Carattere, personalita', carisma nel tennis di oggi

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giovanna
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Carattere, personalita', carisma nel tennis di oggi

Messaggio da giovanna »

Nei vari topic si leggono continuamente (e in questo periodo in particolare) considerazioni e commenti sul carattere dei vari giocatori, sulle personalita' che fanno bene al tennis, sul carisma o presunto tale dei tennisti.
E' evidente che la personalita' dei vari giocatori, quale noi la percepiamo guardando i match o ascoltando/leggendo le interviste, influisce anche sul seguito di appassionati che quel giocatore puo' avere o meno.
Facendo l'esempio di Djokovic, sulla cresta dell'onda in qesto momento, si leggono pero' giudizi molto contrastanti sulla sua personalita': c'e' chi lo definisce cattivo, chi istrione, chi falso, chi simpatico e divertente, chi carismatico.
Per me Nole gioca e vince non soltanto per vincere e conquistare trofei e record nel tennis, ma per dare spettacolo, per conquistarsi il pubblico non soltanto per il gioco, ma anche per la simpatia, per il suo modo di fare (secondo lui) accattivante. La sua recita mi infastidisce, non mi diverte e non mi appassiona. Peggio, non mi fa amare neppure il suo gioco.
Altri tennisti, all'apparenza piu' antipatici (vedi Murray), hanno per altro verso una genuinita' disarmante che puo' conquistare.
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Edberg74
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Messaggio da Edberg74 »

Mi sento "ispiratore" di questo thread. :)
Per questo posto anche qui alcune considerazioni legate a carisma, Prima Repubblica, Seconda Repubblica, etc.

Su Tsonga

Il sangue di MUHAMMAD ALI scorre in lui. E MUHAMMAD ALI è stato il più adorabile, il più simpatico, il più divertente, il più autoironico, il più mediatico "sborone" nella storia dello sport.
Tsonga DEVE essere sborone, lo impone il Dna.
Il fatto è che, anche per essere sboroni, ci vuole il fisico. Ci vogliono i risultati. Ci vuole il carisma. Altrimenti sei solo un circense. Altrimenti ti chiami Gael.
E Jo deve lavorare su questo: deve edificare una carriera esemplare all'interno di un ego (si direbbe) abbastanza debordante come il suo (e quello di MUHAMMAD ALI).

Il tennis NON ha bisogno di chierichetti. NON ha bisogno di fighter (apparentemente) educati. Per quello bastano e avanzano il fintobuono Federer e il suo amichetto Nadal.
Il tennis ha bisogno di personalità che dividano, che spacchino, che non siano universalmente amate o rispettate, ma che rimangano anche pesantemente sulle palle, come rimaneva ad alcuni MUHAMMAD ALI.

Io ne ho piene le scatole della melassa dittatoriale di quei due lì: urge aria nuova.
Arrivo a dire: ben venga perfino Djokovic, uno che (se non si berlusconizzerà troppo) avrebbe le potenzialità per essere schiettamente odiato. Per essere IL Male.
E' BENE che Tsonga stia antipatico (a pochi, a monfilsiani mazziati come te: ma qualcuno c'è). E' BENE che un Campione divida e che faccia parlare di sè.

Sai qual è il grande assente dello sport attuale? Il carisma. Stamani ho comprato un'aspirapolvere, l'ho guardata e ho capito che anche lei ha più carisma di Federer. Chiunque ha più carisma di Federer. Anche Gentiloni.

Tsonga ha carisma. Djokovic ha carisma.
Voglio rivalità forti, non un circuito Atp che somiglia alle adunanze dei ciellini.


Su Nadal che “divide”

Ma divide per altri motivi. Perché forse si dopa, perché quando fronteggia una palla break ci mette mezzora (come Djokovic, tra parentesi), perché i federeriani ce l'hanno con lui. Non perché ha carisma. Paradossalmente federeriani e nadaliani si detestano, ma loro due si amano come fratelli siamesi.
Via, Nadal è uno che disse di aver pianto perché aveva battuto Federer in finale. Ma che siamo, all'asilo? In una diretta di Fabio Fazio? Alla riunione del Partito Democratico?
Tiriamo fuori le palle, ogni tanto, diamine. Avere carisma non significa farsi odiare dai tifosi altrui: quella è una visione calcistica.
Pensa al pre-match Tsonga-Nadal. TUTTI avrebbero detto: "Sì, Nadal è bravo, è forte, mi piace, ho rispetto per lui, bla bla bla".
Tsonga, NO. Lui è andato in conferenza stampa, alla MUHAMMAD ALI, e ha detto: "Lui ha due braccia e due gambe come me, e mi sta pure un po' sulle palle perché un anno fa a Wimbledon, in allenamento, mi ha mancato di rispetto, mi ha guardato dall'alto in basso. Ed io voglio batterlo, voglio fargli male".
Ecco: questo è avere carisma, questo è avere le palle di essere se stessi. Nel bene e nel male.
Il tennis di Federer e Nadal, il finto dualismo Federer-Nadal, è roba da sfida tra Casini e Follini: finte divergenze che nascondono un idem sentire.


Su Djokovic “il cattivo”

Che vuol fare da grande, mediaticamente, Djokovic? Il berluscones finto-simpatico, che racconta barzellette e fa imitazioni, come sostiene Apollo? L'amichetto nel presepe atp, per ultimare il Trio Duepalle con Federer e Nadal, se famo du spaghi e si va a pesca insieme?
Oppure, e io paradossalmente lo "spero", da spettatore che a guardarlo si fa quasi sempre gli zebedei quadri, ha intenzione di essere pienamente il cattivo dittatore, in stile Lendl?
Ecco, io credo che la rabbia, la violenza e il sadismo di ieri, peraltro esibiti contro il Re dei Finti Buoni, sia "buona" cosa. Ma credo anche, e qui concordo con Apollo non da ieri, che Djokovic non abbia il carisma e la coerenza di essere veramente il CATTIVO, alla Lendl.
Cioè: per me Djokovic è più antipatico che cattivo. E questo è un limite caratteriale, lo depotenzia come personaggio.
El Gato
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Messaggio da El Gato »

Il buono, il brutto e il cattivo, insomma :)
"Sul 4-0 per me al quinto ho capito che avrei perso!" (Gaston Gaudio)

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_Kafelnikov_
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Messaggio da _Kafelnikov_ »

Piripiripiiiiiiii pi pi piiiiiiii (la colonna sonora)
Johnny Rex
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Messaggio da Johnny Rex »

"Una personalità fuori dal comune"
"Un giocatore senza personalità"


Quante volte vengono ripetute queste affermazioni?

In Realtà,la Personalità l'abbiamo tutti,il carisma, che è una funzione della personalità,è più variabile.
Esiste una personalità senza carisma, non esiste l'Inverso.

