi tutti i casi, si sono rivelati davvero belli e ci ha messo a disposizione una macchina comoda (ci aveva promesso la tipica Ambassador, mentre in realtà abbiamo viaggiato con una Tata Indigo, una vettura a tre volumi di media cilindrata, secondo me più confortevole).
Per la buona riuscita di questo tipo di viaggio, conta moltissimo il driver: se si trova una persona attenta e disponibile, e soprattutto in grado di parlare un discreto inglese, tutto risulterà più facile; tenete presente che, vista la durata degli spostamenti (calcolate una media di 4-5 ore per tappa), l’autista è una delle persone con cui passerete la maggior parte del tempo ... si può immaginare quanto possa essere stressante capitare con la persona sbagliata!
Noi siamo stati davvero fortunatissimi per il nostro tour sino a Khajuraho: il nostro autista era Bhuvnesh, un ragazzo gentilissimo ed educato, sempre con il sorriso stampato sulle labbra. Bhuvnesh guida bene (è prudente, ma dove è possibile viaggia anche a 90 km/h, che per la media degli autisti indiani è cosa buona), ed è sempre disponibile: noi in particolare lo abbiamo messo a dura prova, chiedendogli di cercare templi sperduti – secondo la Lonely assolutamente imperdibili, ma in realtà semisconosciuti ... – in mezzo al traffico indiano fatto di rickshawn, ciclorisciò, carretti a trazione animali, motorini, biciclette e soprattutto vacche piantante nei posti più improbabili, nella pressoché totale mancanza di indicazioni stradali ... mentre lui, mortificatissimo, continuava a scusarsi perché non conosceva bene la strada! Spesso ci lasciava il suo secondo cellulare, così da poterlo chiamare quando ne avevamo bisogno; ha sempre comprato l’acqua fresca per noi, e insisteva per dividere con lui la sua frutta, visto che a pranzo, come siamo abituati in vacanza, in genere non mangiamo.
Insomma, se capiterete con lui la buona riuscita del viaggio sarà garantita; non so se sia possibile chiedere a Karni di viaggiare proprio con lui, ma secondo me potrebbe valerne la pena ...
Il tour in Rajasthan è stato praticamente perfetto, insomma; qualche problema invece non è mancato l’ultima settimana, quando siamo stati a Varanasi e poi a Delhi. In primo luogo, circa un mese prima della partenza, Karni ci ha scritto dicendo che il volo da Khajuraho a Varanasi, che gli avevamo chiesto di prenotare, era tutto esaurito, e che avremmo viaggiato in treno da Satna ... un viaggio che si è rivelato allucinante, 9 ore e mezzo per fare poco più di 300 km! Capisco che non fosse colpa sua se i posti in aereo erano finiti, ma insomma, avendolo contattato con larghissimo anticipo (marzo-aprile) non mi sarei aspettata una cosa del genere ...
A Varanasi poi l’organizzazione non è curata da Karni, ma da un’altra agenzia, cui Karni si appoggia (noi abbiamo avuto come riferimento tale Mr Ramvillas). A Varanasi non si ha a disposizione un autista, ma bisogna accordarsi di volta in volta con l’agenzia (o il driver) per le 4 ‘escursioni’ previste (le 2 gite in barca su Gange, la visita ai templi della città e Sarnath). Peccato che una volta l’autista non si è presentato, e, dopo un’ora, Mr Ramvillas ce ne ha procurato uno che non conosceva una sola parola in inglese! Il giorno dopo, altro ritardo (stavolta solo 20 minuti), e altro autista rigorosamente hindi speaking (nonostante le promesse ...).
Quanto a Delhi, abbiamo avuto per due giorni due diversi autisti. La prima volta è venuto un dipendente di Karni, Mr Omreev: nonostante le poche ore passate con lui ci ha fatto una buona impressione. Il secondo giorno si è presentato un tassista ingaggiato dall’agenzia per l’occasione: la mattinata è filata via liscia; poi, nel pomeriggio, ha cominciato a dire che i posti che volevamo vedere erano lontani o già chiusi (ma non era vero), che c’era troppo traffico, e che avremmo dovuto raggiungere l’aeroporto con molto anticipo ... insomma, ci ha scaricati all’aeroporto alle 7 di sera, quando avevamo il volo alle 2 del mattino! Noi non abbiamo fatto polemiche, anche perché dopo tre settimane di viaggio, e dopo aver visto innumerevoli palazzi, moschee e forti, eravamo davvero stanchi, e non cambiava molto se il trecentesimo tempio ce lo perdevamo, ma i patti con Karni erano diversi ...

Mance, guide, commissioni e acquisti

Possono sembrare argomenti eterogenei, ma sono accomunati da un fil rouge: si tratta di situazioni in cui, voi, i turisti, verrete trattati come ghiotta occasione di guadagno dalla popolazione locale, che cercherà di escogitare qualsiasi stratagemma per estorcervi più denaro possibile. Come hanno già detto molti turisti per caso, spesso in India ci si sente come bancomat ambulanti ... questo è senz’altro vero, ma se ci si mette in testa che non è affatto obbligatorio soddisfare le aspettative di tutti, e che soprattutto non siete costretti a fare o ad acquistare nulla, la cosa non vi rovinerà affatto la vacanza.
Le mancia è davvero oggetto di domanda unanime. La vogliono tutti: dal facchino dell’hotel, che vi strappa letteralmente di mano i bagagli per portarveli, al cameriere; dal tizio accovacciato fuori dal tempio che sostiene di essere il sorvegliante delle scarpe, all’omino del treno che porta le coperte. Ogni volta che compare una persona dai tratti occidentali subito gli indiani si ingegnano per inventarsi qualcosa che faccia loro meritare il diritto all’obolo ... Il metodo che abbiamo seguito noi è stato di considerare la mancia come un premio per un servizio effettivamente richiesto, e rivelatosi soddisfacente, e non come una specie di tassa da pagare ogni volta. Così la mancia l’abbiamo data agli autisti (la Lonely consiglia 75 rupie al giorno, ma secondo noi è giusto aumentarla, se vi siete trovati davvero bene, o diminuirla o non darla affatto, se ci sono stati dei problemi), ai cammellieri a Khuri (20-50 rupie) e ai ragazzini che ci hanno portato in barca a Varanasi (10 rupie), ai camerieri nei ristoranti (10-20 rupie), ma solo se il servizio è stato soddisfacente (o il cibo molto buono, come in pizzeria a Khajuraho!). Possono sembrare cifre irrisorie, ma è bene ricordare che, in un Paese dove gli operai guadagnano 300-400 rupie al mese, si tratta invece di somme consistenti. Non pensate poi che, dando di più, vi meriterete la loro gratitudine: al tempio di Ramdeora abbiamo lasciato le scarpe in custodia ad una ragazza (era proprio necessario, visto il caos ...); non avendo tagli piccoli con noi, alla fine le abbiamo lasciato 100 rupie (in genere vanno benissimo 5) ... bé, lei non ha fatto una piega, o un mezzo sorriso, niente!
Anche i bimbi vi chiederanno soldi, ma non datene loro: finiranno ai loro genitori, che così troveranno molto più conveniente mandarli ad elemosinare, anziché a scuola, o, nei casi peggiori, ad organizzazioni di sfruttatori. Se le desiderano, date invece loro delle penne (ve le strapperanno di mano per l’entusiasmo!), o delle caramelle; a noi i piccoli chiedevano con tono sconsolato pure del cioccolato, ma, viste le temperature torride, forse non è una grande idea portarselo in India!
La ‘mancia’ è poi anche il corrispettivo per la guida. Se lo desiderate, Karni potrà prenotarvi una guida per i luoghi in cui pensiate vi possa servire, ma non è affatto necessario decidere con tanto anticipo. La guida ve la potrà procurare il vostro autista, talvolta anche nel caso in cui non l’abbiate nemmeno chiesta! In realtà, da quanto ci è parso di capire, spesso il driver non lo fa certo perché vuole ottenere una commissione (cioè una parte del compenso della guida), ma semplicemente perché costretto ... A Jaisalmer, ad esempio, mentre eravamo fermi in macchina ad un semaforo un uomo in moto, dopo averci individuato, ha picchiato sul finestrino, ed ha cominciato a parlare fitto con Bhuvnesh; dopodiché, Bhuvnesh ha detto che quella era la guida, ed il tizio ci ha seguito fino al parcheggio ... è chiaro che l’autista non può certo rifiutare simili agganci: lui in quei posti ci deve tornare, e deve mantenere buoni rapporti ... ma potete benissimo farlo voi, se pensate di non avere bisogno di una guida, e nessuno vi forzerà a prenderla.
In generale, se ci si è preparati leggendo la Lonely, o un’altra buona guida, non vi servirà qualcuno che vi faccia da cicerone girovagando fra le vie delle varie città o nei templi. L’unico posto in cui credo la guida serva è Mandawa: a guardare la cartina sembra un minuscolo villaggio, con le haveli l’una vicino all’altra ... in realtà manca qualsiasi indicazione, le haveli sono in vicoli semideserti dove scorrono fogne a cielo aperto o quasi in aperta campagna, e non troverete alcun segnale che vi indichi quelle da visitare. La guida serve appunto per non perdersi, più che per spiegarvi qualcosa: noi ad esempio ne avevamo una che si limitava a blaterare in un improbabile italiano, indicando le figure sulle pareti, “cammello, cavallo, elefante” ... Nei forti più grandi e nei city palace la guida può essere utile, ma ricordate che, spesso, compresa nel prezzo del biglietto o pagando un modesto supplemento, si può avere un’utilissima audioguida (in genere in inglese; al Mehrangarth di Jodhpur c’è anche in italiano): potrete così scoprire un sacco di cose interessanti, essere certi che quanto ascoltate non è frutto della fervida immaginazione della più o meno improvvisata guida di turno, e nessuno cercherà di trascinarvi in un negozio, a fine visita. Ricordate di chiedere sempre alla biglietteria che cosa è compreso nel prezzo del biglietto, se è disponibile un’audioguida e il relativo costo: non date troppo credito alle guide che circolano fuori dall’entrata, che, per convincervi ad ingaggiarli, vi diranno che le audioguide non ci sono, sono perennemente rotte, o sono troppo care ... ad Agra addirittura volevano farci credere che non era possibile introdurre la Lonely al Taj Mahal!
Se decidete di prendere una guida, chiedete di farvi mostrare il cartellino con l’autorizzazione – non è detto che sia originale, ma almeno eviterete i peggiori ciarlatani –, non prendete la prima che capita, ma comparate le varie offerte, ovviamente trattando sul prezzo: è bene concordare il loro compenso in anticipo, evitando, per risparmiarvi inutili discussioni alla fine, chi vi dice che pagherete solo se sarete soddisfatti, o che deciderete voi il compenso.
La regola “non accontentarsi della prima offerta” vale anche nel caso in cui dovrete prendere un mezzo di trasporto diverso dall’auto. In genere, nei pressi dei parcheggi, ancora prima di fermarvi, la vostra macchina verrà avvicinata da qualcuno che vi proporrà di portarvi in giro facendovi il suo prezzo, con l’aria di chi possiede l’unico mezzo di trasporto in circolazione ... non abbiate paura di tergiversare o di rifiutare, non resterete certamente a piedi: girato l’angolo, dozzine di rickshawn e ciclorisciò saranno pronte ad aspettarvi, e potrete sfruttare la concorrenza che si faranno; e magari lo stesso tizio di prima sarà pronto a scendere a più miti consigli ...
Al tema della guida è collegato quello della commissione. Finita la visita, la guida immancabilmente porta il turista in uno o più negozi (in genere nemmeno vi verrà proposto; la cosa viene presentata come visita di cortesia al nonno/zio/cugino commerciante che sarebbe davvero maleducato da parte vostra rifiutare): fra guida e negoziante c’è un accordo, per cui se acquistate qualcosa una parte del prezzo andrà al primo. Ovvio quindi che i prezzi siano più o meno gonfiati (in certi posti, come a Delhi, in maniera scandalosa). Ricordate che potete benissimo rifiutarvi di visitare questi negozi, se non ne avete voglia; se poi decidete di andarci (magari per ripararvi dal caldo infernale), non sentitevi costretti a comprare per forza qualcosa, e, se proprio c’è un articolo che vi piace, non vergognatevi nel fare una contro-offerta molto più bassa. In ogni modo, è molto probabile che troverete le stesse cose in altri negozi, trovati per conto vostro, e a prezzi molto più bassi.
E veniamo quindi agli acquisti. In India fare shopping è come fare sport: può essere enormemente divertente, ma alla fine ne uscirete spossati ... il negoziante di turno inizierà srotolando davanti ai vostri occhi tutta la mercanzia. Se necessario, pur di farvi acquistare sarà disposto a mettere sottosopra l’intero negozio: se proprio non siete interessati sarebbe quindi carino da parte vostra fermarlo prima ... Fate poi attenzione a chiedere il prezzo di un oggetto solo quando siete sicuri che sareste disposti a comprarlo: di qui in poi, infatti, ci si addentra in un’infinita trattativa che porterà quasi certamente all’acquisto. Il commerciante sparerà il suo prezzo (che probabilmente è più del doppio del reale valore) e voi senza timore ribatterete al ribasso; può essere utile proporre, come vostro primo prezzo, una cifra inferiore a quella che siete disposti a spendere, così da arrivare, nel corso della contrattazione, al prezzo desiderato. Se proprio il commerciante non cede, girate i tacchi ed andatevene, troverete qualcos’altro ... ma spesso capita che, proprio in questo momento, l’interlocutore si arrenda incondizionatamente o quasi alle vostre richieste.

Il cibo

Qui arrivano le dolenti note ... siamo consapevoli che c’è chi va letteralmente matto per la cucina indiana, ma noi abbiamo un’opinione molto diversa. Io e mio marito adoriamo viaggiare e soprattutto gustare i piatti tipici dei posti che visitiamo; la nostra curiosità ci spinge a provare tutto, e non ci è praticamente mai capitato, prima d’ora, di cercare un ristorante italiano all’estero, come fanno molti nostri connazionali. Ma l’India ci ha messo davvero a dura prova!
Innanzitutto, ma è banale dirlo, è tutto piccantissimo e speziatissimo. I camerieri vi giureranno che i piatti sono “no spicy”. Probabilmente sono in buona fede, e, secondo il loro gusto, la roba che vi stanno portando è insipida; ma non illudetevi, a voi bruceranno le labbra per ore. In genere, qualunque sia la portata scelta – agnello, pollo, formaggio – , il tutto sarà annegato in una salsa variamente colorata, che ‘ammazzerà’ il sapore dell’ingrediente principale; naturalmente di carne di manzo e maiale nemmeno a parlarne. In alcuni locali servono poi il cibo “pure vegetarian” secondo i dettami della religione hindu, che vieta qualsiasi tipo di carne, le uova, aglio e cipolla (nonché gli alcolici). Vi porteranno quindi questi thali (un grande piatto con tante ciotoline che contengono le diverse pietanze), con verdurine di vario genere (dai familiari peperoni a semisconosciuti ortaggi del deserto), ovviamente speziati, salsine allo yogurt, chapati (il loro pane, che ricorda, ma solo nell’aspetto, la nostra piadina), riso basmati e l’immancabile dhali, che è un’agghiacciante zuppetta di lenticchie. Se avete dubbi su come affrontare il piatto, ricordate che la regola aurea è mescolare tutto, e ringraziate se almeno vi portano un cucchiaio, visto che da loro si usa mangiare con le mani (anzi con la mano, rigorosamente destra).
Altro problema è che, per quanto vi siano descrizioni sui menù, non saprete mai sino all’ultimo momento cosa diavolo vi porteranno. Sapere cosa si sta per mangiare è importante, non fosse altro per scegliere bene l’accompagnamento del piatto. In India le alternative sono due. In primo luogo c’è il loro pane non lievitato: chapati, roti (che è un po’ più sottile) e naan (più morbida e secondo me più buona; la migliore che ho provato è la cheese naan, ma non è male anche la butter, se non temete di intasarvi le arterie con il loro ghj, il burro chiarificato). Quando ve lo portano caldo non è male, ma raffreddandosi tende ad assumere una consistenza gommosa. Poi naturalmente c’è il famoso riso basmati. Quindi, quando ordinate, chiedete sempre se la pietanza scelta è asciutta (dry) o c’è la salsa (with sauce o creamy). Nel primo caso prendete il pane, altrimenti gettatevi sul riso, che spegnerà il piccante del piatto.
Naturalmente, non tutto è da buttare. Se potete, prendete le specialità tandoori, che sono davvero buone, e in genere senza troppe salse. In questi casi, la carne o il pesce vengono fatti marinare per ore negli aromi, e poi cotti nello speciale forno: così il piatto risulta saporito, ma in genere mai troppo forte. Non sono male poi le specialità biryani (carne o verdure con il riso basmati). I dolci sono molto zuccherosi, e spesso vedono l’impiego di spezie per noi insolite (come lo zafferano). A me sono piaciuti il gulab jamun (una pallina dolce annegata nello sciroppo) e una strepitosa frittellina dolcissima che ho mangiato a Choki Dani a Jaipur di cui non ricordo il nome. Ovviamente da provare il lassì, soprattutto il makhania lassì allo zafferano (imperdibile quello di Jodhpur, che è la città dei dolci per eccellenza); attenzione però al mal di pancia che potrebbe provocare.
Ecco, il cibo in India può scatenare fastidiose conseguenze ... credo che sia impossibile fare un viaggio in India senza avere almeno qualche piccola complicanza gastrointestinale: al massimo, stando attenti a quello che si mangia e cercando per quanto possibile di evitare i ristoranti più sordidi si può sperare di arginare la cosa, come abbiamo fatto noi, così da non rovinarsi la vacanza (ma forse è solo questione di fortuna ...). Tenete presente che in India mangiare in un ristorante di medio-alto livello significa in genere spendere 25-30 euro in due; in molti locali, anche consigliati dalle guide, si può spendere una decina di euro, ma ci si può benissimo sfamare con 2-3 euro (sempre a coppia). Prendete sempre acqua minerale o bevande imbottigliate; il thé non dovrebbe provocare problemi, perché bollito (ma non ne sono sicurissima); qualche rischio si corre con il latte, ed in genere con i prodotti caseari non pastorizzati.
Abbiamo accuratamente evitato il cibo di strada (che di solito assaggiamo sempre, nei nostri viaggi). Non che in India manchino le occasioni: da ogni parte vi girerete troverete un banchetto che prepara le cose più curiose. Il fatto è che le condizioni igieniche in cui si trovavano questi ‘esercizi commerciali’ ci facevano immediatamente passare la voglia – senza contare che, essendo queste bancarelle frequentate solo dai locali, è probabile che le pietanze servite siano piccantissime –.

