La Madre di Tutte le Truffe Sovraniste
Fabio Scacciavillani Maggio 28, 2019
Il dato principale che emerge a livello continentale da queste elezioni europee è la vittoria dei Liberali, i quali, unici tra le grandi famiglie politiche del mondo civile, aumentano voti e seggi. Ovviamente è un dato che le TV italiane, a stalle unificate, hanno trascurato, anzi ignorato, per magnificare l’inutile exploit del loro novello beniamino.
Inoltre, le urne hanno inequivocabilmente decretato la sconfitta dei cosiddetti sovranisti o populisti che definir si voglia. Questi umori fetidi sono sempre esistiti in Europa, ma assumono colori e bandiere diverse a seconda delle stagioni politiche e delle mode. Alle prime elezioni del Parlamento europeo si sversavano sui partiti comunisti (che in Italia prendevano più o meno le stesse percentuali oggi raggiunte dalla Lega). Nel terzo millennio hanno trovato sfogo nei deliri folkloristici assortiti che vanno dagli Indignados a Casa Pound, passando per Le Pen, Orban, Tsipras, Farage e la Lega Nord.
Allora come oggi, sono spurghi stroboscopici di un elettorato privo di istruzione, facile preda della propaganda demagogica, politicamente irritanti come il ronzio di un moscone. Ma sostanzialmente irrilevanti in un’economia globale dove le partite vere si giocano tra giganti di caratura continentale come Cina, USA ed Europa (e in misura minore Russia ed India) e dove l’Italia e i suoi governi non toccano palla. Anzi dai tempi di Berlusca premier neanche siedono in tribuna. Al massimo sugli scalini della curva.
In sostanza le istituzioni europee, e le forze politiche che le hanno edificate nel corso di decenni, escono tonificate e rigenerate da questa tornata elettorale. Saranno ancora più determinate nel contrastare il sovranismo perché hanno prevalso in modo decisivo nella sfida politica allucinata lanciata dai lacchè di Putin, dai retrogradi anti-globalizzazione e dalla Vandea vetero-socialistoide.
Detto questo, tocca, purtroppo, occuparci del bubbone purulento somarista che continua ad infettare l’Italia con il suo pus (insieme all’Ungheria e alla Polonia). Le due forze principali che lo alimentano si sono date il cambio nelle urne come due ciclisti in fuga, ma ormai spompati. La titanica gara di rutti elettorali ha visto prevalere i decibel legaioli e quindi il Fuoricorso di Pomigliano tornerà presto ad occuparsi del commercio di bevande analcoliche o dell’azienda paterna.
Però dispiace che la Lega si sia fermata appena sotto il 35% dei voti. Sarebbe stato decisamente meglio se avesse superato il 50%. Infatti per incassare la cambiale elettorale in fretta avrebbe dovuto far cadere il governo e assumersi le responsabilità di realizzare le sue promesse fasulle. In questo modo si sarebbero messi a nudo gli alibi di cartapesta, la cortina di menzogne e il profluvio di frottole con cui Salvini ha abbindolato gli elettori grazie alla complicità dei media asserviti e prostrati di fronte al nuovo Padrone. Invece il Capitone proverà ad addossare i suoi fallimenti all’alleato di governo.
Perché il vero programma dei somaristi nostrani (mutuato da quello del PD, ma declinato in codici comunicativi più rozzi e quindi più efficaci) è semplice ma irrealizzabile: costringere in qualsiasi modo (alternando minacce o piagnistei) i tedeschi e il nord Europa a pagare le ingenti spese necessarie per comprarsi i voti dei parassiti.
Il parassitismo però storicamente si spiaccica contro un muro: una volta concesse le prebende, i parassiti non si accontentano. In tempi recenti hanno votato Renzi per gli 80 euro, ma non è bastato. Poi hanno votato di Maio per i 780 euro del reddito di cittadinanza e nemmeno è bastato. Ora è la volta di Salvini con la flat tax e altre castronerie inattuabili e parimenti non basterà. Per questo il trust di cervelli legaioli propugna la Madre di Tutte le Truffe (solo temporaneamente riposta nel cassetto): uscire dall’euro in modo da poter suscitare negli analfabeti funzionali l’illusione di una ricchezza artificiale costituita da banconote di carta igienica. Non a caso Salvini, a urne ancora aperte, ha minacciato l’UE di voler ridiscutere i parametri e l’austerità (che nel Belpaese non si è mai vista) , quando sa bene che la prossima Commissione sarà ancora più dura contro l’Italia e che persino Orban e suoi accoliti non hanno alcuna intenzione di svenarsi per fare un favore all’ex signor Isoardi-Verdini. Il nuovo esecutivo europeo depurato dal ferrovecchio socialista Moscovici (responsabile del disastro nei conti pubblici francesi) che si è calato le braghe di fronte alla cricca somarista giallo verde, non vedrà l’ora di infliggere una bastonata plateale alle ubbie di sfascio dei conti.