Ed è falso anche vedere il carisma come qualcosa di puramente innato,che lo si ha o non lo si ha.
La Storia,e mica solo quella del tennis, è costellata di Carismi costruiti,specie da che mezzi di comunicazione ed informazione sono divenuti così importanti e capaci di imporre e sostituire a loro piacimento facce e "personaggi".

Occorre poi scindere la personalità mostrata in campo e quella mostrata all'esterno,quella percepita da chi è seduto sulla tribuna dello stadio o sulla poltrona di casa.

Io parlerei di personalità autoritarie e personalità autorevoli:
la prima è quella di chi si pone sempre al centro dell'attenzione,alla ricerca del consenso attraveso l'esposizione di sè,in campo o fuori dal campo.
La seconda è quella di chi non cerca costantemente i riflettori ma che finisce egualmente con l'essere visto come un punto di riferimento,come certi forumisti che pur scrivendo molto meno di altri hanno creato attorno a sè una aria di autorevolezza che faccia sì che i loro interventi siano sempre tenuti in conto da chi legge o scrive. :wink:
Nevenez 2019 ha scritto: Se nel 2022 Nadal non è ancora sparito, spariremo noi.
“Volevo cambiare il mondo. L'ho fatto. L'ho reso peggiore”. -Arthur Finkelstein
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Messaggio da giovanna »

Non concordo con la definizione o interpretazione di “carisma” di Ed. A parer mio il carisma poco ha a che fare con cattiveria o bontà mentre ritengo sia più legato alla capacità di una personaggio di essere leader e di avere quindi un seguito. In questo senso, esempi non tennistici diametralmente opposti sono Hitler e Gandhi.
PS: torno dopo…
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Okefenokee
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Messaggio da Okefenokee »

Trovo che le accezioni carattere, carisma, personalità possiedano molte sfumature e non sia facile mettersi d'accordo su uno stesso "idem sentire".
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Messaggio da Okefenokee »

Provo a schematizzare:
1. Personalità 2. Carattere 3. Carisma

Federer: Sì, Ni, No
Nadal: Sì, Sì, Ni
Djokovic: Sì, Sì, mm...abbastanza...
Ferrer: No, Sì, No
Davidenko: Ni, anzi no, Sì, quasi sempre..., Dai, non scherziamo
Baghdatis: Sì, A volte penso di sì a volte penso di no, Abbastanza
Roddick: 'nzomma, 'nzomma, No, direi di no
Tsonga: Sì, Sì sulla fiducia, Sì da confermare
Murray: Sembrerebbe di sì, Forse sì, Da rivedere
Gasquet: Ni, Mah..., Boh...
Safin: Sì, Mah..., Sì, decisamente sì. Se dopo 2 anni di Caporetto ha un seguito così vasto è solo grazie al carisma.
Seppi: eeehhh...., Andreas ti vogliamo bene lo stesso!
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Messaggio da giovanna »

Non possiamo comunque scindere la personalità di un giocatore quando è in”pista” o quando ne è fuori. Cioè possiamo farlo solo entro i limiti che contornano il campo, cioè le interviste, le conferenze stampa ed altre occasioni tennis correlate. D’altronde per queste persone il tennis è parte della vita, pertanto non posso credere che a “casa” siano molto diversi da quello che sono in campo; altro discorso invece, è quello che noi percepiamo, ma di solito – per esempio – nessuno sostiene che Murray sia simpatico o Baghdatis antipatico.
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Messaggio da corsair »

giovanna ha scritto:Non possiamo comunque scindere la personalità di un giocatore quando è in”pista” o quando ne è fuori. Cioè possiamo farlo solo entro i limiti che contornano il campo, cioè le interviste, le conferenze stampa ed altre occasioni tennis correlate. D’altronde per queste persone il tennis è parte della vita, pertanto non posso credere che a “casa” siano molto diversi da quello che sono in campo; altro discorso invece, è quello che noi percepiamo, ma di solito – per esempio – nessuno sostiene che Murray sia simpatico o Baghdatis antipatico.

non sono molto d'accordo.
Se ho ben capito il tuo ragionamento, se uno ha personalità in campo ne ha anche fuori; secondo me non è tanto vero.
Prendiamo il caso di Sampras: le sue interviste, sia tennistiche che extratennistiche, erano estremamente semplici e banali, eppure in campo aveva molta personalità e la faceva anche sentire all'avversario pur senza saltare, digrignare i denti lanciare urla e sguardi intimidatori.
"se ero forte di testa secondo me io ero uno dei migliori difensori degli ultimi trent'anni comunque" (Floyd 10)
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Messaggio da Johnny Rex »

E così altri giocatori.

Quante persone sono uguali sullavoro a come lo sono fuori?
Quante allo stesso modo davanti a 10 o 10.000 persone che ti osservano?
Nevenez 2019 ha scritto: Se nel 2022 Nadal non è ancora sparito, spariremo noi.
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Messaggio da Okefenokee »

Personalmente non trovo così sbagliato il pensiero di Giovanna.

Se per personalità intendiamo "i tratti psicologici di un individuo integrati fra di loro in modo da costituire un'unità tipica che si manifesta nelle varie situazioni ambientali" non essere se stessi sempre e comunque può essere indice di personalità debole.

Nel caso particolare di Sampras non trovo così evidente questa dicotomia tra campo e fuori: in campo intimidiva per il semplice fatto che era fortissimo e la sua personalità rimaneva quella di un individuo a-nevrotico che cercava di comportarsi al meglio.

Grandissimo nel tennis per i suoi stratosferici mezzi, semplice nella dialettica per i suoi normalissimi mezzi di espressione.
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Messaggio da Okefenokee »

OT

Scusate se sono intervenuto senza presentarmi.
I miei saluti li trovate nel thread "solo in rima"


OT
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Messaggio da giovanna »

Capisco benissimo che il desiderio di spettacolo, il bisogno di emozioni forti, spinga a desiderare che le rivalita' siano vere e sentite, che ci sia in fondo anche qualcos'altro oltre una pallina da tennis da picchiare per poter vincere. Lo capisco, ma personalmente trovo che la personalita' abbia molto a che fare con il proprio modo di essere intrinseco (cioe' con il carattere), che puo' essere fondamentalmente buono, corretto e aperto (non mi vorrete dire che Marcos non ha personalita' o carisma perche' non e' cattivo?), oppure antipatico e arrogante.
Il carisma invece e' per me la capacita' di coinvolgere gli altri, di esserne leader, di essergli da modello. Molti tennisti, anche grandi grandissimi sul campo tecnicamente (come Sampras) non possiedono questa dote: sono amati e ammirati solo in forza del loro gioco e delle loro vittorie, solo per la loro bravura in campo. Altri giocatori invece posseggono questa dote che li fa amare e seguire anche oltre i risultati del campo (vedi Marat Safin): il carisma poi non deve essere necessariamente cattivo alla Lendl o alla Mac Enroe, puo' essere anche "buono" alla Bagdatis o alla Nadal.
Poi, un po' per punzecchiare sul vivo Edberg74 :wink: , ci sono anche giocatori con personalita' molto deboli e carisma nullo (Riccardino, carisma 0 8) ), anche se con colpi vicini alla perfezione assoluta :D
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balbysauro
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Messaggio da balbysauro »