Che cosa portare

Si tratta ovviamente di consigli che valgono soprattutto per chi viaggia d’estate, come noi.
Quanto ai farmaci, per le ragioni di cui sopra, può essere utile portare con sé una bella scorta di antibiotici intestinali (per i casi più gravi), oltre ad un prodotto tipo imodium, specie se dovete viaggiare per ore in preda al mal di pancia. Potete valutare di portare dei fermenti lattici (ovviamente che non abbiano bisogno di essere conservati in frigorifero) e delle bustine di sali minerali (si suda in una maniera pazzesca!). Possono servire anche pastiglie contro la nausea e prodotti che aiutano la digestione, se questo è un vostro problema (in India verrete messi a dura prova). Abbiamo comunque visto moltissime farmacie nelle diverse città, e il driver ci ha sempre assicurato che ci avrebbe accompagnato per acquistare delle medicine, se ne avessimo avuto bisogno, quindi non dovrebbe essere un dramma, se dimenticate qualcosa.
Portatevi un repellente per insetti, non solo per le zanzare (in molti posti nemmeno ci sono), ma per mosche e tafani, ben più fastidiosi (da mettere anche di giorno). Non dimenticate la crema solare, che userete quando, nelle ore più calde, sguazzerete nella piscina del vostro hotel. Noi poi abbiamo trovato davvero indispensabili quelle bottigliette di gel per lavare e disinfettare le mani senz’acqua (si trovano nelle farmacie e nelle parafarmacie) e le salviettine umidificate e profumate: può capitare spesso di trovare bagni senza acqua né sapone (oltre che senza carta igienica), o di non riuscire a lavarsi le mani prima di mangiare.
Per l’abbigliamento, vanno bene vestiti leggeri di lino e cotone, ma sconsiglierei per le signore canottierine o shorts troppo corti. La cultura indiana più tradizionale, e in particolare quella rajasthana, per quanto riguarda l’immagine della donna, è, come si può immaginare, molto diversa rispetto alla nostra. Tranne a Delhi, nella maggior parte dei casi le donne portano il sari (la punjab suite è riservata alle donne non sposate), e, soprattutto in Rajasthan, usano coprire il volto con il velo. Ovvio quindi che anche solo qualche centimetro di ombelico in vista o una camicetta appena trasparente destino grande scalpore; probabilmente non verrete importunate (specie se viaggiate con un uomo), ma per evitare di avere costantemente gli occhi addosso, e soprattutto per rispettare le loro usanze, che le condividiate o no, scegliete un abbigliamento meno osé (non occorre coprirsi troppo: secondo me possono bastare magliette a mezze maniche e pantaloncini sotto il ginocchio). Tenete presente – e la cosa vale anche per i signori – che in alcuni templi e moschee è richiesto un abbigliamento adeguato; spesso vi verrà fornito all’ingresso qualcosa per coprirvi, ma dovrete essere disposti, talvolta, a pagare qualcosa e, sicuramente, ad indossare capi non proprio puliti ... Mettete in valigia dei pantaloni lunghi (o tipo pinocchietto), e un foulard ampio per coprirvi un po’. Indispensabili i cappelli, i calzini ‘da tempio’ (alcuni in alternativa si portano delle soprascarpe del tipo di quelle che si usano nei laboratori o nelle sale operatorie) e, secondo me, gli occhiali da sole (a me sono mancati). Per le scarpe direi un paio di sandali comodi aperti, per il Rajasthan occidentale (attenti comunque a dove mettete i piedi) e un paio di scarpe chiuse, di cuoio o pelle, che non facciano passare l’acqua o altre cose umide e mollicce (a Varanasi ...). Keeway e ombrello (ma se c’è il monsone vi laverete comunque).
Utile anche una torcia, da usare durante i blackout e a Varanasi, quando capita di muoversi nei vicoletti nella semioscurità.
Se viaggerete con Karni, troverete, nella quasi totalità dei casi, hotel confortevoli con biancheria pulita; potrete quindi evitare di portarvi asciugamani e lenzuola da casa. A questa regola hanno però fatto eccezione il Lake Pichola di Udaipur e il Gange View di Varanasi, ed in entrambi i casi non è servito a molto chiedere (e ottenere) il cambio della biancheria: la roba che ci hanno dato era nelle medesime condizioni (o addirittura peggiori) di quella sostituita ... Se quindi vi sta particolarmente a cuore la pulizia, fate un po’ di spazio in valigia per un lenzuolo e un asciugamano da usare nei casi di emergenza.
Infine, nella maggior parte degli hotel esiste un servizio di lavanderia (in alcuni il bucato viene riconsegnato lo stesso giorno), a prezzi modici. Può essere davvero utile (per evitare di portarsi troppi cambi); solo, eviterei di usufruirne a Varanasi, vista l’usanza locale di utilizzare il Gange come lavatrice a cielo aperto ...

Telefonate e cambio

In India (noi lo abbiamo scoperto un po’ tardi) è possibile spendere poco, anche per le chiamate internazionali, e non è strettamente necessario acquistare una SIM locale, come fanno in molti. Anche nei villaggi più sperduti, vi capiterà di trovare un cubicolo di cemento con la facciata aperta (è la struttura dei loro negozi) con la scritta PCO/STD/ISD: sono i posti di telefono pubblico, e una chiamata in Italia potrebbe costare anche 20-25 rupie al minuto. Per spendere meno, scegliete le internet call, disponibili in alcuni di questi punti, nonché negli internet point: in questo modo si scende sino a 5-10 rupie al minuto.
Quanto al cambio, è molto conveniente farlo in banca: alla State Bank of India praticano il cambio ufficiale (all’epoca del nostro viaggio circa 67,50 rupie per 1 euro), senza alcuna commissione (dovrete in compenso aspettare qualche minuto). Sono convenienti anche le agenzie (più o meno ufficiali) che troverete nei posti più turistici (in genere sono anche internet point). Alcuni le ritengono poco affidabili: ci è stato consigliato di chiedere il loro numero di cellulare, per contattarli se avessimo riscontrato problemi pagando con il loro denaro (prendete il loro biglietto da visita); in ogni modo, non abbiamo avuto alcuna seccatura. Evitate, se potete, l’agenzia Thomas Cook agli arrivi dell’aeroporto (ci hanno applicato una commissione altissima): se sono aperti, scegliete gli sportelli delle banche, nella stessa sala.
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macman
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Re: Dimmi dell'India...

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Diario di viaggio

31 luglio: Delhi-Jaipur
Alle 7 del mattino, con circa un’ora di ritardo sbarchiamo all’aeroporto internazionale di Delhi. Superati i controlli, doganali e sanitari – qui temono l’arrivo dell’influenza suina, che in effetti si diffonderà in alcune regioni dell’India nel corso del nostro viaggio –, ritirata la valigia e cambiati 200 euro usciamo dalla sala arrivi. Qui sfiliamo fra due file di uomini con in mano dei cartelli: sono gli autisti, che aspettano i loro passeggeri! Quasi alla fine, dopo esserceli letti tutti, troviamo il nostro uomo, Bhuvnesh, con cui andiamo al parcheggio. Mentre stiamo camminando, si avvicina, sbucato dal nulla, un ragazzino che cerca di farsi dare la valigia da Manuel; capito che cerca una mancia per il servizio di facchinaggio, rifiutiamo cortesemente: benvenuti in India!
Bhuvnesh ci spiega che solo oggi viaggeremo su un pulmino. Effettivamente il mezzo si è rivelato molto comodo, non tanto per lo spazio, ma per i sedili posteriori reclinabili, ideali per dormire un po’; potreste prendere in considerazione l’idea di chiedere un’auto come questa, anche se costerà ovviamente qualcosa in più. Appena ci mettiamo in marcia per Jaipur cominciamo a scoprire il ‘paesaggio’ indiano. Lungo le strade circola qualsiasi mezzo la vostra fantasia possa immaginare: risciò, ciclorisciò, carretti trainati da ogni tipo di animale (compresi i cammelli), motorini che in media trasportano 3-4 persone (ma nel corso del viaggio abbiamo visto con i nostri occhi una famiglia di 6 persone su una sola moto), camion decorati e coloratissimi (qui usano così). La tratta Jaipur-Delhi si rivelerà una delle più scorrevoli, ma anche qui cominciamo ad individuare le caratteristiche principali delle strade: le carreggiate sono strette, e gli autisti suonano in continuazione il clacson per segnalare reciprocamente la propria presenza; ai bordi, l’asfalto (quando c’è ...) è rotto, e finisce in sassi e polvere. Cominciamo a vedere i villaggi, e a renderci conto della densità della popolazione indiana. I centri abitati consistono in una fila di quadrati in cemento aperti sul lato lungo la strada che ospitano i negozi, spesso semidiroccati; un numero incredibile di bancarelle vende di tutto: frutta, anice, schede telefoniche, pezzi di ricambio di ogni genere. Intorno uomini, donne (coloratissime nei loro sari) e bimbi, che comprano, vendono, trasportano, discutono, o semplicemente se ne stanno accovacciati ad osservare l’andirivieni generale. In mezzo a tutto questo, le immancabili vacche sacre (ma anche un discreto numero di caprette) circolano indisturbate, come se fosse la cosa più naturale del mondo. In genere, tutti i centri abitati indiani danno l’impressione di essere stati oggetto di un pesante bombardamento, di cui, per qualche oscura ragione, in occidente non si è avuta notizia ...
Dopo circa 5 ore arriviamo a Jaipur, e Bhuvnesh ci porta in un ristorante vicino al Jai Mahal; francamente non ricordo il nome, ma non era granché (700 rupie per pollo, montone e riso). Arrivati a Jaipur andiamo subito al city palace, che oggi chiude in anticipo, alle 15, per i funerali della madre del maraja. Il biglietto costa 300 rupie, e comprende, oltre alla visita gratuita dello Jaigarth Fort, anche un’audioguida, disponibile in inglese. Chiedete all’ufficio turistico dopo l’entrata sotto il portone a destra (alla biglietteria non vi diranno nemmeno che ne avete diritto). Il city palace non ci è sembrato straordinario (ma probabilmente è dipeso dal fatto che eravamo molto stanchi); le cose che mi sono piaciute di più sono state la Diwan-i-khas, con le enormi giare d’argento destinate a contenere l’acqua sacra del Gange, e il cortile con le porte delle quattro stagioni (alcune però erano in ristrutturazione). Vicino alla galleria d’arte due guardie con il turbante hanno insistito perché facessi una foto con loro ... per poi chiederci la mancia: in genere, fanno così tutti quelli che si dimostrano disponibili ad essere ritratti con voi, quindi rifiutate prima, se non siete disposti a dare loro nulla. Andiamo poi al Jantar Mahal, ma fa troppo caldo e siamo troppo stanchi per visitare l’osservatorio sotto il sole cocente; così ci fermiamo su una panchina a guardarlo da fuori, mentre chiacchieriamo con un ragazzo indiano che parla un po’ l’italiano.
Ci facciamo quindi portare all’hotel Shahpura House. Lungo la strada abbiamo occasione di vedere l’ipercaotico centro di Jaipur, e di fotografare l’Hawa Mahal e il minareto Iswari Minar Swarga Sal. L’hotel è carino, la stanza era ampia con bagno accettabile e biancheria pulita. C’è anche una piccola ma graziosa piscina – in cui ci siamo riposati resto del pomeriggio – e un ristorante sul tetto (non lo abbiamo provato). Tenete presente che proprio accanto all’hotel c’è una filiale del centro massaggi Kerala Ayurveda Kendra (la Lonely ne parla molto bene, ma indica soltanto l’altro indirizzo, più lontano); i trattamenti non sono molto cari (si parte da 500 rs per il massaggio generale di un’ora).
Per cena siamo invitati dalla moglie di Karni (lui non c’è, è in viaggio in Europa), anche perché dobbiamo saldare il conto ... Dopo aver pagato al suo dipendente, conosciamo la famiglia di Karni, che ha due figlie. Sua moglie ci prepara un thali vegetariano (lei segue rigorosamente i dettami della cucina hindu, a differenza del marito che, pare, talvolta si concede del pollo ... ma solo fuori da casa sua!), e alla fine ci regala un bellissimo copriletto dipinto a colori naturali con la tecnica dei timbri.

1° agosto: Jaipur
Dopo colazione ci dirigiamo all’Amber Fort, per il quale Bhuvnesh ci ha procurato una guida – per la verità non richiesta –, Raju, che alla fine si è però rivelato davvero bravo.
A poche centinaia di metri dal forte, decidiamo di fermarci, per fare una foto panoramica. Quando accostiamo non c’è nessuno, ma in un attimo si materializzano, nell’ordine, un uomo con un cucciolo di elefante, che mi chiede di fare una foto, un suonatore di flauto, con il suo cesto con il serpente, ed una serie di venditori che ci offrono braccialetti, specchietti e penne ... Scattata la foto andiamo all’ingresso, dove ci aspettano gli elefanti. Una volta a bordo del pachiderma, iniziamo la salita al forte, sempre assaltati dai venditori, che, con la complicità del guidatore dell’elefante, ci lanciano magliette e statuine di legno. Quando scendiamo, lasciamo 10 rs di mancia, giusto perché Raju insiste, al conducente, che si lamenta perché vorrebbe di più ... per come si è comportato, avremmo fatto meglio a non dargli nulla!
L’ingresso al forte costa 300 rs a persona, se non prendete la guida sono disponibili delle audioguide, a pagamento. Raju ci porta a visitare prima il piccolo tempio (prima di entrare, bisogna lasciare al custode macchine fotografiche ed oggetti in cuoio; si entra a piedi nudi, senza calzini), e poi il vero e proprio forte, davvero bellissimo, raccontandoci un sacco di cose interessanti.
Dopo il forte andiamo a vedere (solo dalla riva, non è possibile entrare) il Jai Mahal, palazzo dell’acqua, che sorge in mezzo ad un lago – sempre con il solito assalto di venditori –. Poi Raju decide di portarci dai suoi negozi ‘convenzionati’: prima un negozio di gemme, dove non compriamo nulla ma ci preparano il caffé Lavazza, e poi una fabbrica di tessuti. Qui è stato carino, perché ci hanno mostrato la tecnica di lavorazione con i timbri (ho provato anch’io ...); al negozio, dopo aver rinunciato ad acquistare un bel copriletto (troppo caro), Manuel compra una cravatta con gli elefanti (chissà quando la metterà ...).
Salutato Raju, decidiamo di fare una passeggiata nel Chandpool Bazar. Siamo divertiti ed emozionati all’idea di poter finalmente immergerci, da soli e a piedi, nella ‘vera’ India ... come scopriremo poi, questo sarà solo l’inizio! Passeggiamo sotto i portici osservando l’umanità intenta nelle più diverse occupazioni, e ci dedichiamo un po’ alla contrattazione (compro un paio di scarpette di cuoio per 200 rs). Attenzione qui ad attraversare la strada, è davvero molto pericoloso; non aspettatevi poi che qualcuno si fermi a farvi passare. Raggiunta la macchina e svegliato Bhuvnesh che dormiva beato, torniamo all’hotel.
La sera a cena decidiamo di andare al villaggio tipico Chokhi Dani, a qualche chilometro dalla città. Nonostante lo scetticismo della Lonely, a noi è piaciuto moltissimo, e vi consigliamo di andarci. È vero, è piuttosto ‘artificiale’, ma non più degli altri spettacoli cui avrete modo di assistere durante il viaggio; poi, non è affatto turistico: a frequentarlo sono soprattutto le famiglie indiane, e, oltre a noi, c’erano pochissimi stranieri. L’ingresso costa 300 rs a persona, e comprende una cena tipica rajasthana vegetariana. Dovrete lasciare fuori dal ristorante le scarpe, e vi siederete per terra, mentre un gruppo di gioviali camerieri muniti di turbante vi metterà nel piatto il cibo. Qui portatevi assolutamente la vostra acqua in bottiglia: le bevande che servono sono fatte con acqua del rubinetto (la stessa che portano per lavarsi le mani); noi siamo stati avvertiti in tempo da una gentilissima signora indiana, ma abbiamo dovuto mangiare all’asciutto! Dopo cena potrete dedicarvi agli intrattenimenti rajasthani: ballerine, contorsioniste, domatori di serpenti e colombe, astrologi ... potete anche decidere di fare una passeggiata sull’elefante o sul cammello; io poi mi sono fatta fare un bel tatuaggio all’henné sul palmo della mano. Dopo aver acquistato, dopo estenuante contrattazione, un dipinto di Ganesh su velluto nero, raggiungiamo Bhuvnesh, e torniamo all’hotel.

2 agosto: Jaipur-Mandawa
Alle 9 partiamo per Mandawa. Il tragitto è lunghissimo, la strada è trafficata, e Bhuvnesh fatica a superare i mezzi pesanti. Incontriamo una fila interminabile di camion militari: Bhuvnesh ci dice che stanno dirigendosi verso il confine con il Pakistan, per effettuare delle esercitazioni.
Ci fermiamo a Nawalgarh, a visitare le haveli. Nawalgarh è un villaggio minuscolo, dove non si vedono turisti, con vicoli strettissimi in cui l’auto fatica a passare: sfioriamo i banchetti di tessuti e spezie, fra le donne che si coprono con il velo quando ci vedono e i venditori di chai. A Nawalgarh ci sono effettivamente molte haveli, ma in condizioni pressoché disastrate; l’unica che vale la pena visitare è la Morarka haveli, davanti al complesso dei templi (entrata 50 rs a persona), dove quello che potrebbe essere un ragazzino, dopo aver discusso con Bhuvnesh (sosteneva che gli avesse chiesto una commissione, mah ...) ci mostra i cortili e le stanze.
Ripartiamo e facciamo tappa a Mukundgarh, per vedere il forte, che si rivela chiuso; da quanto dice la Lonely dovrebbe ormai ospitare solo un albergo, quindi eliminate pure questa tappa. Decidiamo di non fermarci a Jhunjhunu e raggiungiamo Mandawa, dove alloggeremo all’hotel Castle Mandawa. L’hotel è situato nel forte, quindi entrarci è davvero suggestivo, e gli spazi sono enormi (immagino sia sempre semivuoto). La stanza era carina e pulita, con il bagno più bello di tutti quelli che abbiamo avuto; c’è la piscina, a prima vista scenografica, ma in realtà non troppo pulita.
Dopo un paio di ore di relax in piscina, visitiamo Mandawa, con la guida procurataci da Bhuvnesh; la visita dura circa un’ora, e anche qui abbiamo visto haveli piuttosto malandate, mentre la guida elencava orgoglioso i vari animali dipinti sulle case, e un gruppo di donne e bambini ci seguiva per venderci qualcosa. Alla fine, breve visita ai negozi (del nonno?) dove non compriamo nulla, più per l’infima qualità della merce che per i prezzi.
Ceniamo al ristorante a buffet dell’hotel (l’unico altro ristorante del villaggio è a poche centinaia di metri, e si chiama Monica, ma non saprei dirvi molto, oltre al fatto che è ospitato in una haveli): prendiamo pollo, chapati, un piatto a base di ceci del Punjab, cannelloni agli spinaci (wow!), verdure, dolci vari e birra per 1712 rupie.