La prossima legge di bilancio per l’Italia sarà un Calvario che le istituzioni europee prossime venture non intendono rendere meno crudele. Salvini quindi aizza lo scontro per creare l’incidente che giustificherebbe agli occhi dell’elettorato l’uscita dalla moneta comune. Purtroppo per lui non esiste alcun modo di far sparire i debiti e arricchirsi senza lavorare, innovare e competere sui mercati internazionali. Quindi ipotizzare una (S)banca d’Italia in salsa Pescaracas spingerebbe l’Italia verso il default immediato. Anche il più demente degli elettori quando i conti in banca vengono congelati mentre fa la fila per ritirare i 20 euro giornalieri al bancomat si rende conto di essere stato tragicamente raggirato e si metterebbe alla ricerca dei truffatori. Ovviamente per sommergerli di bacioni.
L’ultimo buco e poi smetto
Ma voi la sapete quella del paese scarsamente produttivo che tuttavia riuscì a scavarsi alacremente la fossa? No? Ve la racconto. C’era una volta un paese che esprimeva governanti convinti che l’universo complottasse contro di esso. Una parte dell’universo, nello specifico: la regione in cui tale paese era situato.
Ad ogni elezione, i governanti pro tempore si dicevano certi di aver trovato la soluzione alle angustie della popolazione, sempre più anziana e sempre meno istruita, anche a seguito dell’emigrazione dei soggetti meno patriottici. Una popolazione sfibrata, in passato colpita da pesanti salassi per ripagare il debito fatto da chi per decenni diceva che quello sarebbe stato il passaporto per la prosperità.
E così, di volta in volta, ecco le soluzioni: ad esempio, un grande piano di mance alla popolazione, diciamo 80 euro al mese per alcuni milioni di cittadini lavoratori a reddito basso ma non bassissimo. Da lì, come d’incanto, sarebbe scaturita la fiducia, il boom dei consumi, la ripresa degli investimenti, il Rinascimento italiano.
Per riuscire a finanziare queste misure servivano soldi. Che fare, quindi? Idea: aggiungere deficit. Oggi si dice attingere al deficit, quel pozzo di San Patrizio che tanto bene fa alla popolazione. Dopo uno psicodramma negoziale che sfocia in psicodramma, si giunge ad un accordo di compromesso con l’Entità Esterna che vigila sui conti del paese. Che poi è una comunità di stati sovrani, che si sono dati regole di cooperazione. Ma è chiaro che tale presunta cooperazione è sempre stato in realtà un ignobile espediente per impoverirci. Sin quando non abbiamo aperto gli occhi.
Per trovare quei soldi, si promette all’Entità Esterna che, ove non altrimenti reperibili, per restituirli si provvederà a tassare di più i consumi. Affare fatto! Passa un anno, il deficit seminato nell’Orto dei Miracoli non ha prodotto il miracolo sperato e si deve quindi mettere mano all’aumento della tassazione dei consumi. State scherzando, vero? Sarebbe una catastrofe, vergogna, l’Entità Esterna ci vuole affamare, è un complotto per mettere le mani sul nostro servizio di piatti del dì di festa. C’è gente che è morta, per ridarci il deficit la libertà!
Tosto, si convocano le televisioni per informare il Popolo che stiamo resistendo alla cattiva Entità Esterna, di cui viene fatta sparire la bandiera. Dopo ulteriore snervante negoziato con l’Entità, si ottiene di poter restituire solo una parte di quel prestito, accendendone un altro. Nel frattempo, il governo è cambiato, sono arrivati dei veri patrioti che hanno scoperto, dopo anni di esercizio ed esperimenti su Twitter, che tagliando le tasse l’attività economica esplode e quel taglio viene ripagato, sempre con corposi interessi.
Metti sul mio conto, Entità Esterna! Tra un anno tornerò qui e ti ridarò tutto con gli interessi. “Ma veramente lo devi ridare non a me ma ai tuoi connazionali ed anche agli stranieri che hanno comprato quel debito”, echeggia una vocina dall’Entità Esterna. “Sono sciocchezze!”, replicano i Patrioti. “Se solo potessimo crearci i soldi che ci servono, metteremmo in moto un circolo virtuoso con cui fare crescere l’economia, e avremmo modo di ripagare tutto, con gli interessi e oltre!”.