Mi permetto di fare un paragone cestistico.
Non ricordo chi disse, in una sua intervista, (ma era uno forte), che quando giocava contro i Chicago Bulls ed entrava in campo Jordan, capiva già di aver perso la partita.
Perchè MJ guardava dritto negli occhi il giocatore più forte della franchigia avversaria, e in un millisecondo lo inceneriva trasmettendogli tutta la sua superiorità. In uno sguardo gli diceva: "Ma ti rendi conto contro chi stai giocando oggi? Contro il miglior atleta della storia dello sport mondiale, il più dominante!".
Gli altri giocatori neanche li guardava, come un Dio pagano che non ascolta chi non gli dispensa sacrifici.

Io non so se ci sia stato un tennista che potesse fare lo stesso.
Probabilmente - da quanto ho letto - Pancho Gonzales.
Certamente oggi qualcuno soffre la forza tennistica di Fedro e Nadal. Ma non credo soffrano il loro carisma.

Comunque, sarà perchè ho cominciato a seguire il tennis quando Jimbo e Mc facevano a gara a chi era più antipatico, sento la necessità fisica di qualche top giocatore (non un Radek qualunque) col caratteraccio. Perchè al caratteraccio, non al buon carattere, si accompagna più facilmente il carisma, c'è poco da fare.
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Messaggio da Skorpion »

giovanna ha scritto:Non concordo con la definizione o interpretazione di “carisma” di Ed. A parer mio il carisma poco ha a che fare con cattiveria o bontà mentre ritengo sia più legato alla capacità di una personaggio di essere leader e di avere quindi un seguito. In questo senso, esempi non tennistici diametralmente opposti sono Hitler e Gandhi.
PS: torno dopo…

Federer come seguito ne ha da vendere. Molto più di tanti sboroni. Per di più nel tennis i "pugili" senza tecnica vanno al tappeto; sai che sboronate #100#
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Messaggio da andreinoz »

balbysauro ha scritto:Mi permetto di fare un paragone cestistico.
Non ricordo chi disse, in una sua intervista, (ma era uno forte), che quando giocava contro i Chicago Bulls ed entrava in campo Jordan, capiva già di aver perso la partita.
Perchè MJ guardava dritto negli occhi il giocatore più forte della franchigia avversaria, e in un millisecondo lo inceneriva trasmettendogli tutta la sua superiorità. In uno sguardo gli diceva: "Ma ti rendi conto contro chi stai giocando oggi? Contro il miglior atleta della storia dello sport mondiale, il più dominante!".
Gli altri giocatori neanche li guardava, come un Dio pagano che non ascolta chi non gli dispensa sacrifici.

Io non so se ci sia stato un tennista che potesse fare lo stesso.
Probabilmente - da quanto ho letto - Pancho Gonzales.
Certamente oggi qualcuno soffre la forza tennistica di Fedro e Nadal. Ma non credo soffrano il loro carisma.

Comunque, sarà perchè ho cominciato a seguire il tennis quando Jimbo e Mc facevano a gara a chi era più antipatico, sento la necessità fisica di qualche top giocatore (non un Radek qualunque) col caratteraccio. Perchè al caratteraccio, non al buon carattere, si accompagna più facilmente il carisma, c'è poco da fare.

Se penso al carisma di un campione come Borg, mi riesce difficile trovare un giocatore attuale che gli si possa anche solo avvicinare.
Aveva quell'aura di invincibilità che scoraggiava gli avversari ancora prima di scendere in campo contro di lui.
Anche il suo atteggiamento, schivo e taciturno, gli conferiva quell'aria di mistero e di quasi soprannaturale che, indubbiamente, colpiva molto.
Tutto questo senza minimamente dover ricorrere ad aggressività, del tutto estranea alla sua personalità, e senza che abbia dovuto minimamente impersonare la parte del "cattivo".
Semmai lui, biondo, educato, corretto, sportivo, era la personificazione del Bene in lotta contro il Male (inteso sempre in senso relativo) rappresentato da Mac e Connors.
Ricordo anche di aver letto una confessione di un famoso giornalista americano (di cui ora non ricordo il nome), il quale ammetteva candidamente che, anche da semplice giornalista e non certo da avversario, avvertiva che "the man has an aura", aveva un'aura che incuteva ammirazione e una certa soggezione, seppur lo svedese fosse sempre gentilissimo e molto cordiale.
Quel cronista si era preparato con attenzione le domande da rivolgere a Borg, una volta che ottenne di intervistarlo, ma poi quando lo ebbe di fronte riuscì solo a biascicargli un "sei contento di aver vinto?", per poi ritrovare la sua verve da giornalista aggressivo soltanto dopo che Bjorn gli diede le spalle, un po' sorpreso per la scarna intervista.

Io direi che spesso il carisma, almeno nello sport, viene da quell'idea di inarrivabilità del campione. Un'inarrivabilità che, ai nostri occhi, appare appunto quasi soprannaturale.
Borg in questo senso era quasi un semidio, per i suoi contemporanei. Ma non solo per loro, se è vero che anche un campione come Becker volle assolutamente conoscerlo e palleggiare con lui, ricordando spesso in varie interviste che era il suo idolo di bambino e che lo vedeva come un campione irraggiungibile e che a quei tempi aveva la stessa popolarità di una rockstar.
Oggi, spesso, chiedo alle mie amiche se sanno chi sia l'attuale numero 1 del mondo. Non lo sanno. E se rispondo che è Federer mi dicono: "chi?".
Allora invece lo sapevano tutti chi fosse Borg, anche chi non si interessava di tennis. Aveva travalicato i confini non solo del tennis, ma anche dello sport in generale.

Ma tornerei a quell'idea di quasi soprannaturalità, a cui accennavo prima. Qualcosa cioè che sembra lontanissimo dalle nostre capacità "umane". Qualcosa che può riuscire solo ai grandissimi, ai predestinati, quasi semidèi. Qualcosa che riesce a Gandhi, a Muhammad Alì, a Reinhold Messner a coloro, in generale, che riescono con apparente facilità a compiere imprese che sembrano impossibili e che a loro sembrano venire naturali. E lo sono, naturali, in un certo senso. Perchè la loro natura è diversa dalla nostra.
Per questo ne siamo attratti. Per questo li ammiriamo. Per questo li consideriamo inarrivabili. Per questo, per loro, si arriva al limite del fanatismo.