3 agosto: Mandawa-Bikaner
Dopo la colazione alle 9 partiamo per Bikaner. Durante il tragitto ci fermiamo a Fatehpur, a visitare la haveli Nadine la Prince. Si tratta di una haveli acquistata e splendidamente restaurata dall’artista francese: se avete poco tempo, potete limitarvi a visitare questa, che dà l’idea di come potessero effettivamente apparire queste abitazioni di commercianti ai tempi del loro splendore. L’ingresso costa 100 rs a persona e comprende la spiegazione in inglese o francese. Vicino a questa haveli ce n’è una che da fuori sembra bella, la Singhania; a differenza di quanto dice la Lonely, noi l’abbiamo trovata aperta (ingresso 15 rs), ma non siamo entrati, per il poco tempo a disposizione. Per il resto Fatehpur è una desolante fogna a cielo aperto (bisogna fare i salti per non finire nell’acqua lurida), e mentre tornavamo alla nostra auto ci ha attraversato la strada un’enorme scrofa nera.
Alle 14 circa raggiungiamo Bikaner, dove alloggiamo all’hotel Laxmi Niwas Palace. L’albergo non è altro che un’ala della storica residenza del maraja di Bikaner (un’altra ala è occupata dall’hotel Lallgarh Palace, mentre nella terza vive ancora la famiglia del maraja), ed è semplicemente stupendo, il più bello in cui siamo stati in India; l’unico aspetto un po’ deludente è rappresentato dalla piscina, che sembra piuttosto una piccola pozza. Anche qui stanza ampia, pulita ed accogliente.
Andiamo subito al forte, nonostante il caldo micidiale (siamo alle porte del deserto): l’ingresso costa 250 rs, comprensivi di audioguida. Dopodiché andiamo al tempio dei topi, con Bhuvnesh che ci accompagna anche all’interno, forse temendo la nostra reazione alla vista dei sacri roditori ... La visita (50 rs per la macchina fotografica) è da fare, ma è semplicemente disgustosa, non tanto per i topolini in sé, ma per le condizioni di sporcizia totale in cui sono tenuti: il pavimento è pieno di escrementi (è vivamente consigliato entrare con i calzini), e qua e là si vedono topi morti. Bhuvnesh sembra apprezzare la cosa molto più di noi e, preso possesso della nostra macchina fotografica, si lancia in un reportage sugli animaletti (che loro chiamano kaba).
Dopo aver guadagnato l’uscita, partiamo alla ricerca del (solo per la Lonely) famoso tempio giainista. Il povero Bhuvnesh gira quasi un’ora a vuoto alla ricerca, chiedendo indicazioni ai passanti per la strada. Questo è un aspetto piuttosto divertente: come effettivamente segnalava la guida, alla richiesta di informazioni gli indiani non rispondono mai con un “non so”; tutti cominciano a parlare e parlare, anche se non hanno idea di dove sia l’indirizzo richiesto ... Bhuvnesh sembra però sapere come riconoscere chi gli fornisce indicazioni campate per aria: ce ne accorgiamo perché a volte, mentre l’interlocutore sta ancora parlando, rialza il finestrino e se ne va ... alla fine raggiungiamo il tempio, effettivamente bello (20 rs per macchina fotografica).
Nel tornare all’hotel attraversiamo la città, ed anche questa si rivela un’esperienza divertente. Ad un certo punto, proprio nel centro, troviamo un passaggio a livello, che si abbassa prima del nostro passaggio. In pochi minuti si crea un incredibile assembramento di mezzi; solo che, naturalmente, tutti i veicoli che procedono in un senso di marcia, da un lato, occupano l’intera carreggiata, e lo stesso accade dall’altra parte. Passato il treno si scatena così il prevedibile ingorgo apocalittico, e nessuno riesce a muoversi, tanto che qualcuno si carica la bicicletta in spalla e procede a piedi. In tutto questo, mentre noi osserviamo la scena divertiti, si avvicina alla macchina un ragazzino con fare minaccioso, che, come ci ha poi spiegato l’autista, si mette a discutere con Bhuvnesh perché avrebbe ‘osato’ portare dei turisti in città senza il suo permesso (e soprattutto senza dargli del denaro). Bhuvnesh però non si fa intimorire, e il ragazzo se ne va dopo pochi minuti.
Raggiunto l’hotel, veniamo intercettati da un inserviente che – ovviamente per ottenere una mancia – ci porta a fare un giro turistico della struttura: visitiamo la sala del biliardo, con le pareti tappezzate di pelli (e teste) di tigri (un po’ macabro), e le terrazze. Ceniamo nel ristorante dell’hotel, nel cortile principale: la serata è stata magnifica, con cibo molto buono (a buffet) e spettacoli di danza rajasthana (1700 rs compresa la birra).

4 agosto: Bikaner-Jaisalmer
Partiamo alle 9 e, durante il tragitto, ci fermiamo al tempio di Ramdeora. Questo tempio è interessante non tanto dal punto di vista architettonico, quanto piuttosto per le straordinarie manifestazioni di fede di cui è oggetto. Baba Ramdeora è un personaggio molto venerato, non solo dagli hinduisti ma anche dai musulmani; in questo periodo, poi, c’è un festival in corso, quindi c’è molta gente. Già per la strada, anche a parecchi chilometri di distanza – lo vedremo anche nei giorni successivi – si incontrano file interminabili di uomini e donne a piedi, che spesso reggono enormi bandiere, intenti a recarsi al tempio. Bhuvnesh ci ha detto che spesso queste persone camminano per giorni e giorni, e che si ritiene che, andando al tempio a piedi, sia più probabile vedere esaurite le proprie preghiere. Notiamo che, gli ultimi 8-10 chilometri, ai bordi delle strade giacciono abbandonate centinaia di scarpe.
Alle 14 e 30 arriviamo a Jaisalmer, la città d’oro. Prima di raggiungere l’hotel facciamo una breve visita al lago (si può benissimo evitare). Anche l’hotel Rang Mahal è molto bello, e alla reception ci danno una stanza di categoria superiore (la prenotazione era per una camera standard). La cosa più spettacolare è la piscina, dove ce ne stiamo un paio di ore, prima di uscire. Jaisalmer è in assoluto la città più calda, e non è proprio possibile uscire durante le ore centrali della giornata; nemmeno in piscina si riusciva a resistere al sole, appena fuori dall’acqua eravamo già asciutti!
Verso le 17 andiamo al forte. Rifiutato l’abbordaggio della guida, ci addentriamo nella cittadella fortificata per un giretto a piedi. Qui è davvero molto carino: certo non mancano le vacche e un po’ di sporcizia, ma almeno non ci sono mezzi a motore, quindi si cammina tranquilli. Decidiamo di provare i massaggi ayurvedici. Prima andiamo da Bobby, pubblicizzato dalla Lonely, ma è solo per donne, e poi la massaggiatrice non c’è. Ripieghiamo quindi sul Guru Kerala Ayurvedic Centre, che è nella stessa via, dove per 350 rs fanno un fantastico massaggio di quasi un’ora, durante il quale si viene unti dalla testa ai piedi (nemmeno i capelli si salvano!). Tenete presente che qui tutti i centri massaggi, anche quelli sponsorizzati dalle guide, sono delle specie di bugigattoli bui e stretti ... non spaventatevi.
Prima di tornare all’hotel proviamo ad andare al ristorante Trio, ma desistiamo, perché i tavoli della bella terrazza panoramica sono tutti riservati; se volete mangiare qui, conviene prenotare nel pomeriggio. Cena così così all’hotel (niente buffet), dove spendiamo 1260 rs (provato anche il lassì alla banana).

5 agosto: Jaisalmer
Dopo colazione saliamo al forte, questa volta per visitare palazzo e templi. Anche stamane rifiutiamo la guida, ed entriamo del museo del forte da soli (250 rs che comprendono l’audioguida). Poi visitiamo il magnifico complesso dei templi giainisti (30 rs a persona, e 70 per la fotocamera). Tutti i monaci chiedono offerte (anche se in ogni tempio c’è scritto a chiare lettere di non dare soldi ai monaci, ma di lasciarli semmai nelle apposite cassettine), e se direte loro che avete già dato del denaro ad un suo fratello, il sant’uomo vi risponderà che quello è un tempio diverso, con una gestione diversa ... Appena usciti da forte andiamo in un negozio di tessuti, dove, dopo la consueta contrattazione, acquistiamo una stola per la tavola ed un copriletto.
Dopo un po’ di relax in hotel, alle 16 e 30 partiamo per Khuri, per la cammellata nel deserto. Dopo un’ora di macchina percorrendo una stradina stretta che va verso il nulla arriviamo al villaggio. I gestori ci offrono il chai, poi partiamo con i cammelli verso le dune. Questa escursione può risultare un po’impegnativa, se non si è molto allenati: in primo luogo, bisogna stare attenti a non cadere quando l’animale si rialza e poi si dondola parecchio: il giorno dopo non c’era un solo muscolo che non mi facesse male! Arrivati sulle dune aspettiamo il tramonto, che è un po’ deludente, a causa delle nuvole basse, mentre il cammelliere di Manuel, che è poco più di un bambino, e gli altri ragazzini si lanciano al galoppo degli animali. Noi intanto chiacchieriamo con un ragazzo toscano che viaggia da solo, e ci scambiamo qualche impressione sull’India. Tornati al villaggio, ci aspetta una cena vegetariana, sempre con canti e danze tipiche (anche Bhuvnesh si lancia in una danza frenetica): spendiamo 1250 rs.

6 agosto: Jaisalmer-Jodhpur
Partiamo alle 9 per Jodhpur, ma prima passiamo per Osyan per vedere il tempio. Dopo un viaggio lunghissimo raggiungiamo Osyan e il suo tempio hindu: non è previsto un biglietto di ingresso, ma di fatto dovrete lasciare un’offerta prima di uscire; qui, a differenza di Ramdeora, è possibile scattare delle foto. Saliamo la lunga scalinata ed entriamo nel tempio, dove c’è moltissima gente; i bambini si divertono un mondo quando ci vedono e vogliono stringerci la mano. In queste occasioni, dove si incontrano persone che non sono interessate al turista e al suo denaro, ma sono lì per pregare, è stato bello osservare e scoprire le usanze locali, così come essere oggetto di una curiosità autentica e disinteressata. A Osyan c’è anche un tempio giainista (noi non siamo entrati perché non ci sembrava molto bello).
Raggiungiamo Jodhpur, dove alloggiamo all’hotel Park Plaza: a differenza dei precedenti, non ha proprio nulla dello stile indiano, ed è piuttosto arredato alla occidentale (non per questo ci è piaciuto meno degli altri, anzi!). Anche qui c’è una piccola piscina.
Alle 17 e 15 abbiamo appuntamento con il driver, che però non arriva. Dopo una ventina di minuti lo chiamiamo, e scopriamo che si era addormentato in macchina proprio dietro l’angolo! Bhuvnesh ci porta alla torre dell’orologio, dove passeggiamo nel mercato (famoso soprattutto per le spezie) fra le bancarelle, la gente e il consueto caos. A differenza dei posti visitati nei giorni precedenti, notiamo qualche turista. Troviamo anche un negozietto in cui è possibile telefonare, dove, su una sediolina di plastica fra le vacche che passano, chiamiamo l’Italia per 11 rs al minuto. Acquistato il cd (masterizzato) con la colonna sonora di Slumdog millionaire (20 rs), ci facciamo portare al ristorante On the rocks, uno dei migliori in cui siamo stati. Prendiamo pollo tandoori, butter naan, birra e lassì al mango per poco più di 850 rs.

7 agosto Jodhpur
Alle 9 e 30 partiamo per il Merangarh Fort; il biglietto di ingresso costa 300 rs, e comprende l’audioguida in italiano. Dopo aver visitato il forte, che è davvero bello, e dal quale si può constatare che effettivamente Jodhpur è la città blu, visitiamo il tranquillo mausoleo Jarswar Tand (30 rs a persona + 25 per macchina fotografica). Poi andiamo al Janda Sweets (o Sweets Sweets) che è sul Nai Sarak (la strada che porta al Sadar Bazar, il mercato principale), giusto qualche centinaio di metri prima della torre dell’orologio. Lo trovate sulla carreggiata di sinistra guardando la torre, comunque non si può sbagliare, è un negozio grandissimo pieno di gente che si ingozza a tutte le ore. Qui acquistiamo mezzo chilo di dolci tipici (fra cui il mawa kachori, con la foglia d’argento) per 90 rs; insieme a Bhuvnesh ci prendiamo del fantastico lassì allo zafferano, dolce, cremoso e talmente denso che il cucchiaino rimane verticale. Può tranquillamente sostituire un pranzo, ed un bicchiere costa ben 17 rs!
Dopo un po’ di relax in piscina, usciamo nuovamente. Al mercato compro alcuni braccialetti di lacca per 50 rs (avranno vita breve ...), poi cerchiamo il ristorante Indique, che è sul tetto dell’hotel Pal Haveli. Prima di salire, acquistiamo due miniature dipinte su seta, per 400 rs. Quindi ceniamo all’Indique, immersi nell’atmosfera magica del tramonto, mentre davanti a noi si staglia il forte, ed il cielo è pieno di aquiloni che i bambini fanno volare dai tetti piatti delle case. Quando fa buio la torre dell’orologio è illuminata da fari colorati, mentre noi assaggiamo il riso biryani (spesi 568 rs con birra e cheese naan).

8 agosto: Jodhpur-Ranakpur
Alle 9 partiamo per Ranakpur, dove arriviamo alle 12 e 30. A Ranakpur ci sono soltanto i templi giainisti, quindi se avete pochi giorni a disposizione andate direttamente ad Udaipur e fatevi l’escursione in giornata. Noi invece ci siamo fermati una notte, al piccolo e grazioso Fateh Barg, dove, insieme ad una coppia di spagnoli, eravamo gli unici ospiti. La stanza era grande e bella, un po’ deludente il bagno.
Alle 13 e 30 partiamo per i templi. Ricordate di indossare pantaloni lunghi e magliette che abbiano almeno le mezze maniche; se non avete un abbigliamento consono, è possibile noleggiare dei pantaloni (per gli uomini) o delle vestine rosa (per le donne): si devono lasciare 100 rs di caparra, e ve ne restituiranno 80. Per entrare occorre poi pagare 50 rs per la fotocamera. Visitiamo il tempio centrale (veramente splendido) e gli altri tre templi più piccoli lì vicini, dopodiché, non avendo assolutamente più nulla da fare, torniamo all’hotel, dove fortunatamente c’è la piscina. Alle 18 abbiamo appuntamento con Bhuvnesh, che ha promesso di portarci a vedere il tramonto sul lago. Passiamo così un oretta sulla collina, insieme a Bhuvnesh, alcuni altri turisti, e un gruppo di indiani che pare particolarmente interessato ad avvistare i coccodrilli che nuotano nel lago.
Mangiamo all’hotel (non ci sono molte alternative): la cena è piccante e scarsa, e, come se non bastasse, relativamente cara (1700 rs).

9 agosto: Ranakpur-Udaipur
Oggi partiamo per Udaipur, ma prima il programma prevede una sosta al Kumbalgarh Fort. Guardando la cartina il tragitto sembrerebbe breve, invece la strada si rivela lunghissima e tortuosa (secondo me poi Bhuvnesh ha fatto un po’ di confusione, mi è chiaramente sembrato di fare lo stesso percorso più volte ...): tutto ciò si rivela il colpo di grazia per Manuel, che già sta male. Alle 13 arriviamo al forte, che è certamente grande e suggestivo, ma parecchio spoglio: secondo me non ne vale davvero la pena.
Dopo un breve giro, ripartiamo per Udaipur, dove arriviamo alle 16. Alloggiamo all’hotel Lake Pichola, sull’Hanuman ghat. La vista che dalla hall e dalla stanza si gode sul Gangaur ghat e il city palace è l’unica cosa apprezzabile di questo terribile albergo. La sala principale e il ristorante dove servono la colazione è una profusione di paraventi ed enormi lampadari colorati, sui quali si notano evidenti chili di polvere ormai fossilizzati. La stanza, secondo la sintetica ma efficace definizione di mio marito (che non si era del tutto ripreso) era “tremenda”. Asciugamani e lenzuola erano sporchini ed il boiler perdeva; l’aria condizionata oltre ad essere rumorosa, diffondeva nell’ambiente un inconfondibile odore di fogna (e lo stesso valeva per la ventola del bagno). In poche parole, se potete, evitatelo! Nella stessa zona, mi sono sembrati carini (ovviamente non ho visto le camere) l’Udai Kothi e l’Amet Haveli, proprio accanto al ristorante Ambrai.
Alle 17 e 30 partiamo per il giro a piedi del centro della città (è a pochi minuti dall’hotel). Il centro di Udaipur è senza dubbio carino, ma la passeggiata, fra vacche (che un paio di volte hanno cercato di incornare Manuel: non era proprio giornata!), risciò e motorini impazziti risulta stressante, oltre che pericolosa. Ai bordi delle strade ci sono le consuete fognature all’aperto, e questo costituisce un ulteriore ostacolo ... come se non bastasse, il secondo giorno è passato pure un elefante. Dopo aver comprato un altro centrotavola da un simpatico vecchino per 220 rs, torniamo all’hotel, dopo di che andiamo al ristorante Ambrai, che ha una bella vista sul lago (724 rs).

10 agosto:Udaipur
Alle 9 partiamo in macchina per visitare il city palace. Siccome è troppo presto, prima andiamo allo Jadish Temple, dove riusciamo a filmare clandestinamente un gruppo di donne che intona canti religiosi. L’ingresso al city palace costa 50 rs a persona, più 100 rs per la macchina fotografica. L’audioguida è piuttosto cara (costa 250 rs per persona) quindi conviene ingaggiare una delle guide ufficiali che aspettano fuori dall’ingresso: per una che parla inglese si spendono 150 rs (pare che ce ne sia anche qualcuna che parla italiano o spagnolo, anche se noi non le abbiamo trovate). Dopo la visita, andiamo ai giardini Saheliyon-ki-bari (ingresso 5 rs, davvero niente di che); fuori dall’ingresso compriamo un sedicente elefante di marmo, per 200 rs. Andiamo quindi al Monsoon palace: per salire sulla ripida collina che porta al palazzo si spendono 80 rs a persona, e 65 per la fotocamera. Il palazzo è molto spoglio ed era in parte transennato, ma qui vale la pena venire per la bella vista che si gode della città, del lago e delle montagne.
Dopo una sosta in hotel, usciamo nuovamente. Prima andiamo all’internet point davanti all’hotel (si spendono 50 rs per un’ora di navigazione, ma è davvero lentissima), poi ci facciamo un altro giretto, durante il quale acquistiamo una statuina di legno rosso di Ganesh, che oggi troneggia nel nostro soggiorno, con tanto di ciotola di fiori secchi a mo’ di offerta ...
Ceniamo all’Udai Kothi, sulla terrazza, con tandoori di pesce e cheese cake (quest’ultima non è forse stata una scelta strategica ...). Spendiamo circa 1200 rs.