Nel frattempo, per prestare soldi al Tesoro del paese, i creditori richiedevano tassi sempre più alti. “Voi non capite, noi siamo ricchi!”, ripetevano i Patrioti pro tempore al governo.
Nel frattempo, il paese viveva una vera e propria rinascita culturale. Era tutto un florilegio di dibattiti e convegni su John Maynard Keynes e contro una cosa chiamata “neoliberismo” che non era chiaro cosa fosse esattamente ma che era chiarissimo avesse sino a quel momento impoverito il paese. Milioni di cittadini sognavano ad occhi aperti la socialdemocrazia e finanche il socialismo, quella magica condizione in cui lo Stato pensa a te, dalla culla alla tomba, nel caso anche stampando denaro, e tu nel frattempo puoi restare sul divano a guardare Barbara D’Urso in televisione.
Ma nessuno intendeva votare per partiti di sinistra perché, in quel caso, sarebbero arrivate nuove tasse per finanziare il welfare. “Meglio creare banconote, meglio ancora se con la faccia di Tardelli sopra”, rispondevano convinti i Patrioti. “Non metteremo le mani nelle tasche degli italiani!” In questo clima di fervore culturale, le radio suonavano il remake attualizzato di una canzone del grande Renato Carosone: “Io, MMT e tu“.
A parte ciò, “Keynes sì che sapeva come combattere le recessioni!”, strepitavano i Patrioti. “Faceva deficit quando c’era crisi”. Una vocina si levava chiedendo “ma sapete che, quando l’economia torna a crescere, il precetto di Keynes era quello di stringere i cordoni della borsa, per ripagare il debito?” Pronta, arrivava la risposta: “‘zzo dici, da noi la ripresa non c’è mai stata, e comunque la nostra idea è quella di fare più deficit quando c’è crisi e più deficit quando c’è ripresa. Vorrete mica soffocare la ripresa in culla, eh? Eh?”. Non fa una piega, in effetti.
Nel frattempo, il tasso d’interesse richiesto dai creditori sul debito pubblico del paese era sempre più alto, e la spesa pubblica si gonfiava per pagarne gli interessi. “Ma chi se ne frega, quest’anno abbiamo fatto più deficit per 4 miliardi, è solo l’inizio”. La solita vocina, sospirando, faceva presente che nel frattempo la maggiore spesa annua per interessi era di 5 miliardi, ma veniva zittita dalla rabbia sempre più cupa dei cittadini.
“Sentiamo delle vocine: o siamo il popolo eletto dal Signore, oppure qualcuno sta cercando di fregarci!”, ringhiavano molti cittadini, sgranando nervosamente un rosario e danneggiandosi i denti mordendo crocefissi, perché era stato loro detto che “Maria e il Signore ci proteggono da lassù”. Si levava anche qualche isolato bestemmione per la mancata crescita, di quando in quando; di solito appena prima che si celebrassero convegni pro-famiglia in cui si chiedeva di mettere fuorilegge l’aborto, uno dei maggiori responsabili della nostra mancata crescita, giuravano in molti. E c’erano anche luminari che ricalcolavano il Pil senza la legge 194: un boom senza precedenti.
Ma eravamo e restavamo ad un passo dal decollo: bastava solo attingere ad un po’ di deficit aggiuntivo, e il meccanismo virtuoso si sarebbe innescato. “Ancora un po’ di deficit, ci siamo quasi, l’ultimo e poi inizierà il riscatto!”, si sgolavano i Patrioti. Ma il miracolo tardava a compiersi. Anzi, la crescita era sempre più esile, e in alcuni periodi si trasformava in una contrazione. “Per forza, è evidente che, con tutte queste vocine, la popolazione è a disagio e non riesce a spendere e crescere!”, berciavano i patrioti.
Ormai l’intero paese era in preda ad una nevrosi sempre più grave: i telegiornali dicevano che non riuscivamo a crescere perché nottetempo continuavano a sbarcare stranieri, che poi divoravano i nostri alberi e svuotavano le nostre dispense. Altri sostenevano che non riuscivamo ad arricchirci perché, in giro per il mondo, c’erano dei malvagi che spacciavano formaggi rancidi ed altre porcherie bisunte scrivendoci sopra “Made in Italy”.
Ma ormai la decisione era presa: serviva fare altro deficit, a cui “attingere”, per arrivare finalmente a crescere. L’ultimo buco e poi è fatta, giuro.