Mi viene da pensare anche a quando a Rovereto, da bambino, andai a vedere giocare il Milan in amichevole estiva contro il Trento. Allora tra i dirigenti c'era Gianni Rivera, appena ritiratosi dall'attività di calciatore. Il padre del mio amico, che mi aveva accompagnato allo stadio, decise di lasciare le tribune qualche minuto prima, per evitare la ressa all'uscita. Così aveva deciso di fare anche Rivera. E ci trovammo a scendere le lunghe scalinate dello stadio insieme, fianco a fianco. Io, bambino e tifoso milanista dalla nascita, con un padre che mi faceva recitare la formazione del Milan ogni sera, appena dopo che dalla mia cameretta se n'era uscita mia madre che mi aveva invece fatto recitare le preghiere, mi trovavo fianco a fianco al mio idolo. Gianni Rivera. Io e lui da soli. Il mio amico e suo padre poco dietro di noi. Ricordo ancora che aveva un paio di pantaloni in lino, scarpe lucide marroni con tacco e camicia bianca con le maniche arrotolate. Ero a mezzo metro da lui, stavo scendendo le scale con lui. Lui mi guardò per un attimo e mi sorrise, vedendo forse l'aria di ammirazione con cui lo guardavo. Io per tutto il tempo mi dissi: "devo dirgli qualcosa, devo dirgli qualcosa!" - ma non riuscii a spiccicar parola.
Lo vidi poi sparire in lontananza con il suo passo leggero, sembrava che camminasse su una nuvola. Era il mio mito. In quel momento per me quello era indubbiamente carisma. Non saprei trovare parola più adatta a descriverlo.
Una cosa simile mi successe qualche anno dopo, quando, adolescente, andai ad assistere ad una conferenza di Reinhold Messner, che presentava una delle sue inenarrabili imprese. All'uscita, era pieno di gente che lo voleva salutare o anche solo toccare. C'era molta agitazione e tanta gente aveva in mano carta e penna per farsi fare l'autografo. Ma quando uscì lui e guardò verso di noi, calò un silenzio innaturale. Lui girò lentamente la testa da una parte all'altra, come se volesse contarci tutti e sembrava che guardasse quasi senza vederci, che guardasse un metro sopra le nostre teste, con i suoi occhi azzurri e glaciali, ma al tempo stesso caldi e sorridenti.
Sembrava ancora più grande di quanto non lo fosse in realtà. Sembrava alto almeno 3 metri :) Vedendolo così (e certo anche dopo averlo sentito in conferenza dove aveva detto di non amare il divismo), nessuno trovò il coraggio di chiedergli niente, i foglietti e le penne sparirono come per incanto e, dopo qualche secondo di silenzio sbigottito e innaturale, riuscimmo solo a gridare, mentre si allontava, "grande Messner!" "bravo Reinhold!" ma con il coraggio ritrovato solo dopo che lui se ne era andato.

Beh.. forse sono andato un po' fuori tema, mi sono lasciato trascinare dai ricordi... :)
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Okefenokee
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Messaggio da Okefenokee »

Bravo 'noz. Bel racconto.
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Messaggio da jeroska »

Carattere, personalità, carisma. Le coordinate del punto di incontro tra i cultori di languide emozioni letterarie e gli uomini del marketing. Dove poesia e merchandising realizzano una perfetta comunione di interessi. Il sogno di ogni magliaro: la trasformazione dello sport in culto - politeistico - della personalità. Obiettivo WWE. E' così che, tristemente, funziona, nowadays.
Buonasera caro. Dunque, io adesso batto lo zero, un milione sullo zero.
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Messaggio da Johnny Rex »

Viene da chiedersi quanto pesi, sulla mancanza di personalità forti, vera o presunta dei campioni di oggi, praticamente in tutti gli sport, da un lato la perdita di quella Inavvicinabilità Borghiana cui parla Andreinoz, la stessa aura,per dire,che avevano le star del cinema degli anni 30',e che oggi,nell'era Youtube e del tutto visibile, tutto in piazza, è molto più difficile sussista, dall'altro la definitiva trasformazione dello sport in industria,quel processo cui accennava huizinga nel suo Homo Ludens nella prima metà del secolo scorso e che ora pare compiuto.
Nevenez 2019 ha scritto: Se nel 2022 Nadal non è ancora sparito, spariremo noi.
“Volevo cambiare il mondo. L'ho fatto. L'ho reso peggiore”. -Arthur Finkelstein
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Messaggio da andreinoz »

Okefenokee ha scritto:Bravo 'noz. Bel racconto.

Grazie Okee.. :)
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Messaggio da sonusfaber »

Edberg74 ha scritto:Via, Nadal è uno che disse di aver pianto perché aveva battuto Federer in finale. Ma che siamo, all'asilo? In una diretta di Fabio Fazio? Alla riunione del Partito Democratico?


Ha anche detto di avere provato un dolore immenso e di avere pianto a lungo negli spogliatoi per non essere riuscito a vincere la finale di Wimbledon 2007.

Non credo che tra i due - sportivamente parlando - ci sia poi quel grande idillio di cui scrivi. Se i due piangono - e a volte hanno pianto - o è di gioia in caso di vittoria propria o di disperazione in caso di vittoria altrui.

Nadal ha detto che durante la premiazione Wimbledon 2007 ha fatto di tutto per comportarsi come si deve, lo stesso Federer (sono sue parole) detesta vedere l'avversario alzare il trofeo: le due sconfitte in finale al RG gli devono avere fatto terribilmente male.

Altro che idillio.
Johnny Rex
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Messaggio da Johnny Rex »

Nickognito ha scritto:Penso che sia colpa anche dei commentatori tv, anche quelli che stimo. Ci hanno abituato a farci credere che il giocatore migliore è quello 'che gioca meglio i punti importanti' o che è 'più competitivo' o 'si impegna piu' duramente'.

Un certo tipo di competitività e di impegno sono dannosi per la prestazione sportiva, e nessuno gioca 'meglio' i punti importanti.

Il campione è colui che ha capacità di concentrazione rilassata, di essere istintivo, di non avere paura, di giocare i punti importanti 'meno peggio' o 'come se non lo fossero'. Il campione è quello che non tenta mai troppo, che non tenta di 'tirare piu' forte' che non dice 'devo fare questo o quello'. Non a caso i campioni che non hanno sfruttato del tutto il talento, come Safin e anche in una certa misura Becker, spesso si arrabbiano con se stessi e parlano a se stessi di 'come devono giocare, cosa devono fare'. Un giocatore non deve mai pensare 'ora devo fare così' , ma solo concentrarsi in modo rilassato per far sì che naturalmente, senza pensiero, il colpo vada così.
E' un terzo modo di intendere la competività. (sempre per essere ot, sarebbe interessante applicare questa terza via in campo economico). Voler vincere è positivo e insieme negativo. Diventa negativo se la vittoria è vista come mezzo per rafforzare il proprio ego (essere ammirati dagli altri, o da se stessi, ancora peggio, pensare non 'ho giocato bene' ma 'sono bravo'). Così facendo si peggiora il livello di gioco, tanto piu' se le cose iniziano ad andare male (quindi 'faccio schifo'), ma anche se le cose vanno bene (sorprendentemente, ma è così). E la competitività è negativa quando si trasforma in rabbia per l'avversario. Distoglie l'attenzione, e si gioca peggio.