11 agosto: Udaipur-Pushkar
Oggi partiamo per Pushkar. Il nostro programma prevede di arrivarci passando per Chittogarh, per visitare il famoso forte, ma, nella speranza di evitare un nuovo viaggio interminabile, e considerato che non siamo smaniosi di vedere l’ennesimo forte, decidiamo di cancellare la tappa e di prendere la strada diretta, che – pensiamo – ci farà risparmiare un po’ di tempo. Il realtà anche questo tratto si rivela lento e noioso. La strada da Udaipur a Pushkar è disseminata di fabbriche di marmo; sono quindi moltissimi i mezzi pesanti che si muovono lungo questa tratta per trasportare enormi blocchi di pietra – che spesso pendevano in modo pericolosamente sbilenco –.
Arriviamo a Pushkar alle 16, all’hotel Pushkar Palace, che si affaccia direttamente sul lago. La stanza è grandissima e molto bella, nota negativa il personale, che, come avverte la Lonely, non brilla certo per la sua simpatia. Già dalle finestre della stanza possiamo vedere che, anche se ci troviamo nella stagione dei monsoni, il lago è quasi interamente asciutto: i fedeli si bagnano soltanto in un paio di ghat.
Dopo pochi minuti usciamo, dirigendoci verso la strada principale, dove c’è il mercato. Concordando con quello che hanno scritto altri prima di noi, devo dire che Pushkar non ha all’apparenza proprio nulla della città religiosa e spirituale. L’aria che si respira è un po’ quella che potreste trovare nella strada principale ‘da struscio’ di una cittadina di mare – fatte le debite proporzioni, visto che siamo in India ... –. La via pullula di bancarelle e negozietti turistici, e gli stranieri sono numerosi: qui non si ha affatto quella sensazione di essere stati catapultati in un altro mondo, dove gli unici tratti occidentali sono i vostri, come capita nei bazar di altre città. Detto questo, Pushkar non è più stressante di altri posti – il caldo, i negozianti e i seccatori sono gli stessi che altrove –. Visitiamo alcuni ghat – riuscendo ad evitare l’offerta ai bramini per il famoso ‘passaporto di Pushkar’ (il braccialettino rosso) – dove scattiamo di nascosto qualche foto, e poi ci dedichiamo ad un po’ di shopping: copricuscini, vestitino per la nipotina ed uno zaino per trasportare tutti gli acquisti. Dopo circa un paio d’ore, stremati da caldo, torniamo in hotel.
Poco prima di uscire per la cena, si scatena il monsone: il cielo diventa di un colore fra il grigio ed il marrone, vento fortissimo, e pioggia scrosciante. Non ci facciamo intimorire: stasera si va al Little Italy a mangiare la pizza, e niente e nessuno potrà fermarci, penso, prima, quando rifiutiamo le offerte dei camerieri con il turbante nell’hotel, che cercano di spingerci nel ristorante, e poi, quando dò le indicazioni a Bhuvnesh, che ci stava portando Dio solo sa dove in mezzo alla boscaglia e le caprette. Finalmente raggiungiamo la pizzeria, e, al buio (manca la corrente elettrica) ci infiliamo nella saletta in fondo al giardino, dove ordiniamo la birra. A Pushkar gli alcolici, per ragioni religiose, sono banditi, e infatti sono esclusi da menù: la birra ce la portano clandestinamente, con le lattine avvolte nella carta stagnola e due tazzoni neri da thé che nascondono il contenuto di quanto stiamo bevendo. Dopo qualche minuti finalmente la pizza!
Che dire della pizza del Little Italy? La recensione della Lonely è letteralmente entusiastica, e questo si può facilmente spiegare tenendo a mente che l’ha scritta un americano. La pizzettina che vi portano è una roba che nessun locale in Italia avrebbe il coraggio di servire, e ricorda quelle surgelate che si mangiano alla veloce davanti alla tivù quando non c’è stato il tempo di ordinarla da asporto. Però in quel momento a noi, a migliaia di chilometri da casa, e dopo quasi quindici giorni di intrugli vari dai nomi impronunciabili, è sembrata la cosa più buona del mondo, e ne abbiamo ordinato subito un’altra. In quel momento c’è stata la svolta: abbiamo capito che, per quanto ci avessimo provato, il cibo indiano semplicemente non ci piaceva, e di lì in poi l’abbiamo evitato ogni volta che è stato possibile. Al Little Italy abbiamo speso 750 rs.

12 agosto: Pushkar-Agra
Partenza alle 8 e 30 per lo spostamento verso Agra che si è rivelato lunghissimo, come da previsioni; in particolare tragica l’autostrada (?!) Jaipur-Agra, piena di lavori in corso che costringono a continui cambi di corsia. Arriviamo a Fatehpur Sikri alle 15 e 30. ci fermiamo al parcheggio delle automobili (circa un chilometro prima della moschea e del palazzo), dove veniamo agganciati dal solito conducente-guida tuttofare. Ci facciamo quindi portare alla moschea con un carretto trainato da un cammello (se avete tempo e non fa troppo caldo, questo tratto si può fare anche a piedi): 50 rs per il tragitto andata e ritorno. Stressanti dal conducente che non la finisce più di parlare, cercando di convincerci di quanto sia indispensabile avere una guida, cediamo, per 100 rs, e visitiamo l’enorme moschea insieme ad un ragazzo che parla italiano. A posteriori ritengo non sia necessario prendere una guida; per convincervi vi diranno che, senza, dovrete pagare tot di ingresso, tot per la macchina fotografica, tot per la custodia scarpe, tot per i vestiti per coprirvi ... A me è sembrato che questo non fosse vero; l’ho fatto notare al tizio, una volta usciti, e lui si è giustificato dicendo che solo con la guida si può visitare tranquillamente la moschea senza essere infastiditi continuamente ... lasciamo perdere! Il palazzo e i giardini non li abbiamo visitati perché non avevamo tempo, ma pare siano molto belli.
Arriviamo ad Agra alle 17 e 30, e andiamo subito a Itimad-ud-Daulah, o Baby Taj, che è un posto davvero bello e tranquillo; l’ingresso costa 110 rs a persona, 100 se ci andate lo stesso giorno del Taj (conservate il biglietto), più 25 rs per la macchina fotografica. Mentre ci spostiamo abbiamo modo di notare che il traffico è ancora più caotico che altrove, con una viabilità che rasenta la demenzialità, come quando siamo costretti ad infilarci in un vicoletto per imboccare il viadotto sul ponte.
Andiamo quindi all’hotel Clarks Shiraz, molto bello, pulitissimo e in stile occidentale; c’è persino un ascensore, e l’aria condizionata è silenziosissima. Volendo, ci sono camere (immagino costose) con vista Taj. Qui – e al Taj Mahal – avvistiamo i primi giapponesi, che evidentemente snobbano il Rajasthan. Decidiamo di cenare al ristorante al piano terra (ce n’è pure uno panoramico sulla terrazza), dove è in corso la festa del monsone, e si promette un mirabolante buffet con specialità dell’India del nord e del sud, nonché della Cina. Il posto si rivela tristissimo, con orribili ombrellini multicolori e un gruppo pop da sagra di paese che tenta di suonare fra le continue interruzioni di corrente, ma almeno ci strafoghiamo di noodles: in tutto spendiamo quasi 1700 rs con le bevande.

13 agosto: Agra-Orcha
Stamane sveglia prima dell’alba (alle 5) perché si va al Taj Mahal. Andiamo alla porta est (che apre alle 6); l’auto non può arrivare sino all’ingresso, quindi bisogna prendere al parcheggio un altro mezzo. Dopo un breve raffronto qualità-prezzo optiamo per il risciò elettrico (che è pure ecologico), 100 rs andata e ritorno. Il biglietto per il Taj costa la bellezza di 750 rs, ma comprende una bottiglietta d’acqua e i copriscarpe, e dà diritto ad una serie di sconti su le altre attrazioni di Agra e sull’entrata al palazzo di Fatehpur Sikri, purché ci andiate lo stesso giorno e ovviamente mostriate il biglietto (non fate come una signora francese al forte, che pensava di entrare sulla fiducia ...).
Il Taj è semplicemente splendido, molto più di quanto la più bella delle foto lasci indovinare; anche se avrete già visto la sua immagine centinaia di volte, rimarrete incantati quando potrete ammirarlo dal vivo. Io ero un po’ scettica, e invece ... All’alba è magico, sembra una perla iridescente; le foto più belle, in questo momento, si fanno da ovest, dove c’è la moschea (provate a catturarne l’immagine incorniciata dall’arco). Questo lo abbiamo scoperto perché un omino ha agganciato Manuel, trascinandolo in giro per fargli fare le foto; alla fine, ha estratto un cartellino, dicendo di essere una guida autorizzata, e che il suo compenso era di 425 rs ... lo abbiamo liquidato con 10, e non ha nemmeno protestato troppo. Questa cosa è capitata anche in altri luoghi; in generale comunque, anche a prescindere dalle mance, gli indiani hanno una vera e propria passione per le fotografie: quando chiedete a qualcuno di farvene una, dietro a quello che scatta si crea per l’occasione un apposito comitato, e tutti ci tengono ad esprimere il loro parere.
Dopo essere rimasti più di un’ora al Taj, torniamo all’hotel per la suntuosa colazione ed il check-out, poi andiamo all’Agra Fort (250 rs con lo sconto Taj): bello, anche se non ci sono moltissime sale da vedere (alcune sono chiuse).
Partiamo quindi per Gwalior, dove, dopo un’ora di peregrinazioni, troviamo finalmente le sculture giainiste, che sono intagliate lungo la parete rocciosa all’ingresso sud del forte. Ne vale davvero la pena, perché sono veramente splendide; alcune sono enormi, alte almeno una ventina di metri. Per vederle bisogna fermarsi al parcheggio dopo il primo chiosco e prima della vera e propria entrata del forte, dopodiché ci si muove a piedi. Senza fermarci a vedere il forte ci mettiamo in marcia per Orcha, dove arriviamo alle 17 e 45. L’hotel è l’Orcha Resort dove ci danno una stanza carina ma un po’ piccola, facendoci orgogliosamente notare che è “all marble” – ed in effetti tutto, struttura del letto, tavolino, comodini, è di marmo bianco con decorazioni colorate –. La nostra camera era superior, quindi immagino che quelle standard, più piccole, siano quasi degli sgabuzzini ...
Decidiamo di uscire per visitare il villaggio, ma, mentre siamo in macchina, si scatena il diluvio universale. Rimaniamo quasi un’ora a chiacchierare con Bhuvnesh. In questa occasione, e durante i lunghissimi viaggi in macchina, abbiamo parlato tanto con lui. Lui ci ha parlato di sé, del suo villaggio nel deserto vicino a Barmer, del suo matrimonio (combinato, come si usa in India) e della sua fede hindu. Era anche molto curioso: ogni volta che ci spiegava qualcosa sulla vita in India, si affrettava a chiederci se “in the Italy” le cose funzionassero alla stessa maniera ... alla fine eravamo in confidenza, e scherzava spesso con noi.
Dopo un po’ decidiamo di tornare all’hotel, dove si cena a buffet (1200 rs).

14 agosto: Orcha-Khajuraho
Partiamo alle 8 e 30 per Khajuraho; durante la strada spesso piove e si creano delle pozze incredibili – qui come altrove manca qualsiasi sistema fognario e di scolo – dove le bufale sguazzano felici.
Arriviamo alle 12 e 30 all’hotel Clarks – molto simile a quello di Agra –, e decidiamo di uscire quasi subito, temendo il monsone. Visitiamo il complesso dei templi ovest (250 rs l’entrata); fuori stazionano delle guide, e, in alcune ore della giornata (non sempre, noi non le abbiamo trovate) è possibile noleggiare delle audioguide. I templi sono splendidi e ricchissimi, e come tutti aguzziamo la vista per trovare le famose figure del kamasutra, mentre grondiamo di sudore per il caldo e l’umidità al 99%. Poi visitiamo i templi a est, raccomandati della Lonely e naturalmente semisconosciuti; con l’aiuto della cartina li abbiamo comunque trovati facilmente. Qui si entra gratuitamente (ce ne sono solo un paio, comunque molto belli). In centro a Khajuraho c’è una filiale della State Bank of India dove abbiamo cambiato; ci sono anche molti negozietti, ma qui gli ambulanti sono particolarmente fastidiosi.
Torniamo all’hotel, ma un attimo prima di raggiungere la piscina si scatena nuovamente il diluvio. Ammazzo il tempo facendomi fare un massaggio ayurvedico, per 20 euro. Per cena ci facciamo portare alla pizzeria Mediterraneo, in centro, dove troviamo finalmente una vera pizza: abbiamo speso circa 700 rs.

15 agosto: Khajuraho (Satna)-Varanasi
Partiamo alle 7 e 30 per Satna, dove prenderemo il treno per Varanasi. Viaggiamo sotto il diluvio e arriviamo alle 10 e 30 in stazione, dove con il magone lasciamo Bhuvnesh, il nostro compagno di viaggio per tutti questi giorni. La stazione, come prevedibile, è piuttosto caotica: mucche sui binari, gente che dorme sul pavimento e festival di venditori ambulanti di cibo che offrono la loro mercanzia ai passeggeri dei treni in sosta. Aspettiamo un po’ nella sala d’aspetto delle classi superiori – dove molti si fanno doccia e toeletta nel bagno – e poi andiamo sul binario. Ci spaventiamo un pochino vedendo la quantità di persone stipate nelle carrozze dietro i finestrini a sbarre. Scopriremo poi che quelle sono le classi sitting; se viaggiate in treno, prenotando con agenzia o on line, vi ritroverete nelle classi spleeping a/c, dove c’è molta meno gente, si può dormire nelle cuccette e c’è l’aria condizionata. Queste carrozze non sono male, e comunque mai peggio di un treno per pendolari italiano. Sul treno Satna-Varanasi la classe più altra è la 2 AC. I passaggi verso le classi inferiori sono chiusi a piombo, quindi se volete curiosare fatelo durante le soste.
Il viaggio per Varanasi si rivela infinito; dopo Allahbad, in particolare, il treno si ferma praticamente ogni dieci minuti. Alle 21, in ritardo, arriviamo in stazione, dove ci aspetta Mr Ramvillas, che ci porta con l’autista al Gange View.
Su questo hotel bisogna aprire una parentesi. Come pacchetto standard Karni vi proporrà il Radisson, che è un hotel executive vicino alla stazione (e al McDonald ...). Come tutti gli hotel di questo tipo immagino sia grande, pulito e dotato di piscina (oltre che di una serie di ristoranti); comunque le recensioni di Trip Advisor sono eccellenti. Tenete però presente che è piuttosto lontano dal centro e dai ghat, e con il traffico impazzito di Varanasi ci vuole almeno un’ora per raggiungerli. Il Gange View è invece sull’Assi Ghat e si affaccia direttamente sul Gange. Più che un hotel sembra una casa di intellettuali, con mobili in stile coloniale e eleganti complementi d’arredo indiani. Ci sono molte aree comuni – fra cui una libreria e una bella terrazza, dove, se volete, vi verrà servito il cibo – dove si aggirano inservienti nepalesi un po’ straniti. Detto questo ha le sue pecche. La condizioni della biancheria sono assai precarie, ho visto con i miei occhi un topolino poco lontano dall’ingresso della nostra stanza, e il cibo è da dimenticare: la prima sera eravamo affamatissimi, ma la vista del loro thali rigorosamente pure vegetarian ci ha chiuso lo stomaco; le colazioni (non a buffet) sono piuttosto scarsine.
Arrivati all’hotel e mangiato qualcosina ce ne andiamo a letto, stanchissimi.

16 agosto: Varanasi
Stamattina la sveglia suona alle 4 e 40, perché è in programma la gita in barca sul Gange. Consiglio di portare la torcia (e lo stesso vale per la sera) perché una volta scesi dalla macchina bisogna passare per vicoletti luridi e bui, senza avere alcuna idea di dove si mettono i piedi. Va da sé che bisogna indossare scarpe chiuse. Sulla barchetta possiamo vedere la gente che si bagna o che lava i panni, battendoli con quella che sembra essere una mazza da cricket, e i crematori. Scendiamo proprio vicino a quello principale, passando in mezzo ad enormi cataste di legna da ardere. La guida della barca ci porta al tempio nepalese e poi in un negozio di sete (del datore di lavoro?), dove non compriamo nulla. Dopo esserci aggirati un po’ per i vicoli, fra la quiete dell’alba, la sporcizia, minuscoli tempietti e il fumo che si leva da piccoli falò, torniamo alla macchina, e raggiungiamo l’hotel per la colazione.
Poco più tardi usciamo, questa volta a piedi, e decidiamo di percorrere i ghat sino a raggiungere quello principale, il Dasawamedh; può essere che il tragitto sia più breve passando per i vicoli interni, ma così sarete certi di non perdervi. Ricordo con piacere quella mattina sui ghat a Varanasi. Ho visto scene di vita quotidiana, ma anche le cose più incredibili e impressionanti, mischiate insieme in un mix improbabile. Ci sono uomini e donne che si lavano persino i denti nell’acqua del Gange, file interminabili di sari stesi al sole ad asciugare, ragazzini che giocano a cricket a pochi metri dalle cremazioni. Queste si svolgono all’aperto, con il cadavere avvolto in teli preziosi sopra una catasta di legna. Quanto è più importante la casta cui apparteneva il defunto tanto più in alto verrà posta la pira; gli intoccabili vengono bruciati sulla riva, in mezzo ai cani che frugano nella sporcizia e davanti alle vacche semi immerse nel fiume. Ci sono capannelli di persone che pregano e ascoltano un bramino che predica da sotto un ombrellone, e moltissimi templi, ognuno indicato per risolvere qualche problema specifico. Ho visto un pover’uomo vestito di stracci, il cui impiego consisteva nel raccogliere lo sterco e farne delle palline da asciugare al sole, per poi venderle come combustibile. Eppure, quella mattina tutto sembrava in qualche modo ‘al suo posto’, non mi sono impressionata ma ho osservato con distacco e curiosità questa visione della vita e della morte così diversa dalla nostra; ricordo anche il dolore composto di una famiglia che salpava con la barchetta per abbandonare nel fiume il corpo di un bambino, avvolto in alcuni teli, e un uomo vestito di bianco che si asciugava le lacrime mentre girava intorno alla pira che doveva accendere.
C’è stato naturalmente spazio per momenti meno profondi: ad un certo punto ci ha agganciato un ragazzo simpatico, che dopo averci venduto i suoi colori per 40 rs ci ha trascinato nel suo negozio, passando per l’incredibile e affollatissimo bazar, dove abbiamo comprato tre sciarpe (forse) di seta per 450 rs.
Nel pomeriggio, dopo qualche traversia e un’ora di ritardo, è arrivato l’autista, che ci ha portato a visitare i templi più importanti della città: non sono particolarmente speciali. Non c’è stato tempo per vedere il Golden Temple, in cui comunque pare che non sia possibile entrare per chi non è hiundu. Alle 18 parcheggiamo e raggiungiamo i ghat per un’altra gita in barca, durante la quale vediamo la cerimonia, che francamente non ci è sembrata particolarmente suggestiva (c’è questa fila di bramini che canta, suonando una campana e agitando in sincrono una serie di oggetti).
Un’ultima nota sulle fotografie: gli unici divieti riguardano le cremazioni e non le semplici abluzioni; può benissimo essere però che troviate un barcaiolo compiacente che ve le lascerà scattare (come è successo a noi, e non eravamo i soli).
Ritornati all’hotel raggiungiamo a piedi il ristorante Yafah, dove per noodles, moussaka e pepsi spendiamo ben 215 rs.