Secondo me troppo poco spesso si parla di questi aspetti di un tennista, che spesso fanno la differenza tra essere un campione e non esserlo, o tra raggiungere il 100% delle propriepotenzialità o non raggiungerlo.
c.


Alcune osservazioni Nickognitiane sul carattere dei campioni.

Inevitabile il richiamo al Sofismo; non si capisce dove sia la differenza fra "giocare meglio i punti importanti" che Nick attribuisce ai comentatori sportivi e "giocarli meno peggio".
Si potrebbe obiettare,sofisticheggiando, che Federer nel 2005 ha perso match in cui era al MP, che sampras era ad un passo dal vicnere il TB australiano con Agassi, che Borg stesso ha fallito molti MP con McEnroe nella storica finale londinese del 1980,ma è indubbio che siano stati giocatori che hanno colto le loro opportunità più presto e bene di altri campioni,per dire.

Atto che un eccesso di aggressività è solo negativo,come certe dichiarazioni prepartita Rodomonte cui raramente segue la realtà dei fatti (memorabili i "gli insegnerò a giocare a tennis " detti dal Kaf prima delle regolari batoste subite da hewitt..),stento molto a vedere come competitività,voglia di vincere,impegno possano essere dannosi non solo nel tennis ma in qualunque competizione sportiva.

Altra cosa il discorso sul sentire o meno al tensione, ed i pensieri che vi si accompagnano.
Si è spesso detto che Agassi fosse "più umano" di sampras, per dire, che sentisse più la tensione di pete,in altre parole che scontasse il fatto di essere più emotivo e pensante del proprio avversario :)
Questo può essere fecondo spunto di riflessione.
Nevenez 2019 ha scritto: Se nel 2022 Nadal non è ancora sparito, spariremo noi.
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Roberto74
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Messaggio da Roberto74 »

Johnny Rex ha scritto:Si è spesso detto che Agassi fosse "più umano" di sampras, per dire, che sentisse più la tensione di pete,in altre parole che scontasse il fatto di essere più emotivo e pensante del proprio avversario :)
Questo può essere fecondo spunto di riflessione.


Questo caso proprio no, Rex.

Mettiamola così: se tu sai di essere in pericolo, ti senti più sicuro con in mano un fucile o una fionda?

La differenza nel caso di specie era proprio questa: sul 30-40 Sampras aveva in mano un fucile, Agassi al massimo una fionda, robusta e precisa per quanto si voglia, ma pur sempre una fionda.

Ben si comprende, dunque, la differenza negli stati d'animo. :wink:
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corsair
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Messaggio da corsair »

non vorrei trasformare questo topic in una succursale del topicone (avrà ancora per poco questo nome, finché nell'immaginario comune come topicone si intenderà quello sul miglior forumista di sempre :D ) mi limito esclusivamente a questa considerazione:
il fucile lo aveva anche Ivanisevic, Roberto, però in quei casi entra in gioco la capacità di utilizzarlo, vale a dire l'abilità di tirare fuori il meglio di sé stessi nei momenti più importanti e spesso più difficili.
In questo Sampras era maestro assoluto, Ivanisevic era mediocre pur avendo, a mio personalissimo giudizio, un servizio che era migliore di quello di Pete
"se ero forte di testa secondo me io ero uno dei migliori difensori degli ultimi trent'anni comunque" (Floyd 10)
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Messaggio da Roberto74 »

corsair ha scritto:In questo Sampras era maestro assoluto, Ivanisevic era mediocre pur avendo, a mio personalissimo giudizio, un servizio che era migliore di quello di Pete


Ora, premesso che non sono d'accordo sul fatto che Ivanisevic avesse un servizio migliore (per me era più veloce, ma non migliore), ci si ricorda solo dei due famosi doppi falli della finale 1992, ma non che - fra le altre cose - Ivanisevic in quella stessa partita annullò un set point nel I set con un ace di seconda, e che un anno più tardi, stesso torneo, annullò ancora con un ace di seconda un match point al povero Chris Bailey, che da allora non si riprese mai più.

In sintesi: ci può stare che chi ha un servizio migliore affronti un break point in modo più rilassato, e non credo che debba per forza entrarci il carattere di una persona.

Ivanisevic, poi, era matto a prescindere. :D
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Messaggio da Johnny Rex »

Spiego meglio, cristiano lascia intendere ciò che nei suoi scritti spesso dice Foster Wallace, ossia che giochi meglio colui il quale nei momenti cruciali "non pensa niente di niente",uno stato di assoluta rilassatezza. Laddove invece entra in gioco la prospettiva del futuro (non Seppi :) ) ,si riflette sull'importanza del punto che si sta giocando, ecco che arrivano le crepe.

Penso ad Agassi anche perchè lui stesso ha detto che sul 62 41 per lui nella famosa semifinale londinese con becker inziò a pensare al dopodomani, "alla finale con pete".
Dico andrè ma potrei benisismo dire anche Lendl,o anche john Mcenroe, giocatori che spesso hanno sentito il peso della tensione, senza scendere ai casi psioclogici genere Ivanisevic-Novotna,per intenderci.
Nevenez 2019 ha scritto: Se nel 2022 Nadal non è ancora sparito, spariremo noi.
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Messaggio da lellus »

Edberg74 ha scritto:Via, Nadal è uno che disse di aver pianto perché aveva battuto Federer in finale. Ma che siamo, all'asilo? In una diretta di Fabio Fazio? Alla riunione del Partito Democratico?


Ed. credo che Nadal abbia dichiarato di aver pianto dopo la sua sconfitta a Wimbledon 2007, non perchè aveva battuto Federer in un'altra finale.
Poi non so, forse ricordo male io :wink:
Nickognito
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Messaggio da Nickognito »

A Johnny: Purtroppo nella nostra società si dà per scontato che la competitività sia positiva. Ma ogni ricerca in questo senso , in ogni ambito, mostra che la competitività è un danno all'efficienza. Intendiamoci, ci sono danni maggiori all'efficienza. Se l'alternativa è essere 'nullafacente', allora è meglio essere 'competitivo'. Ma tenendo presente che la comepetività produce anch'essa dei danni. Su questo non ci sono molti dubbi, e vale sia per il lavoro che per lo sport, e molte ricerche e statistiche dimostrano questi dati.