17 agosto: Varanasi
Dopo aver poltrito tutta la mattina in albergo, intorno a mezzogiorno, dopo il check-out andiamo con l’autista a Sarnath, per visitare i templi e le stupa. Il biglietto per il complesso costa 100 rs, quello per il museo 2 rs. Secondo me non vale assolutamente la pena visitare Sarnath, naturalmente a meno che non siate per qualche motivo interessati al buddismo.
Torniamo a Varanasi, e, dopo la sosta al Mc Donald (accidenti, riescono a preparare l’hamburger con le loro maledette spezie!), visitiamo il mercato dei tessuti mussulmano. La visita consiste in un giro per i vicoli che circondano le case, dove si sente incessantemente il rumore dei telai a mano, e in una prevedibile puntata in un negozio. Anche qui niente acquisti.
Dal momento che è presto, Mr Ramvillas ci propone di aspettare nella hall dell’hotel Ideal Tower, dopodiché ci porta in stazione, dove ci aspetta il treno notturno per Delhi. Abbiamo scelto la classe 1AC, che dà diritto ad una stanzetta riservata, con l’aria condizionata e due cuccette. Volendo sul treno è possibile mangiare (e prendere il chai) ma ce ne siamo ben guardati.

18 agosto: Delhi
Il treno arriva alla stazione di New Delhi con un leggero ritardo, verso le 8 e 30. Dopo aver faticato un po’ a trovare il driver (ci aspettava all’uscita opposta) ci dirigiamo all’hotel Singh Sons. L’impresa non è delle più semplici, perché, come lui stesso ammette, Mr Omreev è un grande esperto delle strade rajasthane, ma a Delhi ha qualche problemino ... in effetti giriamo quasi un’ora per il quartiere di Karol Bagh prima di trovare l’albergo. Del Singh Sons ci avevano parlato così male che alla fine l’hotel si è rivelato meno peggio del previsto. La camera era piuttosto ampia, e non presentava problemi di pulizia. Il principale aspetto negativo, oltre all’aria condizionata un po’ rumorosa, è l’acqua calda: sulle porte c’è scritto che viene fornita dopo dieci minuti dalla richiesta alla reception, ma in realtà arriva appena tiepida. Deprimente la sala da pranzo, in un seminterrato buio.
Dopo la colazione usciamo per visitare Old Delhi. Prima andiamo alla moschea di Jama Masjid. A differenza di quanto afferma la Lonely, l’entrata non è gratis, ma bisogna pagare 100 rs per la macchina fotografica; per salire sul minareto panoramico ci vogliono 100 rs e non 20. Alla moschea veniamo allegramente presi d’assalto da un gruppo di bimbi terribili, che prima vogliono fare una foto con noi, e poi si strappano dalle mani le penne che abbiamo regalato loro. Ci dirigiamo poi verso il Red Fort. L’entrata non si può raggiungere con la macchina, quindi prendiamo un ciclorisciò, concordando 50 rs per andata, ritorno e giro a Chandni Chowk. Il Red Fort (entrata 100 rs + 25 per la fotocamera) è interessante, ma è uno dei meno belli che abbiamo visto. Dopo il giro per Chandni Chowk ed i vicoli del mercato, il conducente ci riporta al parcheggio, pretendendo 100 rs. Dopo breve discussione, cui partecipano alcuni presunti passanti per dargli man forte, gli diamo comunque 50 rs, per nulla intimoriti. Con la macchina andiamo poi al Raj Ghat e al vicino museo Memorial Gandhi (entrata gratuita, davvero molto interessante).
Dopo una breve sosta in hotel, alle 18 usciamo nuovamente ed andiamo al principale tempio sikh, il Gurdwara Bangla Sahib. Il tempio è davvero molto bello, con delle cupole dorate è un’enorme cisterna contenente acqua considerata sacra. Soprattutto, devo dire che, dei moltissimi luoghi di culto che abbiamo visitato in India, questo è uno di quelli che mi ha colpito più positivamente. Al tempio sikh siamo stati accolti in maniera ospitale, abbiamo potuto lasciare le scarpe in una comoda sala d’aspetto (si entra a piedi completamente nudi) e ci hanno dato una bandana da mettere in testa. Nessuno ha cercato di venderci biglietti di ingresso, di costringerci a prendere una guida o a lasciare una mancia (si è liberi di farlo nel tempio se lo si desidera), o ci ha in altro modo infastidito; alla fine ci hanno dato un libricino in italiano, che spiega i fondamenti della loro religione. In generale, ho avuto l’impressione di trovarmi di fronte ad una professione di fede profondamente devota ma allo stesso tempo composta, senza eccessi.
Dopo il tempio andiamo a Connaught Place. Secondo me nella piazza non c’è praticamente nulla da vedere, è solo un posto dove si trovano moltissimi locali, ristoranti e negozi. Noi abbiamo cenato allo Shanghai Express, nell’Inner Circle, dove fanno noodles semplicemente strepitosi, ed abbiamo speso 550 rs circa.

19 agosto: Delhi
Alle 9 e 30, dopo il check-out, abbiamo appuntamento con il nuovo autista, che ci porta a Qutb Minar: l’ingresso al complesso delle rovine della moschea costa 250 rs a persona; con ulteriori 80 rs, sempre per persona, è possibile noleggiare un’audioguida in inglese (pare che presto sarà disponibile anche in italiano). Ritorniamo verso la città, per visitare New Delhi. Prima andiamo al Lotus Temple (ingresso gratuito): il tempio è molto bello dall’esterno, e anche i giardini sono curatissimi (immagino che questo si apprezzi di più con un clima meno torrido, quando è possibile farsi una passeggiata); l’interno è invece un po’ deludente. Nell’uscire incontriamo una ragazza italiana che distribuisce volantini: ci spiega che è di religione baha’i, e che si fermerà per alcuni mesi per fare del volontariato. Andiamo all’India Gate, un enorme arco in pietra all’estremità della Rajpath, la lunghissima via che conduce ai palazzi presidenziali (non c’è molto, ci si ferma solo per scattare una foto), e poi ci avviciniamo con la macchina a vedere più da vicino i palazzi.
A pranzo l’autista ci porta nella zona di Defence Colony. Pranziamo allo Swagath (butter chicken e birra per circa 800 rs), e poi mi faccio fare lì vicino da un ragazzino un tatuaggio all’hennè sulla mano, per 75 rs.
Nel pomeriggio visitiamo il bel complesso della tomba di Humayum (ingresso 250 rs a persona). A Delhi fa veramente caldissimo, si suda in una maniera pazzesca, così cerchiamo di prendercela comoda e ci fermiamo un po’ a riposare un una panchina. Quando usciamo vogliamo visitare il tempio di Akshardaham. L’autista però ci dice che è troppo lontano e che quando arriveremo sarà chiuso (l’orario di chiusura è previsto per le 18). Probabilmente non aveva semplicemente voglia di portarci; forse comunque avremmo fatto meglio ad andare prima al tempio e poi alla tomba di Humayum, che rimane aperta sino al tramonto.
Dopo averci portato (senza che glielo avessimo chiesto) in negozio di stoffe gestito da avidi commercianti (sparavano prezzi assurdi, forse abituati al fatto che in genere i turisti scelgono Delhi come prima tappa, e che non sono ancora abituati alle usanze locali ...), il driver ci conduce alla tomba di Safdarjang (ingresso 100 rs; carina, ma niente di speciale in confronto a tutti gli altri mausolei che abbiamo visto), e poi ai vicini Lodi Gardens (aperti dall’alba al tramonto, ingresso gratuito). I Lodi Gardens sono stati una piacevolissima scoperta: sono giardini molto grandi e ben curati, dove la gente fa jogging, cammina, o semplicemente si rilassa sdraiata nell’erba. Ci sono anche due mausolei, molto affascinanti. Direi che l’ideale è andarci al tramonto, quando il caldo è meno opprimente; c’è anche una sezione dedicata ai bonsai, però noi l’abbiamo trovata chiusa.
Non essendoci praticamente più nulla da visitare (o almeno nessun posto in cui l’autista sia disposto a portarci ...) decidiamo di raggiungere l’aeroporto, anche se è un po’ presto. Tutto sommato, direi che per visitare Delhi è più che sufficiente una giornata e mezza, o al massimo due; ma si può benissimo ridurre la visita ad un giorno e visitare solo Old Delhi (le cose che abbiamo visto a New Delhi e il Qutb Minar sono interessanti, ma non reggono il confronto rispetto alle bellezze del Rajasthan).
Quanto all’aeroporto, è bene sapere che non è possibile entrare prima di tre ore prima della partenza, e che bisogna mostrare alla polizia all’ingresso passaporto e biglietto aereo. È comunque possibile aspettare in una sala lì davanti, dove ci sono bar e ristoranti per cenare.
Sono le ultime ore in India: siamo davvero distrutti, e in questo momento non vediamo l’ora di essere a casa ... l’India però ci mancherà moltissimo. È un paese straordinario e difficile, che a volte strega ed altre volte mette a dura prova chi è intenzionato a scoprirlo: certe sere ci addormentavamo entusiasti per tutte le esperienze fatte, altre avremmo soltanto voluto mandare a quel paese ogni abitante dell’intero subcontinente ... ma alla fine, quando si ritorna a casa e si ripensa ai giorni passati là, rimangono soltanto sensazioni bellissime ... Thank you, India!
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Re: Dimmi dell'India...(contiene breve racconto di viaggio)

Messaggio da Star_ACE »

macman ha scritto:Se un giorno avrò tempo metterò anche alcune foto...
considerato che il racconto era breve, le foto saranno due o tre massimo ? :o :o :o
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Re: Dimmi dell'India...(contiene breve racconto di viaggio)

Messaggio da whiterussian »

Bravo mac, ora mando il tutto a FooL che ha detto che leggerà per me e poi mi farà un riassunto. :D
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Re: Dimmi dell'India...(contiene breve racconto di viaggio)

Messaggio da picard »

mac, e le pantegane? :D

comunque, confermo...mai ci andro' :wink:
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Re: Dimmi dell'India...(contiene breve racconto di viaggio)

Messaggio da babaoriley »

spero di andarci un giorno, è un Paese davvero affascinante.

quanto alle pantegane, sono già abituata a quelle padane :D
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Re: Dimmi dell'India...(contiene breve racconto di viaggio)

Messaggio da macman »

picard ha scritto:mac, e le pantegane? :D

comunque, confermo...mai ci andro' :wink:

Al tempio dei topi c'erano un vagone di topolini, molti morti o semimorti, mia moglie ad un certo punto è tornata indietro....

Al Gange View ho visto un topolino in una specie di sala comune...

Panteganone niente in realtà!
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Se impari la strada a memoria di certo non trovi granchè; se invece smarrisci la rotta il mondo è lì tutto per te.
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Alga
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Re: Dimmi dell'India...

Messaggio da Alga »

macman ha scritto:Diario di viaggio

31 luglio: Delhi-Jaipur
Alle 7 del mattino, con circa un’ora di ritardo sbarchiamo all’aeroporto internazionale di Delhi. Superati i controlli, doganali e sanitari – qui temono l’arrivo dell’influenza suina, che in effetti si diffonderà in alcune regioni dell’India nel corso del nostro viaggio –, ritirata la valigia e cambiati 200 euro usciamo dalla sala arrivi. Qui sfiliamo fra due file di uomini con in mano dei cartelli: sono gli autisti, che aspettano i loro passeggeri! Quasi alla fine, dopo esserceli letti tutti, troviamo il nostro uomo, Bhuvnesh, con cui andiamo al parcheggio. Mentre stiamo camminando, si avvicina, sbucato dal nulla, un ragazzino che cerca di farsi dare la valigia da Manuel; capito che cerca una mancia per il servizio di facchinaggio, rifiutiamo cortesemente: benvenuti in India!
Bhuvnesh ci spiega che solo oggi viaggeremo su un pulmino. Effettivamente il mezzo si è rivelato molto comodo, non tanto per lo spazio, ma per i sedili posteriori reclinabili, ideali per dormire un po’; potreste prendere in considerazione l’idea di chiedere un’auto come questa, anche se costerà ovviamente qualcosa in più. Appena ci mettiamo in marcia per Jaipur cominciamo a scoprire il ‘paesaggio’ indiano. Lungo le strade circola qualsiasi mezzo la vostra fantasia possa immaginare: risciò, ciclorisciò, carretti trainati da ogni tipo di animale (compresi i cammelli), motorini che in media trasportano 3-4 persone (ma nel corso del viaggio abbiamo visto con i nostri occhi una famiglia di 6 persone su una sola moto), camion decorati e coloratissimi (qui usano così). La tratta Jaipur-Delhi si rivelerà una delle più scorrevoli, ma anche qui cominciamo ad individuare le caratteristiche principali delle strade: le carreggiate sono strette, e gli autisti suonano in continuazione il clacson per segnalare reciprocamente la propria presenza; ai bordi, l’asfalto (quando c’è ...) è rotto, e finisce in sassi e polvere. Cominciamo a vedere i villaggi, e a renderci conto della densità della popolazione indiana. I centri abitati consistono in una fila di quadrati in cemento aperti sul lato lungo la strada che ospitano i negozi, spesso semidiroccati; un numero incredibile di bancarelle vende di tutto: frutta, anice, schede telefoniche, pezzi di ricambio di ogni genere. Intorno uomini, donne (coloratissime nei loro sari) e bimbi, che comprano, vendono, trasportano, discutono, o semplicemente se ne stanno accovacciati ad osservare l’andirivieni generale. In mezzo a tutto questo, le immancabili vacche sacre (ma anche un discreto numero di caprette) circolano indisturbate, come se fosse la cosa più naturale del mondo. In genere, tutti i centri abitati indiani danno l’impressione di essere stati oggetto di un pesante bombardamento, di cui, per qualche oscura ragione, in occidente non si è avuta notizia ...
Dopo circa 5 ore arriviamo a Jaipur, e Bhuvnesh ci porta in un ristorante vicino al Jai Mahal; francamente non ricordo il nome, ma non era granché (700 rupie per pollo, montone e riso). Arrivati a Jaipur andiamo subito al city palace, che oggi chiude in anticipo, alle 15, per i funerali della madre del maraja. Il biglietto costa 300 rupie, e comprende, oltre alla visita gratuita dello Jaigarth Fort, anche un’audioguida, disponibile in inglese. Chiedete all’ufficio turistico dopo l’entrata sotto il portone a destra (alla biglietteria non vi diranno nemmeno che ne avete diritto). Il city palace non ci è sembrato straordinario (ma probabilmente è dipeso dal fatto che eravamo molto stanchi); le cose che mi sono piaciute di più sono state la Diwan-i-khas, con le enormi giare d’argento destinate a contenere l’acqua sacra del Gange, e il cortile con le porte delle quattro stagioni (alcune però erano in ristrutturazione). Vicino alla galleria d’arte due guardie con il turbante hanno insistito perché facessi una foto con loro ... per poi chiederci la mancia: in genere, fanno così tutti quelli che si dimostrano disponibili ad essere ritratti con voi, quindi rifiutate prima, se non siete disposti a dare loro nulla. Andiamo poi al Jantar Mahal, ma fa troppo caldo e siamo troppo stanchi per visitare l’osservatorio sotto il sole cocente; così ci fermiamo su una panchina a guardarlo da fuori, mentre chiacchieriamo con un ragazzo indiano che parla un po’ l’italiano.
Ci facciamo quindi portare all’hotel Shahpura House. Lungo la strada abbiamo occasione di vedere l’ipercaotico centro di Jaipur, e di fotografare l’Hawa Mahal e il minareto Iswari Minar Swarga Sal. L’hotel è carino, la stanza era ampia con bagno accettabile e biancheria pulita. C’è anche una piccola ma graziosa piscina – in cui ci siamo riposati resto del pomeriggio – e un ristorante sul tetto (non lo abbiamo provato). Tenete presente che proprio accanto all’hotel c’è una filiale del centro massaggi Kerala Ayurveda Kendra (la Lonely ne parla molto bene, ma indica soltanto l’altro indirizzo, più lontano); i trattamenti non sono molto cari (si parte da 500 rs per il massaggio generale di un’ora).
Per cena siamo invitati dalla moglie di Karni (lui non c’è, è in viaggio in Europa), anche perché dobbiamo saldare il conto ... Dopo aver pagato al suo dipendente, conosciamo la famiglia di Karni, che ha due figlie. Sua moglie ci prepara un thali vegetariano (lei segue rigorosamente i dettami della cucina hindu, a differenza del marito che, pare, talvolta si concede del pollo ... ma solo fuori da casa sua!), e alla fine ci regala un bellissimo copriletto dipinto a colori naturali con la tecnica dei timbri.

1° agosto: Jaipur
Dopo colazione ci dirigiamo all’Amber Fort, per il quale Bhuvnesh ci ha procurato una guida – per la verità non richiesta –, Raju, che alla fine si è però rivelato davvero bravo.
A poche centinaia di metri dal forte, decidiamo di fermarci, per fare una foto panoramica. Quando accostiamo non c’è nessuno, ma in un attimo si materializzano, nell’ordine, un uomo con un cucciolo di elefante, che mi chiede di fare una foto, un suonatore di flauto, con il suo cesto con il serpente, ed una serie di venditori che ci offrono braccialetti, specchietti e penne ... Scattata la foto andiamo all’ingresso, dove ci aspettano gli elefanti. Una volta a bordo del pachiderma, iniziamo la salita al forte, sempre assaltati dai venditori, che, con la complicità del guidatore dell’elefante, ci lanciano magliette e statuine di legno. Quando scendiamo, lasciamo 10 rs di mancia, giusto perché Raju insiste, al conducente, che si lamenta perché vorrebbe di più ... per come si è comportato, avremmo fatto meglio a non dargli nulla!
L’ingresso al forte costa 300 rs a persona, se non prendete la guida sono disponibili delle audioguide, a pagamento. Raju ci porta a visitare prima il piccolo tempio (prima di entrare, bisogna lasciare al custode macchine fotografiche ed oggetti in cuoio; si entra a piedi nudi, senza calzini), e poi il vero e proprio forte, davvero bellissimo, raccontandoci un sacco di cose interessanti.
Dopo il forte andiamo a vedere (solo dalla riva, non è possibile entrare) il Jai Mahal, palazzo dell’acqua, che sorge in mezzo ad un lago – sempre con il solito assalto di venditori –. Poi Raju decide di portarci dai suoi negozi ‘convenzionati’: prima un negozio di gemme, dove non compriamo nulla ma ci preparano il caffé Lavazza, e poi una fabbrica di tessuti. Qui è stato carino, perché ci hanno mostrato la tecnica di lavorazione con i timbri (ho provato anch’io ...); al negozio, dopo aver rinunciato ad acquistare un bel copriletto (troppo caro), Manuel compra una cravatta con gli elefanti (chissà quando la metterà ...).
Salutato Raju, decidiamo di fare una passeggiata nel Chandpool Bazar. Siamo divertiti ed emozionati all’idea di poter finalmente immergerci, da soli e a piedi, nella ‘vera’ India ... come scopriremo poi, questo sarà solo l’inizio! Passeggiamo sotto i portici osservando l’umanità intenta nelle più diverse occupazioni, e ci dedichiamo un po’ alla contrattazione (compro un paio di scarpette di cuoio per 200 rs). Attenzione qui ad attraversare la strada, è davvero molto pericoloso; non aspettatevi poi che qualcuno si fermi a farvi passare. Raggiunta la macchina e svegliato Bhuvnesh che dormiva beato, torniamo all’hotel.
La sera a cena decidiamo di andare al villaggio tipico Chokhi Dani, a qualche chilometro dalla città. Nonostante lo scetticismo della Lonely, a noi è piaciuto moltissimo, e vi consigliamo di andarci. È vero, è piuttosto ‘artificiale’, ma non più degli altri spettacoli cui avrete modo di assistere durante il viaggio; poi, non è affatto turistico: a frequentarlo sono soprattutto le famiglie indiane, e, oltre a noi, c’erano pochissimi stranieri. L’ingresso costa 300 rs a persona, e comprende una cena tipica rajasthana vegetariana. Dovrete lasciare fuori dal ristorante le scarpe, e vi siederete per terra, mentre un gruppo di gioviali camerieri muniti di turbante vi metterà nel piatto il cibo. Qui portatevi assolutamente la vostra acqua in bottiglia: le bevande che servono sono fatte con acqua del rubinetto (la stessa che portano per lavarsi le mani); noi siamo stati avvertiti in tempo da una gentilissima signora indiana, ma abbiamo dovuto mangiare all’asciutto! Dopo cena potrete dedicarvi agli intrattenimenti rajasthani: ballerine, contorsioniste, domatori di serpenti e colombe, astrologi ... potete anche decidere di fare una passeggiata sull’elefante o sul cammello; io poi mi sono fatta fare un bel tatuaggio all’henné sul palmo della mano. Dopo aver acquistato, dopo estenuante contrattazione, un dipinto di Ganesh su velluto nero, raggiungiamo Bhuvnesh, e torniamo all’hotel.