Sinceramente , nel mondo economico e del lavoro, non so quali modelli alternativi alla competitività siano possibili, o magari mi candiderei per il premio nobel. Spesso invitare alla competitività è l'unica via. Per cui mi limito allo sport.

I miei due modelli, in quello che dico, sono Phil Jackson, l'allenatore piu' vincente della storia del basket, e Timothy Galwey, l'autore dellibro piu' venduto al mondo sul ruolo della mente nel tennis. I due dicono sostanzialmente la stessa cosa.

Che cioè esiste una terza via, tra la competitività e la cooperazione, diciamo. Tra il 'voler vincere con forza' e 'il non essere interessati a vincere, ma solo giocare per giocare'.

Così come non bisogna essere né agitati, né distratti, ma 'rilassatamente concentrati' (almeno nello sport, per un semplice problema di rigidità muscolare che altrimenti si crea), allo stesso modo non bisogno essere né competitivi né non competitivi, ma essere una via di mezzo. Per spiegare semplicemente cosa sia questa via di mezzo, elenco quali cose la competitività NON deve avere. Ciò che rimane, va bene:

- Non devo dire 'voglio vincere' perché penso che vincendo divento una persona più apprezzata (da me stesso, chi mi circonda, i tifosi, ecc)

- Non devo dirlo perché penso che perdendo sarei meno apprezzato (da me stesso, chi mi circonda, i tifosi, etc)

(insomma non devo pensare che il risultato del match cambi in nessun modo la mia vita come persona)

- Non devo essere arrabbiato per cose relative al match. (non devo vincere perché odio l'avversario, ad esempio; ma se sono arrabbiato per altri motivi esterni e mi sfogo in campo, va benissimo, invece)

In sostanza, qual è il problema della competitività? Che spesso deriva dal nostro io piu' esterno, quello mentale. Dall'orgoglio o dalla paura, per esempio. Dal voler prendere merito (o demerito) per la propria vittoria o sconfitta. Il campione è quello che non pensa che il match gli conferirà qualche merito (o demerito) come persona, è da questo che deriva la sua sicurezza. La competitività è giusta se proviene da un io piu' profondo. Quando si assiste a quella che Clerici chiama 'erezione agonistica', lo si capisce. Un giocatore sembra fuori di sé, perde il controllo di se stesso e vuole vincere solo perché vuole vincere, è totalmente disinteressato a cio' che comporta la vittoria, a voler ricevere un merito, ad aver paura di una defaillance. E' in trance agonistica, e non pensa a nulla. Questa è una competitività positiva. Per essere positiva, deve essere non-mentale.

E' facile capire ad esempio come Nalbandian renda meglio quando non è atteso. Perché non deve dimostrare nulla. Nalbandian pensa troppo, e questo in altre situazioni lo danneggia.

E' questa l'unica differenza che c'è stata (poi magari adesso inizia a essere diverso, chissà) tra Michael Jordan e Kobe Bryant. Non sono differenze tecniche o atletiche.

Estendendo il concetto, se nel mondo del lavoro si riuscisse a trovare un modello competitivo, in cui però non ci sono questi danni della competizione, avremmo secondo me una delle rivoluzioni piu' importanti della storia. Non so se ci siano ricerche in merito, me lo auguro :)

c.
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Messaggio da jeroska »

Grazie Nick del tuo ultimo post, che ho copiato e incollato su un documento antologico delle cose più belle in cui mi capita di imbattermi. Uso personale, garantito. :wink:
Buonasera caro. Dunque, io adesso batto lo zero, un milione sullo zero.
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Messaggio da Nickognito »

:oops:
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Messaggio da balbysauro »

Nickognito ha scritto:E' questa l'unica differenza che c'è stata (poi magari adesso inizia a essere diverso, chissà) tra Michael Jordan e Kobe Bryant. Non sono differenze tecniche o atletiche.


Straquoto.
MJ non scendeva in campo per dimostrare di essere il migliore, lo era e basta. Lo sapeva lui, lo sapevano i compagni (poi certo avere in squadra Pippen non è che gli faceva male...), lo sapevano gli avversari, lo sapeva il pubblico, lo sapeva il mondo intero.

Kobe invece, pur essendo fortissimo, ha questo macigno sulle spalle di dover dimostrare di essere il più forte (piccolo OT, posso vantarmi di aver battuto Kobe in un uno contro uno, anni fa quando suo padre giocava a Rieti, città in cui sono vissuto fino a due anni fa... certo lui aveva 7-8 anni e io 14-15, ma è un'altro discorso :lol: )
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Messaggio da Nickognito »

hai battuto Kobe in 1 contro 1.. basta e avanza :D

Mamma mia :D
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balbysauro
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Messaggio da balbysauro »

Già, prima di giocare avrei dovuto fare una scommessa del genere:

Chi vince si prende il 2% dei guadagni futuri dell'altro :D

Che poi non fu un uno contro uno, ma la classica "campana"
(però è l'unico "successo sportivo" delle mie inutili carriere sportive, quindi appena posso tiro fuori l'episodio :oops: )

magari un giorno potrei battere a tennis il bisnonno di Sampras :D
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Messaggio da Johnny Rex »

Nickognito ha scritto:A Johnny: Purtroppo nella nostra società si dà per scontato che la competitività sia positiva. Ma ogni ricerca in questo senso , in ogni ambito, mostra che la competitività è un danno all'efficienza. Intendiamoci, ci sono danni maggiori all'efficienza. Se l'alternativa è essere 'nullafacente', allora è meglio essere 'competitivo'. Ma tenendo presente che la comepetività produce anch'essa dei danni. Su questo non ci sono molti dubbi, e vale sia per il lavoro che per lo sport, e molte ricerche e statistiche dimostrano questi dati.

Sinceramente , nel mondo economico e del lavoro, non so quali modelli alternativi alla competitività siano possibili, o magari mi candiderei per il premio nobel. Spesso invitare alla competitività è l'unica via. Per cui mi limito allo sport.

I miei due modelli, in quello che dico, sono Phil Jackson, l'allenatore piu' vincente della storia del basket, e Timothy Galwey, l'autore dellibro piu' venduto al mondo sul ruolo della mente nel tennis. I due dicono sostanzialmente la stessa cosa.

Che cioè esiste una terza via, tra la competitività e la cooperazione, diciamo. Tra il 'voler vincere con forza' e 'il non essere interessati a vincere, ma solo giocare per giocare'.

Così come non bisogna essere né agitati, né distratti, ma 'rilassatamente concentrati' (almeno nello sport, per un semplice problema di rigidità muscolare che altrimenti si crea), allo stesso modo non bisogno essere né competitivi né non competitivi, ma essere una via di mezzo. Per spiegare semplicemente cosa sia questa via di mezzo, elenco quali cose la competitività NON deve avere. Ciò che rimane, va bene:

- Non devo dire 'voglio vincere' perché penso che vincendo divento una persona più apprezzata (da me stesso, chi mi circonda, i tifosi, ecc)

- Non devo dirlo perché penso che perdendo sarei meno apprezzato (da me stesso, chi mi circonda, i tifosi, etc)

(insomma non devo pensare che il risultato del match cambi in nessun modo la mia vita come persona)

- Non devo essere arrabbiato per cose relative al match. (non devo vincere perché odio l'avversario, ad esempio; ma se sono arrabbiato per altri motivi esterni e mi sfogo in campo, va benissimo, invece)

In sostanza, qual è il problema della competitività? Che spesso deriva dal nostro io piu' esterno, quello mentale. Dall'orgoglio o dalla paura, per esempio. Dal voler prendere merito (o demerito) per la propria vittoria o sconfitta. Il campione è quello che non pensa che il match gli conferirà qualche merito (o demerito) come persona, è da questo che deriva la sua sicurezza. La competitività è giusta se proviene da un io piu' profondo. Quando si assiste a quella che Clerici chiama 'erezione agonistica', lo si capisce. Un giocatore sembra fuori di sé, perde il controllo di se stesso e vuole vincere solo perché vuole vincere, è totalmente disinteressato a cio' che comporta la vittoria, a voler ricevere un merito, ad aver paura di una defaillance. E' in trance agonistica, e non pensa a nulla. Questa è una competitività positiva. Per essere positiva, deve essere non-mentale.

E' facile capire ad esempio come Nalbandian renda meglio quando non è atteso. Perché non deve dimostrare nulla. Nalbandian pensa troppo, e questo in altre situazioni lo danneggia.

E' questa l'unica differenza che c'è stata (poi magari adesso inizia a essere diverso, chissà) tra Michael Jordan e Kobe Bryant. Non sono differenze tecniche o atletiche.

Estendendo il concetto, se nel mondo del lavoro si riuscisse a trovare un modello competitivo, in cui però non ci sono questi danni della competizione, avremmo secondo me una delle rivoluzioni piu' importanti della storia. Non so se ci siano ricerche in merito, me lo auguro :)

c.


Gran post,che condivido in pieno e chiarisce tutto.
Nevenez 2019 ha scritto: Se nel 2022 Nadal non è ancora sparito, spariremo noi.
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Messaggio da Andrea1970 »

Nickognito ha scritto:Che cioè esiste una terza via, tra la competitività e la cooperazione, diciamo. Tra il 'voler vincere con forza' e 'il non essere interessati a vincere, ma solo giocare per giocare'.


Ma tu, Nick, ti diverti a fare qualcosa che non ti riesce bene ???

Prima o poi ti rompi le scatole, e passi ad altro...a meno che non sei obbligato a farlo, e allora si chiama "lavoro".

Cioe', la terza via esiste, ma e' uno stato transitorio e provvisorio.
- E' laureata ???
- Sì
- Allora l'è un putanùn !
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Messaggio da Okefenokee »

Nickognito ha scritto:Estendendo il concetto, se nel mondo del lavoro si riuscisse a trovare un modello competitivo, in cui però non ci sono questi danni della competizione, avremmo secondo me una delle rivoluzioni piu' importanti della storia. Non so se ci siano ricerche in merito, me lo auguro :)c.


All'università avevamo parlato di questo caso, ben descritto da quest'articolo, e, personalmente, a me era piaciuto molto.


NEW YORK - Ora che l'azienda ha un fatturato annuo di 130 milioni di dollari, Ben e Jerry cercano un amministratore delegato per la loro azienda. Invece di muoversi atttraverso il solito "old boys network", la rete dei "vecchi ragazzi" che si conoscono dal tempo del college e che lavorano insieme a Wall Street, "Ben&Jerry" hanno messo un annuncio sui giornali: "Scrivete in cento parole perchè volete diventare amministratore delegato della "Ben&Jerry". Coloro che parteciperanno al concorso ma non vinceranno riceveranno una maglietta con la scritta: "Sono stato rifiutato come presidente della Ben&Jerry".

Se non sapete che cos'è la "Ben&Jerry" potete rivolgervi a qualunque agente di cambio. E' un'azienda quotata a Wall Street, e molto consigliata agli investitori. Meglio ancora, però, chiederlo a un ragazzino, in qualunque città americana. Vi dirà che "Ben&Jerry" è il miglior gelato del mondo. E qualunque amante del gelato, grande e piccolo, vi dirà che i gusti disponibili presso "Ben&Jerry" non si trovano da alcun altro gelataio e che sono la fine del mondo. Se invece chiedete a Ben Cohen e a Jerry Greenfield, fondatori e maggiori azionisti, che cosa è che rende speciale la loro azienda vi diranno: "la nostra cultura di impresa". Risposta tradizionale? Vediamo.

Ecco i punti a cui si ispirano i due gelatai più famosi d'America (ora in quasi tutto il mondo: controllare sito ). Primo, niente di quello che fai deve essere contro l'ambiente. Comprano il latte solo da famiglie produttrici, dove le mucche sono trattate come animali domestici. Comprano ogni altro prodotto necessario ai loro gelati solo da chi non usa additivi artificiali o conservanti. Comprano la frutta, specie le fragole, soltanto da certe tribù indiane con cui hanno stabilito contratti a lungo termine per permettere loro investimenti che altrimenti sarebbero impossibili.

Secondo. Tutti coloro che scelgono di restare nell'azienda per più di sei mesi, sono proprietari di un piccolo pacchetto di azioni. Il salario minimo dei più giovani è garantito da questa regola: il numero uno dell'azienda (ovvero il prossimo amministratore delegato) può guadagnare solo sette volte di più del dipendente più modesto. Poiché "Ben&Jerry" è un'azienda che ha avuto un grande successo in America, questa politica salariale fa sì che resti un buon margine di re-investimento nell'impero dei gelati.

"Ma - dicono Ben e Jerry - noi vogliamo che la cultura della nostra azienda non solo sia "corretta" (rispettosa dell'ambiente) e equa (favorire gli indiani, incoraggiare i dipendenti giovani, evitare le clamorose sproporzioni di compenso fra un dipendente e l'altro). Deve essere anche una cultura "buona".

Nel bilancio dell'azienda- che è pubblico e che si può ottenere con una telefonata- noterete che vi è il costo di un ospedale per bambini in Brasile, di borse di studio per gli adolescenti dei quartieri a rischio di molte città americane, programmi di training per giovani che si impegnano ad abbandonare le gang, programmi per gli anziani, soprattutto prevenzione di malattie che colpiscono i poveri.