2 agosto: Jaipur-Mandawa
Alle 9 partiamo per Mandawa. Il tragitto è lunghissimo, la strada è trafficata, e Bhuvnesh fatica a superare i mezzi pesanti. Incontriamo una fila interminabile di camion militari: Bhuvnesh ci dice che stanno dirigendosi verso il confine con il Pakistan, per effettuare delle esercitazioni.
Ci fermiamo a Nawalgarh, a visitare le haveli. Nawalgarh è un villaggio minuscolo, dove non si vedono turisti, con vicoli strettissimi in cui l’auto fatica a passare: sfioriamo i banchetti di tessuti e spezie, fra le donne che si coprono con il velo quando ci vedono e i venditori di chai. A Nawalgarh ci sono effettivamente molte haveli, ma in condizioni pressoché disastrate; l’unica che vale la pena visitare è la Morarka haveli, davanti al complesso dei templi (entrata 50 rs a persona), dove quello che potrebbe essere un ragazzino, dopo aver discusso con Bhuvnesh (sosteneva che gli avesse chiesto una commissione, mah ...) ci mostra i cortili e le stanze.
Ripartiamo e facciamo tappa a Mukundgarh, per vedere il forte, che si rivela chiuso; da quanto dice la Lonely dovrebbe ormai ospitare solo un albergo, quindi eliminate pure questa tappa. Decidiamo di non fermarci a Jhunjhunu e raggiungiamo Mandawa, dove alloggeremo all’hotel Castle Mandawa. L’hotel è situato nel forte, quindi entrarci è davvero suggestivo, e gli spazi sono enormi (immagino sia sempre semivuoto). La stanza era carina e pulita, con il bagno più bello di tutti quelli che abbiamo avuto; c’è la piscina, a prima vista scenografica, ma in realtà non troppo pulita.
Dopo un paio di ore di relax in piscina, visitiamo Mandawa, con la guida procurataci da Bhuvnesh; la visita dura circa un’ora, e anche qui abbiamo visto haveli piuttosto malandate, mentre la guida elencava orgoglioso i vari animali dipinti sulle case, e un gruppo di donne e bambini ci seguiva per venderci qualcosa. Alla fine, breve visita ai negozi (del nonno?) dove non compriamo nulla, più per l’infima qualità della merce che per i prezzi.
Ceniamo al ristorante a buffet dell’hotel (l’unico altro ristorante del villaggio è a poche centinaia di metri, e si chiama Monica, ma non saprei dirvi molto, oltre al fatto che è ospitato in una haveli): prendiamo pollo, chapati, un piatto a base di ceci del Punjab, cannelloni agli spinaci (wow!), verdure, dolci vari e birra per 1712 rupie.

3 agosto: Mandawa-Bikaner
Dopo la colazione alle 9 partiamo per Bikaner. Durante il tragitto ci fermiamo a Fatehpur, a visitare la haveli Nadine la Prince. Si tratta di una haveli acquistata e splendidamente restaurata dall’artista francese: se avete poco tempo, potete limitarvi a visitare questa, che dà l’idea di come potessero effettivamente apparire queste abitazioni di commercianti ai tempi del loro splendore. L’ingresso costa 100 rs a persona e comprende la spiegazione in inglese o francese. Vicino a questa haveli ce n’è una che da fuori sembra bella, la Singhania; a differenza di quanto dice la Lonely, noi l’abbiamo trovata aperta (ingresso 15 rs), ma non siamo entrati, per il poco tempo a disposizione. Per il resto Fatehpur è una desolante fogna a cielo aperto (bisogna fare i salti per non finire nell’acqua lurida), e mentre tornavamo alla nostra auto ci ha attraversato la strada un’enorme scrofa nera.
Alle 14 circa raggiungiamo Bikaner, dove alloggiamo all’hotel Laxmi Niwas Palace. L’albergo non è altro che un’ala della storica residenza del maraja di Bikaner (un’altra ala è occupata dall’hotel Lallgarh Palace, mentre nella terza vive ancora la famiglia del maraja), ed è semplicemente stupendo, il più bello in cui siamo stati in India; l’unico aspetto un po’ deludente è rappresentato dalla piscina, che sembra piuttosto una piccola pozza. Anche qui stanza ampia, pulita ed accogliente.
Andiamo subito al forte, nonostante il caldo micidiale (siamo alle porte del deserto): l’ingresso costa 250 rs, comprensivi di audioguida. Dopodiché andiamo al tempio dei topi, con Bhuvnesh che ci accompagna anche all’interno, forse temendo la nostra reazione alla vista dei sacri roditori ... La visita (50 rs per la macchina fotografica) è da fare, ma è semplicemente disgustosa, non tanto per i topolini in sé, ma per le condizioni di sporcizia totale in cui sono tenuti: il pavimento è pieno di escrementi (è vivamente consigliato entrare con i calzini), e qua e là si vedono topi morti. Bhuvnesh sembra apprezzare la cosa molto più di noi e, preso possesso della nostra macchina fotografica, si lancia in un reportage sugli animaletti (che loro chiamano kaba).
Dopo aver guadagnato l’uscita, partiamo alla ricerca del (solo per la Lonely) famoso tempio giainista. Il povero Bhuvnesh gira quasi un’ora a vuoto alla ricerca, chiedendo indicazioni ai passanti per la strada. Questo è un aspetto piuttosto divertente: come effettivamente segnalava la guida, alla richiesta di informazioni gli indiani non rispondono mai con un “non so”; tutti cominciano a parlare e parlare, anche se non hanno idea di dove sia l’indirizzo richiesto ... Bhuvnesh sembra però sapere come riconoscere chi gli fornisce indicazioni campate per aria: ce ne accorgiamo perché a volte, mentre l’interlocutore sta ancora parlando, rialza il finestrino e se ne va ... alla fine raggiungiamo il tempio, effettivamente bello (20 rs per macchina fotografica).
Nel tornare all’hotel attraversiamo la città, ed anche questa si rivela un’esperienza divertente. Ad un certo punto, proprio nel centro, troviamo un passaggio a livello, che si abbassa prima del nostro passaggio. In pochi minuti si crea un incredibile assembramento di mezzi; solo che, naturalmente, tutti i veicoli che procedono in un senso di marcia, da un lato, occupano l’intera carreggiata, e lo stesso accade dall’altra parte. Passato il treno si scatena così il prevedibile ingorgo apocalittico, e nessuno riesce a muoversi, tanto che qualcuno si carica la bicicletta in spalla e procede a piedi. In tutto questo, mentre noi osserviamo la scena divertiti, si avvicina alla macchina un ragazzino con fare minaccioso, che, come ci ha poi spiegato l’autista, si mette a discutere con Bhuvnesh perché avrebbe ‘osato’ portare dei turisti in città senza il suo permesso (e soprattutto senza dargli del denaro). Bhuvnesh però non si fa intimorire, e il ragazzo se ne va dopo pochi minuti.
Raggiunto l’hotel, veniamo intercettati da un inserviente che – ovviamente per ottenere una mancia – ci porta a fare un giro turistico della struttura: visitiamo la sala del biliardo, con le pareti tappezzate di pelli (e teste) di tigri (un po’ macabro), e le terrazze. Ceniamo nel ristorante dell’hotel, nel cortile principale: la serata è stata magnifica, con cibo molto buono (a buffet) e spettacoli di danza rajasthana (1700 rs compresa la birra).

4 agosto: Bikaner-Jaisalmer
Partiamo alle 9 e, durante il tragitto, ci fermiamo al tempio di Ramdeora. Questo tempio è interessante non tanto dal punto di vista architettonico, quanto piuttosto per le straordinarie manifestazioni di fede di cui è oggetto. Baba Ramdeora è un personaggio molto venerato, non solo dagli hinduisti ma anche dai musulmani; in questo periodo, poi, c’è un festival in corso, quindi c’è molta gente. Già per la strada, anche a parecchi chilometri di distanza – lo vedremo anche nei giorni successivi – si incontrano file interminabili di uomini e donne a piedi, che spesso reggono enormi bandiere, intenti a recarsi al tempio. Bhuvnesh ci ha detto che spesso queste persone camminano per giorni e giorni, e che si ritiene che, andando al tempio a piedi, sia più probabile vedere esaurite le proprie preghiere. Notiamo che, gli ultimi 8-10 chilometri, ai bordi delle strade giacciono abbandonate centinaia di scarpe.
Alle 14 e 30 arriviamo a Jaisalmer, la città d’oro. Prima di raggiungere l’hotel facciamo una breve visita al lago (si può benissimo evitare). Anche l’hotel Rang Mahal è molto bello, e alla reception ci danno una stanza di categoria superiore (la prenotazione era per una camera standard). La cosa più spettacolare è la piscina, dove ce ne stiamo un paio di ore, prima di uscire. Jaisalmer è in assoluto la città più calda, e non è proprio possibile uscire durante le ore centrali della giornata; nemmeno in piscina si riusciva a resistere al sole, appena fuori dall’acqua eravamo già asciutti!
Verso le 17 andiamo al forte. Rifiutato l’abbordaggio della guida, ci addentriamo nella cittadella fortificata per un giretto a piedi. Qui è davvero molto carino: certo non mancano le vacche e un po’ di sporcizia, ma almeno non ci sono mezzi a motore, quindi si cammina tranquilli. Decidiamo di provare i massaggi ayurvedici. Prima andiamo da Bobby, pubblicizzato dalla Lonely, ma è solo per donne, e poi la massaggiatrice non c’è. Ripieghiamo quindi sul Guru Kerala Ayurvedic Centre, che è nella stessa via, dove per 350 rs fanno un fantastico massaggio di quasi un’ora, durante il quale si viene unti dalla testa ai piedi (nemmeno i capelli si salvano!). Tenete presente che qui tutti i centri massaggi, anche quelli sponsorizzati dalle guide, sono delle specie di bugigattoli bui e stretti ... non spaventatevi.
Prima di tornare all’hotel proviamo ad andare al ristorante Trio, ma desistiamo, perché i tavoli della bella terrazza panoramica sono tutti riservati; se volete mangiare qui, conviene prenotare nel pomeriggio. Cena così così all’hotel (niente buffet), dove spendiamo 1260 rs (provato anche il lassì alla banana).

5 agosto: Jaisalmer
Dopo colazione saliamo al forte, questa volta per visitare palazzo e templi. Anche stamane rifiutiamo la guida, ed entriamo del museo del forte da soli (250 rs che comprendono l’audioguida). Poi visitiamo il magnifico complesso dei templi giainisti (30 rs a persona, e 70 per la fotocamera). Tutti i monaci chiedono offerte (anche se in ogni tempio c’è scritto a chiare lettere di non dare soldi ai monaci, ma di lasciarli semmai nelle apposite cassettine), e se direte loro che avete già dato del denaro ad un suo fratello, il sant’uomo vi risponderà che quello è un tempio diverso, con una gestione diversa ... Appena usciti da forte andiamo in un negozio di tessuti, dove, dopo la consueta contrattazione, acquistiamo una stola per la tavola ed un copriletto.
Dopo un po’ di relax in hotel, alle 16 e 30 partiamo per Khuri, per la cammellata nel deserto. Dopo un’ora di macchina percorrendo una stradina stretta che va verso il nulla arriviamo al villaggio. I gestori ci offrono il chai, poi partiamo con i cammelli verso le dune. Questa escursione può risultare un po’impegnativa, se non si è molto allenati: in primo luogo, bisogna stare attenti a non cadere quando l’animale si rialza e poi si dondola parecchio: il giorno dopo non c’era un solo muscolo che non mi facesse male! Arrivati sulle dune aspettiamo il tramonto, che è un po’ deludente, a causa delle nuvole basse, mentre il cammelliere di Manuel, che è poco più di un bambino, e gli altri ragazzini si lanciano al galoppo degli animali. Noi intanto chiacchieriamo con un ragazzo toscano che viaggia da solo, e ci scambiamo qualche impressione sull’India. Tornati al villaggio, ci aspetta una cena vegetariana, sempre con canti e danze tipiche (anche Bhuvnesh si lancia in una danza frenetica): spendiamo 1250 rs.

6 agosto: Jaisalmer-Jodhpur
Partiamo alle 9 per Jodhpur, ma prima passiamo per Osyan per vedere il tempio. Dopo un viaggio lunghissimo raggiungiamo Osyan e il suo tempio hindu: non è previsto un biglietto di ingresso, ma di fatto dovrete lasciare un’offerta prima di uscire; qui, a differenza di Ramdeora, è possibile scattare delle foto. Saliamo la lunga scalinata ed entriamo nel tempio, dove c’è moltissima gente; i bambini si divertono un mondo quando ci vedono e vogliono stringerci la mano. In queste occasioni, dove si incontrano persone che non sono interessate al turista e al suo denaro, ma sono lì per pregare, è stato bello osservare e scoprire le usanze locali, così come essere oggetto di una curiosità autentica e disinteressata. A Osyan c’è anche un tempio giainista (noi non siamo entrati perché non ci sembrava molto bello).
Raggiungiamo Jodhpur, dove alloggiamo all’hotel Park Plaza: a differenza dei precedenti, non ha proprio nulla dello stile indiano, ed è piuttosto arredato alla occidentale (non per questo ci è piaciuto meno degli altri, anzi!). Anche qui c’è una piccola piscina.
Alle 17 e 15 abbiamo appuntamento con il driver, che però non arriva. Dopo una ventina di minuti lo chiamiamo, e scopriamo che si era addormentato in macchina proprio dietro l’angolo! Bhuvnesh ci porta alla torre dell’orologio, dove passeggiamo nel mercato (famoso soprattutto per le spezie) fra le bancarelle, la gente e il consueto caos. A differenza dei posti visitati nei giorni precedenti, notiamo qualche turista. Troviamo anche un negozietto in cui è possibile telefonare, dove, su una sediolina di plastica fra le vacche che passano, chiamiamo l’Italia per 11 rs al minuto. Acquistato il cd (masterizzato) con la colonna sonora di Slumdog millionaire (20 rs), ci facciamo portare al ristorante On the rocks, uno dei migliori in cui siamo stati. Prendiamo pollo tandoori, butter naan, birra e lassì al mango per poco più di 850 rs.

7 agosto Jodhpur
Alle 9 e 30 partiamo per il Merangarh Fort; il biglietto di ingresso costa 300 rs, e comprende l’audioguida in italiano. Dopo aver visitato il forte, che è davvero bello, e dal quale si può constatare che effettivamente Jodhpur è la città blu, visitiamo il tranquillo mausoleo Jarswar Tand (30 rs a persona + 25 per macchina fotografica). Poi andiamo al Janda Sweets (o Sweets Sweets) che è sul Nai Sarak (la strada che porta al Sadar Bazar, il mercato principale), giusto qualche centinaio di metri prima della torre dell’orologio. Lo trovate sulla carreggiata di sinistra guardando la torre, comunque non si può sbagliare, è un negozio grandissimo pieno di gente che si ingozza a tutte le ore. Qui acquistiamo mezzo chilo di dolci tipici (fra cui il mawa kachori, con la foglia d’argento) per 90 rs; insieme a Bhuvnesh ci prendiamo del fantastico lassì allo zafferano, dolce, cremoso e talmente denso che il cucchiaino rimane verticale. Può tranquillamente sostituire un pranzo, ed un bicchiere costa ben 17 rs!
Dopo un po’ di relax in piscina, usciamo nuovamente. Al mercato compro alcuni braccialetti di lacca per 50 rs (avranno vita breve ...), poi cerchiamo il ristorante Indique, che è sul tetto dell’hotel Pal Haveli. Prima di salire, acquistiamo due miniature dipinte su seta, per 400 rs. Quindi ceniamo all’Indique, immersi nell’atmosfera magica del tramonto, mentre davanti a noi si staglia il forte, ed il cielo è pieno di aquiloni che i bambini fanno volare dai tetti piatti delle case. Quando fa buio la torre dell’orologio è illuminata da fari colorati, mentre noi assaggiamo il riso biryani (spesi 568 rs con birra e cheese naan).

8 agosto: Jodhpur-Ranakpur
Alle 9 partiamo per Ranakpur, dove arriviamo alle 12 e 30. A Ranakpur ci sono soltanto i templi giainisti, quindi se avete pochi giorni a disposizione andate direttamente ad Udaipur e fatevi l’escursione in giornata. Noi invece ci siamo fermati una notte, al piccolo e grazioso Fateh Barg, dove, insieme ad una coppia di spagnoli, eravamo gli unici ospiti. La stanza era grande e bella, un po’ deludente il bagno.
Alle 13 e 30 partiamo per i templi. Ricordate di indossare pantaloni lunghi e magliette che abbiano almeno le mezze maniche; se non avete un abbigliamento consono, è possibile noleggiare dei pantaloni (per gli uomini) o delle vestine rosa (per le donne): si devono lasciare 100 rs di caparra, e ve ne restituiranno 80. Per entrare occorre poi pagare 50 rs per la fotocamera. Visitiamo il tempio centrale (veramente splendido) e gli altri tre templi più piccoli lì vicini, dopodiché, non avendo assolutamente più nulla da fare, torniamo all’hotel, dove fortunatamente c’è la piscina. Alle 18 abbiamo appuntamento con Bhuvnesh, che ha promesso di portarci a vedere il tramonto sul lago. Passiamo così un oretta sulla collina, insieme a Bhuvnesh, alcuni altri turisti, e un gruppo di indiani che pare particolarmente interessato ad avvistare i coccodrilli che nuotano nel lago.
Mangiamo all’hotel (non ci sono molte alternative): la cena è piccante e scarsa, e, come se non bastasse, relativamente cara (1700 rs).

9 agosto: Ranakpur-Udaipur
Oggi partiamo per Udaipur, ma prima il programma prevede una sosta al Kumbalgarh Fort. Guardando la cartina il tragitto sembrerebbe breve, invece la strada si rivela lunghissima e tortuosa (secondo me poi Bhuvnesh ha fatto un po’ di confusione, mi è chiaramente sembrato di fare lo stesso percorso più volte ...): tutto ciò si rivela il colpo di grazia per Manuel, che già sta male. Alle 13 arriviamo al forte, che è certamente grande e suggestivo, ma parecchio spoglio: secondo me non ne vale davvero la pena.
Dopo un breve giro, ripartiamo per Udaipur, dove arriviamo alle 16. Alloggiamo all’hotel Lake Pichola, sull’Hanuman ghat. La vista che dalla hall e dalla stanza si gode sul Gangaur ghat e il city palace è l’unica cosa apprezzabile di questo terribile albergo. La sala principale e il ristorante dove servono la colazione è una profusione di paraventi ed enormi lampadari colorati, sui quali si notano evidenti chili di polvere ormai fossilizzati. La stanza, secondo la sintetica ma efficace definizione di mio marito (che non si era del tutto ripreso) era “tremenda”. Asciugamani e lenzuola erano sporchini ed il boiler perdeva; l’aria condizionata oltre ad essere rumorosa, diffondeva nell’ambiente un inconfondibile odore di fogna (e lo stesso valeva per la ventola del bagno). In poche parole, se potete, evitatelo! Nella stessa zona, mi sono sembrati carini (ovviamente non ho visto le camere) l’Udai Kothi e l’Amet Haveli, proprio accanto al ristorante Ambrai.
Alle 17 e 30 partiamo per il giro a piedi del centro della città (è a pochi minuti dall’hotel). Il centro di Udaipur è senza dubbio carino, ma la passeggiata, fra vacche (che un paio di volte hanno cercato di incornare Manuel: non era proprio giornata!), risciò e motorini impazziti risulta stressante, oltre che pericolosa. Ai bordi delle strade ci sono le consuete fognature all’aperto, e questo costituisce un ulteriore ostacolo ... come se non bastasse, il secondo giorno è passato pure un elefante. Dopo aver comprato un altro centrotavola da un simpatico vecchino per 220 rs, torniamo all’hotel, dopo di che andiamo al ristorante Ambrai, che ha una bella vista sul lago (724 rs).

10 agosto:Udaipur
Alle 9 partiamo in macchina per visitare il city palace. Siccome è troppo presto, prima andiamo allo Jadish Temple, dove riusciamo a filmare clandestinamente un gruppo di donne che intona canti religiosi. L’ingresso al city palace costa 50 rs a persona, più 100 rs per la macchina fotografica. L’audioguida è piuttosto cara (costa 250 rs per persona) quindi conviene ingaggiare una delle guide ufficiali che aspettano fuori dall’ingresso: per una che parla inglese si spendono 150 rs (pare che ce ne sia anche qualcuna che parla italiano o spagnolo, anche se noi non le abbiamo trovate). Dopo la visita, andiamo ai giardini Saheliyon-ki-bari (ingresso 5 rs, davvero niente di che); fuori dall’ingresso compriamo un sedicente elefante di marmo, per 200 rs. Andiamo quindi al Monsoon palace: per salire sulla ripida collina che porta al palazzo si spendono 80 rs a persona, e 65 per la fotocamera. Il palazzo è molto spoglio ed era in parte transennato, ma qui vale la pena venire per la bella vista che si gode della città, del lago e delle montagne.
Dopo una sosta in hotel, usciamo nuovamente. Prima andiamo all’internet point davanti all’hotel (si spendono 50 rs per un’ora di navigazione, ma è davvero lentissima), poi ci facciamo un altro giretto, durante il quale acquistiamo una statuina di legno rosso di Ganesh, che oggi troneggia nel nostro soggiorno, con tanto di ciotola di fiori secchi a mo’ di offerta ...
Ceniamo all’Udai Kothi, sulla terrazza, con tandoori di pesce e cheese cake (quest’ultima non è forse stata una scelta strategica ...). Spendiamo circa 1200 rs.

11 agosto: Udaipur-Pushkar
Oggi partiamo per Pushkar. Il nostro programma prevede di arrivarci passando per Chittogarh, per visitare il famoso forte, ma, nella speranza di evitare un nuovo viaggio interminabile, e considerato che non siamo smaniosi di vedere l’ennesimo forte, decidiamo di cancellare la tappa e di prendere la strada diretta, che – pensiamo – ci farà risparmiare un po’ di tempo. Il realtà anche questo tratto si rivela lento e noioso. La strada da Udaipur a Pushkar è disseminata di fabbriche di marmo; sono quindi moltissimi i mezzi pesanti che si muovono lungo questa tratta per trasportare enormi blocchi di pietra – che spesso pendevano in modo pericolosamente sbilenco –.
Arriviamo a Pushkar alle 16, all’hotel Pushkar Palace, che si affaccia direttamente sul lago. La stanza è grandissima e molto bella, nota negativa il personale, che, come avverte la Lonely, non brilla certo per la sua simpatia. Già dalle finestre della stanza possiamo vedere che, anche se ci troviamo nella stagione dei monsoni, il lago è quasi interamente asciutto: i fedeli si bagnano soltanto in un paio di ghat.
Dopo pochi minuti usciamo, dirigendoci verso la strada principale, dove c’è il mercato. Concordando con quello che hanno scritto altri prima di noi, devo dire che Pushkar non ha all’apparenza proprio nulla della città religiosa e spirituale. L’aria che si respira è un po’ quella che potreste trovare nella strada principale ‘da struscio’ di una cittadina di mare – fatte le debite proporzioni, visto che siamo in India ... –. La via pullula di bancarelle e negozietti turistici, e gli stranieri sono numerosi: qui non si ha affatto quella sensazione di essere stati catapultati in un altro mondo, dove gli unici tratti occidentali sono i vostri, come capita nei bazar di altre città. Detto questo, Pushkar non è più stressante di altri posti – il caldo, i negozianti e i seccatori sono gli stessi che altrove –. Visitiamo alcuni ghat – riuscendo ad evitare l’offerta ai bramini per il famoso ‘passaporto di Pushkar’ (il braccialettino rosso) – dove scattiamo di nascosto qualche foto, e poi ci dedichiamo ad un po’ di shopping: copricuscini, vestitino per la nipotina ed uno zaino per trasportare tutti gli acquisti. Dopo circa un paio d’ore, stremati da caldo, torniamo in hotel.
Poco prima di uscire per la cena, si scatena il monsone: il cielo diventa di un colore fra il grigio ed il marrone, vento fortissimo, e pioggia scrosciante. Non ci facciamo intimorire: stasera si va al Little Italy a mangiare la pizza, e niente e nessuno potrà fermarci, penso, prima, quando rifiutiamo le offerte dei camerieri con il turbante nell’hotel, che cercano di spingerci nel ristorante, e poi, quando dò le indicazioni a Bhuvnesh, che ci stava portando Dio solo sa dove in mezzo alla boscaglia e le caprette. Finalmente raggiungiamo la pizzeria, e, al buio (manca la corrente elettrica) ci infiliamo nella saletta in fondo al giardino, dove ordiniamo la birra. A Pushkar gli alcolici, per ragioni religiose, sono banditi, e infatti sono esclusi da menù: la birra ce la portano clandestinamente, con le lattine avvolte nella carta stagnola e due tazzoni neri da thé che nascondono il contenuto di quanto stiamo bevendo. Dopo qualche minuti finalmente la pizza!
Che dire della pizza del Little Italy? La recensione della Lonely è letteralmente entusiastica, e questo si può facilmente spiegare tenendo a mente che l’ha scritta un americano. La pizzettina che vi portano è una roba che nessun locale in Italia avrebbe il coraggio di servire, e ricorda quelle surgelate che si mangiano alla veloce davanti alla tivù quando non c’è stato il tempo di ordinarla da asporto. Però in quel momento a noi, a migliaia di chilometri da casa, e dopo quasi quindici giorni di intrugli vari dai nomi impronunciabili, è sembrata la cosa più buona del mondo, e ne abbiamo ordinato subito un’altra. In quel momento c’è stata la svolta: abbiamo capito che, per quanto ci avessimo provato, il cibo indiano semplicemente non ci piaceva, e di lì in poi l’abbiamo evitato ogni volta che è stato possibile. Al Little Italy abbiamo speso 750 rs.

12 agosto: Pushkar-Agra
Partenza alle 8 e 30 per lo spostamento verso Agra che si è rivelato lunghissimo, come da previsioni; in particolare tragica l’autostrada (?!) Jaipur-Agra, piena di lavori in corso che costringono a continui cambi di corsia. Arriviamo a Fatehpur Sikri alle 15 e 30. ci fermiamo al parcheggio delle automobili (circa un chilometro prima della moschea e del palazzo), dove veniamo agganciati dal solito conducente-guida tuttofare. Ci facciamo quindi portare alla moschea con un carretto trainato da un cammello (se avete tempo e non fa troppo caldo, questo tratto si può fare anche a piedi): 50 rs per il tragitto andata e ritorno. Stressanti dal conducente che non la finisce più di parlare, cercando di convincerci di quanto sia indispensabile avere una guida, cediamo, per 100 rs, e visitiamo l’enorme moschea insieme ad un ragazzo che parla italiano. A posteriori ritengo non sia necessario prendere una guida; per convincervi vi diranno che, senza, dovrete pagare tot di ingresso, tot per la macchina fotografica, tot per la custodia scarpe, tot per i vestiti per coprirvi ... A me è sembrato che questo non fosse vero; l’ho fatto notare al tizio, una volta usciti, e lui si è giustificato dicendo che solo con la guida si può visitare tranquillamente la moschea senza essere infastiditi continuamente ... lasciamo perdere! Il palazzo e i giardini non li abbiamo visitati perché non avevamo tempo, ma pare siano molto belli.
Arriviamo ad Agra alle 17 e 30, e andiamo subito a Itimad-ud-Daulah, o Baby Taj, che è un posto davvero bello e tranquillo; l’ingresso costa 110 rs a persona, 100 se ci andate lo stesso giorno del Taj (conservate il biglietto), più 25 rs per la macchina fotografica. Mentre ci spostiamo abbiamo modo di notare che il traffico è ancora più caotico che altrove, con una viabilità che rasenta la demenzialità, come quando siamo costretti ad infilarci in un vicoletto per imboccare il viadotto sul ponte.
Andiamo quindi all’hotel Clarks Shiraz, molto bello, pulitissimo e in stile occidentale; c’è persino un ascensore, e l’aria condizionata è silenziosissima. Volendo, ci sono camere (immagino costose) con vista Taj. Qui – e al Taj Mahal – avvistiamo i primi giapponesi, che evidentemente snobbano il Rajasthan. Decidiamo di cenare al ristorante al piano terra (ce n’è pure uno panoramico sulla terrazza), dove è in corso la festa del monsone, e si promette un mirabolante buffet con specialità dell’India del nord e del sud, nonché della Cina. Il posto si rivela tristissimo, con orribili ombrellini multicolori e un gruppo pop da sagra di paese che tenta di suonare fra le continue interruzioni di corrente, ma almeno ci strafoghiamo di noodles: in tutto spendiamo quasi 1700 rs con le bevande.

13 agosto: Agra-Orcha
Stamane sveglia prima dell’alba (alle 5) perché si va al Taj Mahal. Andiamo alla porta est (che apre alle 6); l’auto non può arrivare sino all’ingresso, quindi bisogna prendere al parcheggio un altro mezzo. Dopo un breve raffronto qualità-prezzo optiamo per il risciò elettrico (che è pure ecologico), 100 rs andata e ritorno. Il biglietto per il Taj costa la bellezza di 750 rs, ma comprende una bottiglietta d’acqua e i copriscarpe, e dà diritto ad una serie di sconti su le altre attrazioni di Agra e sull’entrata al palazzo di Fatehpur Sikri, purché ci andiate lo stesso giorno e ovviamente mostriate il biglietto (non fate come una signora francese al forte, che pensava di entrare sulla fiducia ...).
Il Taj è semplicemente splendido, molto più di quanto la più bella delle foto lasci indovinare; anche se avrete già visto la sua immagine centinaia di volte, rimarrete incantati quando potrete ammirarlo dal vivo. Io ero un po’ scettica, e invece ... All’alba è magico, sembra una perla iridescente; le foto più belle, in questo momento, si fanno da ovest, dove c’è la moschea (provate a catturarne l’immagine incorniciata dall’arco). Questo lo abbiamo scoperto perché un omino ha agganciato Manuel, trascinandolo in giro per fargli fare le foto; alla fine, ha estratto un cartellino, dicendo di essere una guida autorizzata, e che il suo compenso era di 425 rs ... lo abbiamo liquidato con 10, e non ha nemmeno protestato troppo. Questa cosa è capitata anche in altri luoghi; in generale comunque, anche a prescindere dalle mance, gli indiani hanno una vera e propria passione per le fotografie: quando chiedete a qualcuno di farvene una, dietro a quello che scatta si crea per l’occasione un apposito comitato, e tutti ci tengono ad esprimere il loro parere.
Dopo essere rimasti più di un’ora al Taj, torniamo all’hotel per la suntuosa colazione ed il check-out, poi andiamo all’Agra Fort (250 rs con lo sconto Taj): bello, anche se non ci sono moltissime sale da vedere (alcune sono chiuse).
Partiamo quindi per Gwalior, dove, dopo un’ora di peregrinazioni, troviamo finalmente le sculture giainiste, che sono intagliate lungo la parete rocciosa all’ingresso sud del forte. Ne vale davvero la pena, perché sono veramente splendide; alcune sono enormi, alte almeno una ventina di metri. Per vederle bisogna fermarsi al parcheggio dopo il primo chiosco e prima della vera e propria entrata del forte, dopodiché ci si muove a piedi. Senza fermarci a vedere il forte ci mettiamo in marcia per Orcha, dove arriviamo alle 17 e 45. L’hotel è l’Orcha Resort dove ci danno una stanza carina ma un po’ piccola, facendoci orgogliosamente notare che è “all marble” – ed in effetti tutto, struttura del letto, tavolino, comodini, è di marmo bianco con decorazioni colorate –. La nostra camera era superior, quindi immagino che quelle standard, più piccole, siano quasi degli sgabuzzini ...
Decidiamo di uscire per visitare il villaggio, ma, mentre siamo in macchina, si scatena il diluvio universale. Rimaniamo quasi un’ora a chiacchierare con Bhuvnesh. In questa occasione, e durante i lunghissimi viaggi in macchina, abbiamo parlato tanto con lui. Lui ci ha parlato di sé, del suo villaggio nel deserto vicino a Barmer, del suo matrimonio (combinato, come si usa in India) e della sua fede hindu. Era anche molto curioso: ogni volta che ci spiegava qualcosa sulla vita in India, si affrettava a chiederci se “in the Italy” le cose funzionassero alla stessa maniera ... alla fine eravamo in confidenza, e scherzava spesso con noi.
Dopo un po’ decidiamo di tornare all’hotel, dove si cena a buffet (1200 rs).

14 agosto: Orcha-Khajuraho
Partiamo alle 8 e 30 per Khajuraho; durante la strada spesso piove e si creano delle pozze incredibili – qui come altrove manca qualsiasi sistema fognario e di scolo – dove le bufale sguazzano felici.
Arriviamo alle 12 e 30 all’hotel Clarks – molto simile a quello di Agra –, e decidiamo di uscire quasi subito, temendo il monsone. Visitiamo il complesso dei templi ovest (250 rs l’entrata); fuori stazionano delle guide, e, in alcune ore della giornata (non sempre, noi non le abbiamo trovate) è possibile noleggiare delle audioguide. I templi sono splendidi e ricchissimi, e come tutti aguzziamo la vista per trovare le famose figure del kamasutra, mentre grondiamo di sudore per il caldo e l’umidità al 99%. Poi visitiamo i templi a est, raccomandati della Lonely e naturalmente semisconosciuti; con l’aiuto della cartina li abbiamo comunque trovati facilmente. Qui si entra gratuitamente (ce ne sono solo un paio, comunque molto belli). In centro a Khajuraho c’è una filiale della State Bank of India dove abbiamo cambiato; ci sono anche molti negozietti, ma qui gli ambulanti sono particolarmente fastidiosi.
Torniamo all’hotel, ma un attimo prima di raggiungere la piscina si scatena nuovamente il diluvio. Ammazzo il tempo facendomi fare un massaggio ayurvedico, per 20 euro. Per cena ci facciamo portare alla pizzeria Mediterraneo, in centro, dove troviamo finalmente una vera pizza: abbiamo speso circa 700 rs.

15 agosto: Khajuraho (Satna)-Varanasi
Partiamo alle 7 e 30 per Satna, dove prenderemo il treno per Varanasi. Viaggiamo sotto il diluvio e arriviamo alle 10 e 30 in stazione, dove con il magone lasciamo Bhuvnesh, il nostro compagno di viaggio per tutti questi giorni. La stazione, come prevedibile, è piuttosto caotica: mucche sui binari, gente che dorme sul pavimento e festival di venditori ambulanti di cibo che offrono la loro mercanzia ai passeggeri dei treni in sosta. Aspettiamo un po’ nella sala d’aspetto delle classi superiori – dove molti si fanno doccia e toeletta nel bagno – e poi andiamo sul binario. Ci spaventiamo un pochino vedendo la quantità di persone stipate nelle carrozze dietro i finestrini a sbarre. Scopriremo poi che quelle sono le classi sitting; se viaggiate in treno, prenotando con agenzia o on line, vi ritroverete nelle classi spleeping a/c, dove c’è molta meno gente, si può dormire nelle cuccette e c’è l’aria condizionata. Queste carrozze non sono male, e comunque mai peggio di un treno per pendolari italiano. Sul treno Satna-Varanasi la classe più altra è la 2 AC. I passaggi verso le classi inferiori sono chiusi a piombo, quindi se volete curiosare fatelo durante le soste.
Il viaggio per Varanasi si rivela infinito; dopo Allahbad, in particolare, il treno si ferma praticamente ogni dieci minuti. Alle 21, in ritardo, arriviamo in stazione, dove ci aspetta Mr Ramvillas, che ci porta con l’autista al Gange View.
Su questo hotel bisogna aprire una parentesi. Come pacchetto standard Karni vi proporrà il Radisson, che è un hotel executive vicino alla stazione (e al McDonald ...). Come tutti gli hotel di questo tipo immagino sia grande, pulito e dotato di piscina (oltre che di una serie di ristoranti); comunque le recensioni di Trip Advisor sono eccellenti. Tenete però presente che è piuttosto lontano dal centro e dai ghat, e con il traffico impazzito di Varanasi ci vuole almeno un’ora per raggiungerli. Il Gange View è invece sull’Assi Ghat e si affaccia direttamente sul Gange. Più che un hotel sembra una casa di intellettuali, con mobili in stile coloniale e eleganti complementi d’arredo indiani. Ci sono molte aree comuni – fra cui una libreria e una bella terrazza, dove, se volete, vi verrà servito il cibo – dove si aggirano inservienti nepalesi un po’ straniti. Detto questo ha le sue pecche. La condizioni della biancheria sono assai precarie, ho visto con i miei occhi un topolino poco lontano dall’ingresso della nostra stanza, e il cibo è da dimenticare: la prima sera eravamo affamatissimi, ma la vista del loro thali rigorosamente pure vegetarian ci ha chiuso lo stomaco; le colazioni (non a buffet) sono piuttosto scarsine.
Arrivati all’hotel e mangiato qualcosina ce ne andiamo a letto, stanchissimi.