"Ben&Jerry" non danno somme in carità. Osservano la vita che li circonda, i quartieri in cui aprono i loro negozi, la folla che si mette in coda per comprare i loro gelati e dicono: loro fanno molto per noi, comprando i nostri gelati. Noi dobbiamo fare la nostra parte.

"Ben&Jerry", due cinquantenni della generazione di Woodstock di solito vanno in giro di quartiere in quartiere a vedere "che cosa si può fare". Dicono che un'azienda ha senso solo se è radicata nella comunità da cui trae il proprio profitto, e che restituire una parte della propria ricchezza in attività sociali è una buona politica economica perchè diminuisce l'infelicità (che non è mai un buon affare) ma anche il conflitto e la tensione, che sono cose costose. Dicono, come slogan, che "la solidarietà costa meno dell'egoismo". E hanno anche una loro piccola "task force" che sorveglia le città in cui gli affari sono più prosperosi e deve rispondere alla domanda: in questo luogo, in questo quartiere, che cosa possiamo fare per rendere un po' meno difficile la vita degli altri?

"Ben&Jerry" vengono dai prati dei figli dei fiori, vengono dalle tribù festose e stordite degli Anni Sessanta, tutte sogni e niente senso della realtà. Ma dicono di essersi svegliati, che quando la festa è finita, "Ben&Jerry" non avevano una casa dove tornare o un padre al quale rivolgersi per un buon impiego o per l'affitto di casa.

Lavoro per lavoro hanno scelto i gelati, un prodotto che conoscevano a fondo, come molti ragazzi vagabondi americani. Con la presunzione della gente giovane si sono detti: noi possiamo farlo meglio. E quando hanno realizzato con immenso successo il loro proposito, hanno scoperto che non intendevano affatto cambiare la loro vita e i loro "valori". Girano ancora in magliette colorate e gilè a fiori, amuleti indiani al collo e vantano di non aver mai indossato giacca e cravatta neppure dopo che l'azienda è stata quotata a Wall Street. Soprattutto si vantano di essere restati "quelli di allora".
"Suonavamo la chitarra e dicevamo che si deve vivere in pace e aiutare gli altri. Eccoci qui".




Che aggiungere? Magari sono due furbacchioni, magari con altri mercati non è possibile questo sistema, ma che differenza con certi furbetti del quartierino o certi squali della finanza. Io credo che qualcosa di buono da ricavare ci sia da questa "Company Case Study".
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Messaggio da Nickognito »

Personalmente sono molto d'accordo col tipo di 'impresa' di cui si parla dell'articolo di Oke, però non credo di aver definito bene, vista la sua risposta e quella di Andrea, che cosa intendo per terza via. (ne parliamo in politica e società?)

Non volevo dire una terza via tra 'mercato liberista competitivo' e 'nullafacenza'. Questa terza via esiste già, e Ben e Jerry ne sono un esempio, ma ce ne sono altri. Non ho conoscenze tali da farmi capire se questi esempi sono destinati a essere isolati, o possono costituire un modello di maggiore efficienza anche su larga scala. Ma, pur senza avere conoscenze, ho sempre avuto simpatia per queste terze vie, o, per dirla alla John Nash, per i giochi che hanno due o più vincitori, e non un perdente e un vincente.

La terza via di cui parlavo non so cos'è.
Quindi riparlo di tennis. C'è chi vuole vincere con una competitività che ne riduce l'efficacia di gioco, c'è chi non vuole vincere, e c'è chi magari vuole vincere come Ben e Jerry, quindi magari con correttezza, e magari con altre iniziative di vario tipo, anche extratennistiche.

Ma io parlo di chi gioca per vincere, non ha iniziative extra, e ha una competitività che non danneggia il gioco, ma anzi l'aiuta. Forse una quarta via, se volete. La via del campione, o se volete la via dell'assenza di pensiero, o la via zen, o quello che vi pare. Una via che è una concentrazione solo su ciò che si fa, ma senza pensiero. Nella vita c'è un equivalente. Forse anche immaginando una vita 'zen' anche in senso triviale del termine ci si fa un'idea equivalente. E' probabile che se tutti fossimo saggi, concentrati e rilassati lavoreremmo tutti bene e in armonia, sia sotto il comunismo che con il libero mercato piu' anarchico.
Però questa è una cosa un po' utopica.

Quello che pensavo era: esiste un sistema solo per il lavoro (o l'economia) in cui accade qualcosa di simile? Non sistemi cooperativi, non sistemi 'etici', ma sistemi che vanno avanti per pura competitività, ma prendendo solo quello che nella competitività c'è di buono?
Dicevo che un campione è quello che pensa che il gioco non è la vita, che la riuscita del gioco non è fonte di orgoglio e di umiliazione. Potrebbe esistere qualcosa del genere anche nel lavoro? (ad esempio, dove se diventi presidente, o invece licenziato, non ti cambia la vita?)
E' possibile che anche nel lavoro, come nel tennis, l'efficienza non derivi dal 'fare' (tanto meno dal fare con grande impegno e sforzo, dal 'tirare piu' forte') ma dal 'lasciare che accada'? Nello sport è il nostro corpo che naturalmente 'fa', sopprimendo la mente. Ma anche in altri aspetti della vita (il sesso, l'arte?). Nel lavoro può accadere qualcosa di corrispondente?

Probabilmente no, ma non era un pensiero logico, solo un'intuizione non molto spiegabile e quasi sicuramente senza valore pratico. L'ho espressa a voce alta, ma la lascio lì, non ho nessuna conclusione da dare e dubito che mi sia espresso in un modo comprensibile.

Però, si potrebbe aprire un topic, su queste cose in politica e società, anche se forse poi lì non ci scrive nessuno.

Forse non dovevo andare offtopic, avevo pensato di aprirne uno in politica ma poi si perdevano i post di sopra, se un moderatore spostasse tutto mi sa che ci farebbe un gran favore ;-)

c.

edit: scusate, ogni tanto faccio brainstorming da solo, ho sempre l'idea che , ogni mille intuizioni, 999 sono cazzate, ma magari una no. Ma la probabilità è quella :D
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Messaggio da Johnny Rex »

Nickognito ha scritto:La terza via di cui parlavo non so cos'è.


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Messaggio da Okefenokee »

Assolutamente non pretendevo di essere esauriente o di rispondere alla tua domanda. :wink:

Mi piaceva riportare quell'impresa come esempio di competitività (e sappiamo bene che il mercato mondiale non ti perdona niente) vincente "possibile" dove non vinci perchè sei "buono" o "migliore" o "etico" ma perchè, tutto sommato, è conveniente. Riesci a primeggiare anche senza devastare cose o persone.

Probabilmente, ma è un mezzo vaneggiamento anche il mio, una volta che hai fissato dei principi per te importanti poi devi "lasciare che accada".
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