16 agosto: Varanasi
Stamattina la sveglia suona alle 4 e 40, perché è in programma la gita in barca sul Gange. Consiglio di portare la torcia (e lo stesso vale per la sera) perché una volta scesi dalla macchina bisogna passare per vicoletti luridi e bui, senza avere alcuna idea di dove si mettono i piedi. Va da sé che bisogna indossare scarpe chiuse. Sulla barchetta possiamo vedere la gente che si bagna o che lava i panni, battendoli con quella che sembra essere una mazza da cricket, e i crematori. Scendiamo proprio vicino a quello principale, passando in mezzo ad enormi cataste di legna da ardere. La guida della barca ci porta al tempio nepalese e poi in un negozio di sete (del datore di lavoro?), dove non compriamo nulla. Dopo esserci aggirati un po’ per i vicoli, fra la quiete dell’alba, la sporcizia, minuscoli tempietti e il fumo che si leva da piccoli falò, torniamo alla macchina, e raggiungiamo l’hotel per la colazione.
Poco più tardi usciamo, questa volta a piedi, e decidiamo di percorrere i ghat sino a raggiungere quello principale, il Dasawamedh; può essere che il tragitto sia più breve passando per i vicoli interni, ma così sarete certi di non perdervi. Ricordo con piacere quella mattina sui ghat a Varanasi. Ho visto scene di vita quotidiana, ma anche le cose più incredibili e impressionanti, mischiate insieme in un mix improbabile. Ci sono uomini e donne che si lavano persino i denti nell’acqua del Gange, file interminabili di sari stesi al sole ad asciugare, ragazzini che giocano a cricket a pochi metri dalle cremazioni. Queste si svolgono all’aperto, con il cadavere avvolto in teli preziosi sopra una catasta di legna. Quanto è più importante la casta cui apparteneva il defunto tanto più in alto verrà posta la pira; gli intoccabili vengono bruciati sulla riva, in mezzo ai cani che frugano nella sporcizia e davanti alle vacche semi immerse nel fiume. Ci sono capannelli di persone che pregano e ascoltano un bramino che predica da sotto un ombrellone, e moltissimi templi, ognuno indicato per risolvere qualche problema specifico. Ho visto un pover’uomo vestito di stracci, il cui impiego consisteva nel raccogliere lo sterco e farne delle palline da asciugare al sole, per poi venderle come combustibile. Eppure, quella mattina tutto sembrava in qualche modo ‘al suo posto’, non mi sono impressionata ma ho osservato con distacco e curiosità questa visione della vita e della morte così diversa dalla nostra; ricordo anche il dolore composto di una famiglia che salpava con la barchetta per abbandonare nel fiume il corpo di un bambino, avvolto in alcuni teli, e un uomo vestito di bianco che si asciugava le lacrime mentre girava intorno alla pira che doveva accendere.
C’è stato naturalmente spazio per momenti meno profondi: ad un certo punto ci ha agganciato un ragazzo simpatico, che dopo averci venduto i suoi colori per 40 rs ci ha trascinato nel suo negozio, passando per l’incredibile e affollatissimo bazar, dove abbiamo comprato tre sciarpe (forse) di seta per 450 rs.
Nel pomeriggio, dopo qualche traversia e un’ora di ritardo, è arrivato l’autista, che ci ha portato a visitare i templi più importanti della città: non sono particolarmente speciali. Non c’è stato tempo per vedere il Golden Temple, in cui comunque pare che non sia possibile entrare per chi non è hiundu. Alle 18 parcheggiamo e raggiungiamo i ghat per un’altra gita in barca, durante la quale vediamo la cerimonia, che francamente non ci è sembrata particolarmente suggestiva (c’è questa fila di bramini che canta, suonando una campana e agitando in sincrono una serie di oggetti).
Un’ultima nota sulle fotografie: gli unici divieti riguardano le cremazioni e non le semplici abluzioni; può benissimo essere però che troviate un barcaiolo compiacente che ve le lascerà scattare (come è successo a noi, e non eravamo i soli).
Ritornati all’hotel raggiungiamo a piedi il ristorante Yafah, dove per noodles, moussaka e pepsi spendiamo ben 215 rs.

17 agosto: Varanasi
Dopo aver poltrito tutta la mattina in albergo, intorno a mezzogiorno, dopo il check-out andiamo con l’autista a Sarnath, per visitare i templi e le stupa. Il biglietto per il complesso costa 100 rs, quello per il museo 2 rs. Secondo me non vale assolutamente la pena visitare Sarnath, naturalmente a meno che non siate per qualche motivo interessati al buddismo.
Torniamo a Varanasi, e, dopo la sosta al Mc Donald (accidenti, riescono a preparare l’hamburger con le loro maledette spezie!), visitiamo il mercato dei tessuti mussulmano. La visita consiste in un giro per i vicoli che circondano le case, dove si sente incessantemente il rumore dei telai a mano, e in una prevedibile puntata in un negozio. Anche qui niente acquisti.
Dal momento che è presto, Mr Ramvillas ci propone di aspettare nella hall dell’hotel Ideal Tower, dopodiché ci porta in stazione, dove ci aspetta il treno notturno per Delhi. Abbiamo scelto la classe 1AC, che dà diritto ad una stanzetta riservata, con l’aria condizionata e due cuccette. Volendo sul treno è possibile mangiare (e prendere il chai) ma ce ne siamo ben guardati.

18 agosto: Delhi
Il treno arriva alla stazione di New Delhi con un leggero ritardo, verso le 8 e 30. Dopo aver faticato un po’ a trovare il driver (ci aspettava all’uscita opposta) ci dirigiamo all’hotel Singh Sons. L’impresa non è delle più semplici, perché, come lui stesso ammette, Mr Omreev è un grande esperto delle strade rajasthane, ma a Delhi ha qualche problemino ... in effetti giriamo quasi un’ora per il quartiere di Karol Bagh prima di trovare l’albergo. Del Singh Sons ci avevano parlato così male che alla fine l’hotel si è rivelato meno peggio del previsto. La camera era piuttosto ampia, e non presentava problemi di pulizia. Il principale aspetto negativo, oltre all’aria condizionata un po’ rumorosa, è l’acqua calda: sulle porte c’è scritto che viene fornita dopo dieci minuti dalla richiesta alla reception, ma in realtà arriva appena tiepida. Deprimente la sala da pranzo, in un seminterrato buio.
Dopo la colazione usciamo per visitare Old Delhi. Prima andiamo alla moschea di Jama Masjid. A differenza di quanto afferma la Lonely, l’entrata non è gratis, ma bisogna pagare 100 rs per la macchina fotografica; per salire sul minareto panoramico ci vogliono 100 rs e non 20. Alla moschea veniamo allegramente presi d’assalto da un gruppo di bimbi terribili, che prima vogliono fare una foto con noi, e poi si strappano dalle mani le penne che abbiamo regalato loro. Ci dirigiamo poi verso il Red Fort. L’entrata non si può raggiungere con la macchina, quindi prendiamo un ciclorisciò, concordando 50 rs per andata, ritorno e giro a Chandni Chowk. Il Red Fort (entrata 100 rs + 25 per la fotocamera) è interessante, ma è uno dei meno belli che abbiamo visto. Dopo il giro per Chandni Chowk ed i vicoli del mercato, il conducente ci riporta al parcheggio, pretendendo 100 rs. Dopo breve discussione, cui partecipano alcuni presunti passanti per dargli man forte, gli diamo comunque 50 rs, per nulla intimoriti. Con la macchina andiamo poi al Raj Ghat e al vicino museo Memorial Gandhi (entrata gratuita, davvero molto interessante).
Dopo una breve sosta in hotel, alle 18 usciamo nuovamente ed andiamo al principale tempio sikh, il Gurdwara Bangla Sahib. Il tempio è davvero molto bello, con delle cupole dorate è un’enorme cisterna contenente acqua considerata sacra. Soprattutto, devo dire che, dei moltissimi luoghi di culto che abbiamo visitato in India, questo è uno di quelli che mi ha colpito più positivamente. Al tempio sikh siamo stati accolti in maniera ospitale, abbiamo potuto lasciare le scarpe in una comoda sala d’aspetto (si entra a piedi completamente nudi) e ci hanno dato una bandana da mettere in testa. Nessuno ha cercato di venderci biglietti di ingresso, di costringerci a prendere una guida o a lasciare una mancia (si è liberi di farlo nel tempio se lo si desidera), o ci ha in altro modo infastidito; alla fine ci hanno dato un libricino in italiano, che spiega i fondamenti della loro religione. In generale, ho avuto l’impressione di trovarmi di fronte ad una professione di fede profondamente devota ma allo stesso tempo composta, senza eccessi.
Dopo il tempio andiamo a Connaught Place. Secondo me nella piazza non c’è praticamente nulla da vedere, è solo un posto dove si trovano moltissimi locali, ristoranti e negozi. Noi abbiamo cenato allo Shanghai Express, nell’Inner Circle, dove fanno noodles semplicemente strepitosi, ed abbiamo speso 550 rs circa.

19 agosto: Delhi
Alle 9 e 30, dopo il check-out, abbiamo appuntamento con il nuovo autista, che ci porta a Qutb Minar: l’ingresso al complesso delle rovine della moschea costa 250 rs a persona; con ulteriori 80 rs, sempre per persona, è possibile noleggiare un’audioguida in inglese (pare che presto sarà disponibile anche in italiano). Ritorniamo verso la città, per visitare New Delhi. Prima andiamo al Lotus Temple (ingresso gratuito): il tempio è molto bello dall’esterno, e anche i giardini sono curatissimi (immagino che questo si apprezzi di più con un clima meno torrido, quando è possibile farsi una passeggiata); l’interno è invece un po’ deludente. Nell’uscire incontriamo una ragazza italiana che distribuisce volantini: ci spiega che è di religione baha’i, e che si fermerà per alcuni mesi per fare del volontariato. Andiamo all’India Gate, un enorme arco in pietra all’estremità della Rajpath, la lunghissima via che conduce ai palazzi presidenziali (non c’è molto, ci si ferma solo per scattare una foto), e poi ci avviciniamo con la macchina a vedere più da vicino i palazzi.
A pranzo l’autista ci porta nella zona di Defence Colony. Pranziamo allo Swagath (butter chicken e birra per circa 800 rs), e poi mi faccio fare lì vicino da un ragazzino un tatuaggio all’hennè sulla mano, per 75 rs.
Nel pomeriggio visitiamo il bel complesso della tomba di Humayum (ingresso 250 rs a persona). A Delhi fa veramente caldissimo, si suda in una maniera pazzesca, così cerchiamo di prendercela comoda e ci fermiamo un po’ a riposare un una panchina. Quando usciamo vogliamo visitare il tempio di Akshardaham. L’autista però ci dice che è troppo lontano e che quando arriveremo sarà chiuso (l’orario di chiusura è previsto per le 18). Probabilmente non aveva semplicemente voglia di portarci; forse comunque avremmo fatto meglio ad andare prima al tempio e poi alla tomba di Humayum, che rimane aperta sino al tramonto.
Dopo averci portato (senza che glielo avessimo chiesto) in negozio di stoffe gestito da avidi commercianti (sparavano prezzi assurdi, forse abituati al fatto che in genere i turisti scelgono Delhi come prima tappa, e che non sono ancora abituati alle usanze locali ...), il driver ci conduce alla tomba di Safdarjang (ingresso 100 rs; carina, ma niente di speciale in confronto a tutti gli altri mausolei che abbiamo visto), e poi ai vicini Lodi Gardens (aperti dall’alba al tramonto, ingresso gratuito). I Lodi Gardens sono stati una piacevolissima scoperta: sono giardini molto grandi e ben curati, dove la gente fa jogging, cammina, o semplicemente si rilassa sdraiata nell’erba. Ci sono anche due mausolei, molto affascinanti. Direi che l’ideale è andarci al tramonto, quando il caldo è meno opprimente; c’è anche una sezione dedicata ai bonsai, però noi l’abbiamo trovata chiusa.
Non essendoci praticamente più nulla da visitare (o almeno nessun posto in cui l’autista sia disposto a portarci ...) decidiamo di raggiungere l’aeroporto, anche se è un po’ presto. Tutto sommato, direi che per visitare Delhi è più che sufficiente una giornata e mezza, o al massimo due; ma si può benissimo ridurre la visita ad un giorno e visitare solo Old Delhi (le cose che abbiamo visto a New Delhi e il Qutb Minar sono interessanti, ma non reggono il confronto rispetto alle bellezze del Rajasthan).
Quanto all’aeroporto, è bene sapere che non è possibile entrare prima di tre ore prima della partenza, e che bisogna mostrare alla polizia all’ingresso passaporto e biglietto aereo. È comunque possibile aspettare in una sala lì davanti, dove ci sono bar e ristoranti per cenare.
Sono le ultime ore in India: siamo davvero distrutti, e in questo momento non vediamo l’ora di essere a casa ... l’India però ci mancherà moltissimo. È un paese straordinario e difficile, che a volte strega ed altre volte mette a dura prova chi è intenzionato a scoprirlo: certe sere ci addormentavamo entusiasti per tutte le esperienze fatte, altre avremmo soltanto voluto mandare a quel paese ogni abitante dell’intero subcontinente ... ma alla fine, quando si ritorna a casa e si ripensa ai giorni passati là, rimangono soltanto sensazioni bellissime ... Thank you, India!
Vabbe', faccio prima ad anna' in India... :o :D

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Re: Dimmi dell'India...(contiene breve racconto di viaggio)

Messaggio da Tican »

babaoriley80 ha scritto:spero di andarci un giorno, è un Paese davvero affascinante.
Il migliore e particolare, oltre che affascinante e unico, che abbia mai visto :)

Ho fatto da Delhi a Katmandù passando x Jaipur Agra e Benares (che è sta Varanasi Mac...Varanasi x me sarà sempre Benares :wink: )
Quindi avremo passato le stesse strade Mac...magari al prossimo raduno porto le mie 500 diapositive (si, in quel tempo ancora le dia esistevano) :P

E' un refuso Jai Mahal o ha cambiato nome? Nn era Taj Mahal??? :roll: O è qualcosa di diverso che ho dimenticato????

Se vuoi andare ancora da quelle parti ti consiglio la Birmania (si lo so adesso Myamar o come si scrive) :wink:

Questi viaggi sono il mio più grande rammarico, difficile poterne fare ancora x me....Bella scelta Mac :D


Alga, quanno ce vai famme n fischio....sai mai.... :lol:
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Re: Dimmi dell'India...

Messaggio da RaphaEl »

Alga ha scritto:
Vabbe', faccio prima ad anna' in India... :o :D

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Re: Dimmi dell'India...(contiene breve racconto di viaggio)

Messaggio da macman »

Tican ha scritto:
babaoriley80 ha scritto:spero di andarci un giorno, è un Paese davvero affascinante.
Il migliore e particolare, oltre che affascinante e unico, che abbia mai visto :)

Ho fatto da Delhi a Katmandù passando x Jaipur Agra e Benares (che è sta Varanasi Mac...Varanasi x me sarà sempre Benares :wink: )
Quindi avremo passato le stesse strade Mac...magari al prossimo raduno porto le mie 500 diapositive (si, in quel tempo ancora le dia esistevano) :P

E' un refuso Jai Mahal o ha cambiato nome? Nn era Taj Mahal??? :roll: O è qualcosa di diverso che ho dimenticato????

Se vuoi andare ancora da quelle parti ti consiglio la Birmania (si lo so adesso Myamar o come si scrive) :wink:

Questi viaggi sono il mio più grande rammarico, difficile poterne fare ancora x me....Bella scelta Mac :D


Alga, quanno ce vai famme n fischio....sai mai.... :lol:

Il Taj Mahal è il famosissimo mausoleo bianco ad Agra, una delle 7 meraviglie moderne, che effettivamente è stupendo e vale da solo il viaggio....
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Il Jai Mahal è un palazzo nel mezzo di un lago a Jaipur...
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Varanasi è il nome Indù, mentre Benares era il nome che gli avevano dato gli inglesi perchè avevano difficoltà a pronunciarlo...(un po' come Calcutta e KolKata e così via), quindi mi sembra molto più autentico Varanasi (pare che il nome derivi dai due fiumi che - oltre al Gange - bagnano la città, il Varuna e l'Assi...tra l'altro noi abbiamo dormito in un hotel sull'Assi Ghat).

Perchè Tican dici che questi viaggi sono un grande rammarico e pensi di non poterne più fare? Per via dei marmocchi? :wink:
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Re: Dimmi dell'India...(contiene breve racconto di viaggio)

Messaggio da Andy »

Racconto di viaggio scritto in collaborazione con Mattvince :D :D :D


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Re: Dimmi dell'India...(contiene breve racconto di viaggio)

Messaggio da Huggy_Bear »

iero ho mangiato all'indiano sulla gianicolense

ringrazio dio che li vicino cera na pizzeria a taglio

#11#
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macman
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Re: Dimmi dell'India...(contiene breve racconto di viaggio)

Messaggio da macman »

Huggy_Bear ha scritto:iero ho mangiato all'indiano sulla gianicolense

ringrazio dio che li vicino cera na pizzeria a taglio

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:lol: :lol: :lol:
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Se impari la strada a memoria di certo non trovi granchè; se invece smarrisci la rotta il mondo è lì tutto per te.
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Re: Dimmi dell'India...(contiene breve racconto di viaggio)

Messaggio da Tican »

macman ha scritto:Perchè Tican dici che questi viaggi sono un grande rammarico e pensi di non poterne più fare? Per via dei marmocchi? :wink:
I marmocchi, chq cmq iniziano ad essere grandi, un po' rallentano, ma in nazioni come India o Africa nera sarà durissima x me....diciamo che faccio fatica con le vaccinazioni adesso... :roll:

Non ricordo il villaggio nel lago a Jaipur....mentre ricordo il palazzo del SOLE...(o residenza)

Ad Agra una compagna di viaggio ha fatto 2 gg all'ospedale....indescrivibile, veramente una cosa mai vista...facevamo i turni per tenerla sott'occhio... :o :o
<Parliamo di sport e non di simpatia. Forse potremo essere più obiettivi.> Ciao M.
<E non te va bene quando si gioca tutto in una schedona, e non ti va bene se ci sono i doppi turni... non invidio tua moglie :D :D> Ciao V.
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Sarina
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Re: Dimmi dell'India...(contiene breve racconto di viaggio)

Messaggio da Sarina »

whiterussian ha scritto:Bravo mac, ora mando il tutto a FooL che ha detto che leggerà per me e poi mi farà un riassunto. :D
..aspetto il riassunto del riassunto di FooL!!!
:P
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Sarina
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Re: Dimmi dell'India...(contiene breve racconto di viaggio)

Messaggio da Sarina »

Huggy_Bear ha scritto:iero ho mangiato all'indiano sulla gianicolense

ringrazio dio che li vicino cera na pizzeria a taglio

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